Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.930 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.A. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato PONTESILLI MARIO, rappresentata e difesa dall’avv. COMIS SEBASTIANO;

– ricorrente –

contro

R.W. *****, R.D. *****, R.M. *****, R.R. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato PONTESILLI FABIO, rappresentati e difesi dall’avvocato BALLARIN MARIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 265/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 26/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 25/11/2009 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 18.9.1998 W. D. e R.M., figlie di R.O., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Pordenone le cugine A. e R.R., figlie di Ro.

A., e, premesso che in base a testamento di R.G., fratello di O. ed Ro.Ag., erano divenute comproprietarie di 6/12 di un immobile sito nel Comune di ***** gravato di usufrutto in favore di V.L. sulle quote delle convenute, chiedevano lo scioglimento della comunione.

Costituitosi il contraddittorio anche nei confronti della V. il Tribunale adito con sentenza del 22.12.01, ritenuto il bene non comodamente divisibile, lo assegnava a W., D., M. e R.R. in regime di comunione,stabilendo a loro carico ed in favore di R.A. un conguaglio di oltre L. 25.000.000.

Proposto gravame da parte di R.A. cui resistevano W., D., M. e R.R. mentre la V. restava contumace la Corte di appello di Trieste con sentenza del 26.4.2004 ha rigettato l’impugnazione.

Avverso tale sentenza R.A. ha proposto un ricorso affidato a due motivi cui M., D., W. e R.R. hanno resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve dichiararsi l’inammissibilita’ del controricorso.

Invero mentre nell’epigrafe del ricorso proposto da R.A. si fa riferimento ad una elezione di domicilio in Roma presso lo studio dell’avvocato Mario Pontesilli, a margine del ricorso stesso l’elezione di domicilio e’ stata effettuata presso lo studio dell’avvocato Sebastiano Comis in Pordenone, via Damiani 4;

conseguentemente, poiche’ la ricorrente non ha conferito alcun mandato all’avvocato Pontesilli ne’ ha eletto domicilio nel suo studio – come dedotto dalle stesse controricorrenti – erroneamente costoro hanno notificato il controricorso nel suddetto studio in Roma via Francesco Orestano 21 invece che nel domicilio eletto dalla ricorrente a margine del ricorso.

Venendo quindi all’esame del ricorso stesso, si rileva che con il primo motivo R.A., deducendo mancata o insufficiente valutazione del materiale probatorio, assume che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che le parti comuniste risultavano chiamate all’eredita’ direttamente per testamento e non per rappresentazione del loro capostipite; infatti la Corte territoriale non ha considerato che R.G. era comproprietario solo per un terzo dell’immobile oggetto di divisione, e che inoltre non era stato tenuto conto dell’usufrutto su di 1/9 del totale spettante alla V. in quanto legataria “ex Lege” di un terzo della quota del marito, cosi’ come previsto anteriormente alla riforma del diritto di famiglia.

La censura e’ infondata.

Sotto un primo profilo e’ opportuno premettere che l’immobile oggetto di divisione era in comproprieta’ in parti uguali tra i fratelli O., Ag. e R.G., e che in seguito alla morte dei primi due erano subentrate quali eredi di O. in forza di successione legittimarle figlie W., D. e M. e quali eredi di Ag. sempre in base a successione legittimarle figlie A. e R. oltre quale usufruttuaria per un terzo la moglie V.L.; successivamente era deceduto R.G., celibe, lasciando in eredita’ la sua quota per meta’ alle figlie di Ag. e per meta’ alle figlie di O..

Sulla base di queste pacifiche premesse in fatto correttamente il giudice di appello ha ritenuto che le comuniste erano state chiamate all’eredita’, quanto alla quota di un terzo di R.G., non in forza dell’istituto della rappresentazione, ma perche’ istituite eredi per testamento da parte di quest’ultimo, con la logica conseguenza che a divisione doveva avvenire non per stirpi ma in virtu’ delle singole quote spettanti a ciascuna delle condividenti.

Quanto poi al riferimento all’usufrutto della V. per la quota di 1/9, la ricorrente non ha chiarito quale influenza dovrebbe avere tale diritto nella divisione dell’immobile per cui e’ causa,atteso che detto usufrutto incide sul contenuto del diritto di proprieta’ limitandone in parte l’esercizio fino alla sua estinzione per morte dell’usufruttuario, ma non dispiega effetti in ordine alla formazione delle quote dei condividenti.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando insufficiente motivazione, censura le sentenza impugnata per aver ritenuto non comodamente divisibile l’immobile in questione trascurando di considerare che si trattava di un edificio vetusto sproporzionalmente alto, gia’ destinato ad abitazione di una famiglia colonica coltivatrice di un fondo agricolo non piu’ esistente; in realta’ l’immobile valeva soltanto per la cubatura, per l’area di 950 mq. su cui insisteva e per la possibilita’ di demolirlo e ricostruirlo trasformandolo in residenza, attivita’ artigianale o attivita’ commerciale; inoltre, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, la divisione del bene non avrebbe comportato l’esecuzione di opere edili di “sensibile costo”, considerato che il C.T.U. in proposito aveva fatto riferimento a “spese contenute”.

La censura e’ infondata.

Il giudice di appello, premesso che il consulente tecnico d’ufficio aveva chiaramente escluso la divisibilita’ dell’immobile in cinque quote, ha aggiunto che comunque le prime due ipotesi di divisioni in due sole porzioni formulate dal geometra F. non solo comportavano lo snaturamelo della destinazione e della strutturazione del bene, ma anche la costituzione di servitu’ e l’esecuzione di opere edili per rendere abitabile lo stabile adibito a fienile e legnaia ovvero per enucleare stanze nello stabile ad uso abitazione;

inoltre la partizione dell’edificio costruito con finalita’ unitarie di affiancati corpi di fabbrica, l’uno al servizio dell’altro, avrebbe comportato un sensibile deprezzamento delle porzioni, considerato che ognuna avrebbe perso il legame funzionale con l’altra, inconveniente che avrebbe imposto costose opere di ristrutturazione per recuperare l’originaria funzionalita’.

Orbene la sentenza impugnata ha proceduto in ordine alla non comoda divisibilita’ dell’immobile “de quo” ad un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione,conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui il concetto di comoda divisibilita’ di un immobile cui fa riferimento l’art. 720 c.p.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico – funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso (Cass. 7.2.2002 n. 1738; Cass. n. 30.7.2004; Cass. 29.5.2007 n. 12498).

L’infondatezza del motivo in esame e’ quindi evidente con riferimento sia alla prospettazione da parte della ricorrente di una diversa valutazione in fatto in ordine alla entita’ delle opere de eseguire e delle servitu’ da costituire per formare porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento,sia soprattutto alla sostenuta necessita’ di demolizione e di ricostruzione dell’immobile in questione, evenienza manifestamente estranea all’ambito di operativita’ della divisione giudiziale; che non puo’ comportare un completo stravolgimento strutturale e funzionale del bene o dei beni da dividere.

Il ricorso deve quindi essere rigettato;non occorre procedere ad alcuna statuizione relativamente alle spese di giudizio, considerata la ritenuta inammissibilita’ del controricorso.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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