LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –
Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Avv. G.F., rappresentato e difeso da se medesimo, elettivamente domiciliato in Roma, via Baldo degli Ubaldi, n. 66, presso lo studio dell’Avv. Simona Rinaldi Gallicani;
– ricorrente –
contro
D.C.M., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Luppi Alberto e Guido Romanelli, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, via Pacuvio, n. 34;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia depositata il 20 luglio 2004;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto;
udito l’Avv. Guido Romanelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Con atto di citazione notificato il 16 maggio 1997, D.C. M. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brescia, G.F., per sentir accertare il confine tra il suo fondo in ***** e quello confinante del convenuto (mappali *****), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da asportazione dei cippi tra i mappali *****, che segnavano il confine, nonche’ al ripristino dello stato dei luoghi, alterato con l’innalzamento del fondo, e all’adozione degli accorgimenti idonei ad evitare il deflusso delle acque.
Nella resistenza del convenuto, il Tribunale di Brescia, con sentenza depositata il 27 dicembre 2001, accerto’ i confini conformemente alle conclusioni della espletata c.t.u., respinse tutte le altre domande e condanno’ il D.C. alla rifusione integrale delle spese di lite a favore del convenuto.
2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 20 luglio 2004, la Corte d’appello di Brescia ha accolto il gravame principale del D.C. e respinto quello incidentale del G. e, per l’effetto, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato il G. ad impedire il deflusso delle acque dal proprio fondo (mappale *****) sul fondo (mappale *****) di proprieta’ del D.C.; regolando le spese di entrambi i gradi del giudizio, le ha poste a carico del G..
2.1. – Quanto all’actio finium regundorum – poiche’, nel caso concreto, l’attore aveva dedotto un’incertezza oggettiva, derivante dalla mancanza dei cippi di confine in precedenza esistenti, e poiche’ l’istruttoria testimoniale e documentale aveva consentito di accertare l’esistenza effettiva, in passato, di uno o piu’ cippi, non piu’ presenti all’inizio della causa – la Corte di merito non ha condiviso l’affermazione del Tribunale, fatta ai soli fini della pronuncia sulle spese, circa l’inesistenza di una situazione di incertezza.
La Corte territoriale ha peraltro escluso che cio’ potesse comportare l’accoglimento della domanda di condanna dell’appellato al risarcimento dei danni derivanti dalla asportazione dei termini gia’ in precedenza apposti, in quanto nessun motivo di appello era stato svolto a sostegno di tale domanda, gia’ respinta dal Tribunale sul rilievo della mancanza di prova circa l’addebitabilita’ al G. dell’asportazione dei cippi.
In ordine al deflusso delle acque, la Corte di Brescia ha accertato, sulla base della c.t.u., che il fondo di proprieta’ del G. era stato sopraelevato e che scaricava le sue acque sul fondo di proprieta’ del D.C.; ed ha interpretato l’atto notaio Pettenazzi del ***** nel senso che esso non contempla alcuna servitu’ di scolo a carico del fondo del D.C. ed a vantaggio del fondo del G..
Con riguardo all’appello incidentale relativo al mancato accoglimento, da parte del Tribunale, dell’eccezione di usucapione della zona di confine, la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile il motivo per difetto di specificita’.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il G. ha proposto ricorso, sulla base di quattro motivi.
Ha resistito, con controricorso, l’intimato.
In prossimita’ dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1174, 1325 c.c., dell’art. 1350 c.c., nn. 1, 4, 11 e 12, degli artt. 1362, 1363, 1372, 2700, 2722, 2723 c.c., dell’art. 2724 c.c., n. 1, dell’art. 2725 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente si duole che la Corte di merito, travisando il tenore di quanto pattuito con l’atto ai rogiti del notaio Pettenazzi del *****, regolarmente trascritto, non abbia riconosciuto che con esso veniva concessa una servitu’ a titolo perpetuo a favore del fondo G. e contro il fondo A. e Ga., ora D.C.. La sentenza impugnata avrebbe operato un “ribaltamento” dei diritti contrattali assunti, onerando erroneamente del deflusso delle acque il G., annullando l’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico.
Con il secondo mezzo (contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex artt. 1027, 1029 e 1033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) si censura che il ragionamento della Corte sia in netto ed antitetico contrasto con quanto risulta dal citato atto notarile, che prevede esattamente il contrario relativamente alle servitu’ perpetue accettate dai danti causa del D.C.. Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 1033 c.c., “stante la legittimazione attiva del fondo dominante G. nei confronti del fondo servente D.C., vieppiu’ stabilita dal contratto notaio Pettenazzi”.
2. – Entrambi i motivi – i quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.
La Corte d’appello ha rilevato che il rogito Pettenazzi del ***** contiene la clausola secondo cui il fondo ora di proprieta’ del G. e’ esente da qualsiasi servitu’ riguardante il passaggio di coli d’acqua provenienti dai terreni oggi di proprieta’ D.C., senza che cio’ significhi l’inverso, e cioe’ che il fondo D.C. e’ gravato da servitu’ di scolo dai fondi G.. Ha poi aggiunto che la clausola contrattuale che impone ai venditori, danti causa del D.C., di “portare i coli d’acqua, a mezzo di propria rete di fossetti, al colatore posto in contatto con la statale”, dimostra che all’epoca dell’atto notarile il fondo oggi D.C. scaricava sul fondo poi ceduto al G., perche’, in caso contrario, non ci sarebbe stato bisogno di chiarire l’inesistenza di una servitu’ di scolo. Ha infine sottolineato che la tesi opposta (che vorrebbe interpretare la clausola contrattuale come costitutiva di una servitu’ di scolo a favore del mappale ***** a carico del mappale *****), oltre a non trovare alcuna espressione letterale a conforto, e’ smentita dalla situazione dei luoghi, caratterizzata dalla presenza di un fosso colatore sul confine ovest del mappale *****, cioe’ dal lato opposto del mappale *****, che si ricongiunge con il fosso a margine della strada statale n. *****, ove evidentemente, prima del frazionamento dovuto alla vendita perfezionata con l’atto ai rogiti del notaio Pettenazzi, scaricavano tutte le acque provenienti dai fondi ora D.C..
Il convincimento espresso dalla Corte di merito nell’interpretazione del rogito Pettenazzi e’ sorretto da una argomentazione congrua, esente da vizi logici e giuridici.
Il ricorso, per un verso, denuncia il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, esclusivamente con la preliminare indicazione delle norme pretesamente violate, ma senza che la deduzione dell’errore di diritto sia dimostrata per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate dal ricorrente.
E’ noto, al riguardo, che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni, intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (tra le tante, Cass., Sez. 1^, 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., Sez. 3^, 7 maggio 2007, n. 10295).
Al di la’ della astratta enunciazione, l’impugnazione si risolve nella prospettazione di una lettura della portata del rogito Pettenazzi diversa da quella alla quale, con adeguata argomentazione, e’ pervenuta la Corte d’appello.
Sotto questo profilo, la doglianza prospettata dal ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non evidenzia alcuna obiettiva insufficienza dell’interpretazione della vicenda negoziale operata dal giudice di merito ne’ alcuna effettiva contraddittorieta’ del ragionamento decisorio, perche’ la critica del risultato ermeneutico raggiunto dalla Corte del gravame si esaurisce nella mera contrapposizione della diversa in-terpretazione ritenuta corretta dalla parte.
Il ricorrente, invero, lamenta bensi’ l’omessa considerazione, da parte della sentenza impugnata, di clausole contrattuali che sarebbero invece significative della esistenza di una servitu’ di scolo perpetua a vantaggio del fondo ora G. ed a carico del terreno ora D.C.; ma, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione (v., tra le tante, Cass., Sez. 3^, 6 febbraio 2007, n. 2560), omette di trascrivere integralmente il contenuto del contratto asseritamente male interpretato, sicche’ non consente a questa Corte di stabilire, ai fini del controllo di decisivita’, se le pattuizioni (estrapolate dal contesto e) riportate nel ricorso non si riferiscano piuttosto al testo dell’atto Barzizza del *****, richiamato, in parte qua, nel rogito Pettenazzi, con cui erano state convenute servitu’ che, secondo il piu’ recente rogito, “si intendono trasferite a carico degli acquirenti ingegner G.N. e C.A. G. per quella parte del mappale ***** – e cioe’ il nuovo mappale ***** – che acquistano con il presente atto”.
3. – Il terzo motivo e’ rubricato “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto previste dagli artt. 1158 e 1159 c.c. in relazione alla omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, e all’omesso esame del secondo motivo contenuto nell’appello incidentale 14 giugno 2002 ex art. 360 c.p.c., n. 5”.
Premesso che il G. ha eccepito l’intervenuta usucapione anche relativamente ai fossi colatori sin dalla comparsa di costituzione e risposta in primo grado, il ricorrente afferma che tale eccezione “anche in appello fu mantenuta, nel secondo motivo, con precisa e puntuale menzione del mancato accoglimento dell’usucapione” e si duole che “la Corte territoriale non abbia dedotto alcuna motivazione sul punto”, “nemmeno sfiorando l’esame del motivo secondo dell’appello incidentale”.
4. – Il motivo non coglie nel segno.
La Corte di merito non ha esaminato l’eccezione di usucapione perche’ ha ritenuto privo di specificita’ – e quindi inammissibile ex art. 342 c.p.c. l’appello incidentale del G. avverso la statuizioni ne di rigetto contenuta nella sentenza di primo grado.
Con il motivo di ricorso per Cassazione, il ricorrente prospetta un vizio in iudicando e di omessa pronuncia, laddove avrebbe dovuto censurare (deducendo la pertinente violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) la dichiarazione di inammissibilita’ dell’appello incidentale, statuizione – questa – che ha precluso l’esame nel merito del motivo di gravame.
5. – Il quarto motivo – con cui si denuncia il capo della decisione relativo alla condanna al rimborso delle spese di primo e di secondo grado a favore del D.C. e si prospetta la violazione degli artt. 91, 112, 113 e 116 c.p.c. – e’ infondato.
In tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non puo’ essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca e’ rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita’, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (Cass., Sez. 2^, 5 ottobre 2001, n. 12295).
Tanto premesso, sfugge alle censure svolte con il motivo la scelta della Corte territoriale – la quale, tenendo conto dell’esito complessivo del giudizio e valutata l’importanza delle domande accolte (esistenza della situazione di incertezza oggettiva giustificante il ricorso all’actio finium regundorum; condanna del G. ad impedire il deflusso delle acque dal proprio fondo a quello del D.C.) rispetto a quella rigettata (condanna del convenuto al risarcimento dei danni per asportazione dei cippi sul confine) – ha posto a carico del G. le spese di entrambi i gradi del giudizio.
6. – Il ricorso e’ rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010