Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.937 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26098-2004 proposto da:

D.L.D., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato NANNA ROCCO, rappresentato e difeso dall’avvocato GENTILE SERGIO;

– ricorrente –

e contro

R.D., *****, L.N.M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1041/2003 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 28/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 24.11.97 D.L.D. citò al giudizio del Tribunale di Trani R.D. e L.N.M.M., esponendo che quest’ultimo, con scrittura privata del *****, aveva promesso in vendita a lui ed al R. un fondo rustico in agro di ***** per il prezzo di L. 93.000.000, di cui L. 60.000.000 erano stati al momento della stipula versati dall’istante, mentre le rimanenti L. 33.000.000 erano state successivamente pagate dal R., con l’intesa che il bene sarebbe stato acquistato in proprietà per due terzi dall’uno e per un terzo dall’altro; ma il R. aveva poi preteso, offrendogli la somma di L. 13.500.000, di conseguire la metà della proprietà, ragion per la quale non si era addivenuti alla stipula del contratto definitivo. L’attore chiedeva pertanto una pronunzia costitutiva ex art. 2932 c.c., disponente il trasferimento del bene nelle quote da lui indicate.

Costituitosi il R. contestava il fondamento della domanda avversa e chiedeva, a sua volta in riconvenzionale,il trasferimento coattivo dell’immobile in quote uguali. Nella contumacia del L. N., con sentenza del 3.4.01 l’adito Tribunale dispose il trasferimento dell’immobile in quote uguali, compensando le spese.

Tale decisione, appellata dall’attore, veniva confermata dalla Corte di Bari, con sentenza pubblicata il 28.10.03,salvo che per le spese, che in accoglimento del gravame incidentale venivano poste a carico del D.L. per ambo i gradi in considerazione della totale soccombenza, i giudici di appello condividevano pienamente le ragioni esposte da quello di primo grado,ribadendo che, in assenza di una diversa volontà negoziale, che per la natura immobiliare dei diritti avrebbe dovuto essere consacrata per iscritto,in applicazione del principio di cui all’art. 1101 c.c., comma 1 l’acquisto doveva presumersi convenuto in quote uguali, a nulla rilevando che, in punto di fatto, il prezzo fosse stato anticipato in parti disuguali, tanto più che nell’atto scritto, il preliminare, l’acconto di L. 60 milioni risultava genericamente imputato “ai compratori”, senza alcuna distinzione al riguardo.

Contro tale sentenza il D.L. ha proposto ricorso per cassazione,affidato ad un unico motivo. Gli intimati (per il L. N., nelle more deceduto gli eredi, evocati collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio del medesimo) non hanno svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1101, 1351, 1374 e 2932 c.c., censurando la decisione dei giudici di merito di attribuire ai promissari acquirenti in quote uguali la proprietà del bene compromesso sotto vari profili.

Anzitutto sarebbe inconferente il richiamo all’art. 1101 c.c., norma prevedente una presunzione di uguaglianza delle quote dei partecipanti alla comunione, nel caso di specie in cui la proprietà del bene non apparteneva ancora al D.L. ed al R., ma avrebbe dovuto essere loro trasferita. In secondo luogo si lamenta la mancata applicazione, nell’interpretazione del contratto, dell’art. 1374 c.c., che avrebbe richiesto,in mancanza di espresse pattuizioni sulla ripartizione del bene da acquistare, in ultima analisi,il ricorso al criterio integrativo dell’equità, nelle specie comportante l’attribuzione all’odierno ricorrente dei due terzi, per aver corrisposto la corrispondente parte di prezzo,a nulla rilevando la successiva iniziativa dell’altro promissario acquirente di offrire la differenza della quale aveva beneficiato. A tale integrazione non sarebbe stato di ostacolo il principio della c.d. “intangibilità del preliminare” richiamato nella confermata decisione del Tribunale di Trani, essendo stato lo stesso da tempo superato da dottrina e giurisprudenza, al fine di consentire una più adeguata tutela degli interessi delle parti, individuando, a fianco della figura del “preliminare puro”, figure negoziali più flessibili, idonee ad evitare la rigida alternativa tra esecuzione in forma specifica e risoluzione. Quanto, infine, alla necessità ex art. 1351 c.c. della forma scritta ad substantiam, l’esigenza andrebbe riferita al contratto nella sua interezza e non anche alle singole clausole.

Il motivo di ricorso non merita accoglimento.

In mancanza, infatti, di alcuna testuale specificazione delle quote spettanti ai promissari acquirenti, l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita non avrebbe potuto che comportare l’attribuzione del bene in proprietà indifferenziata ai medesimi, tenuto conto del consolidato principio in base al quale “la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo …” con la conseguenza che “in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contrattoci sensi dell’art. 2932 c.c. la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalla parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche” (v., trale altre, Cass. n. 2824/03, 5862/94, 7749/90, S.U. 7481/93).

Nel caso di specie, in cui il contratto preliminare prevedeva semplicemente la vendita del bene all’uno ed all’altro promissario acquirente, senza specificazione delle relative quote, l’instauranda comunione doveva ritenersi convenuta in parti uguali ed indivise in virtù della presunzione dettata dall’art. 1101 c.c., comma 1, che, in quanto espressione di un principio generale si rende applicabile, in via analogica, anche nei casi in cui più soggetti acquistino il diritto al successivo trasferimento di un bene senza specificazione delle relative quote, rimanendo eventuali pattuizioni extratestuali tra i medesimi, circa l’eventuale diversa ripartizione del bene, rilevanti esclusivamente nei rapporti interni, senza poter spiegare alcun riflesso in sede di esecuzione in forma specifica. E’ evidente,a tal riguardo,come la costituzione di una comunione reale con specificazione delle relative quote, secondo patti orali o comunque estranei al contenuto del preliminare, eventualmente intervenuti tra i promissari acquirenti, ma ai quali sia rimasto estraneo il promittente venditore, si tradurrebbe nella realizzazione di un assetto negoziale definitivo diverso da quello convenuto ex art. 1351 c.c., stante la diversità oggettiva e giuridica del bene della vita trasferito, altro essendo una quota ideale e definita dell’immobile, altro la proprietà comune ed indifferenziata dello stesso, la cui attribuzione in quote uguali costituisce soltanto un posterius logico-giuridico, derivante dalla presunzione legale in precedenza citata, rispetto al momento acquisitivo ex art. 2932 c.c..

Nè possono giovare alla tesi del ricorrente i richiami dottrinali e giurisprudenziali, attinenti ad ipotesi nelle quali l’assetto definitivo di interessi realizzato ex art. 2932 c.c., se pur non integralmente corrispondente alle pattuizioni preliminari, non sia comunque tale da comportare l’introduzione di elementi essenziali nuovi rispetto a quelli contenuti nel contratto preliminare.

Conseguentemente la pretesa di modificare oggettivamente e quantitativamente il bene oggetto del trasferimento,sulla base di pattuizioni esterne al contenuto dell’atto, non è sostenibile, perchè chiaramente collidente, vertendosi in tema di trasferimento immobiliare, con la regola di cui all’art. 1351 c.c., in rel.

all’art. 1350 c.c., n. 1 componente ad substantiam la forma scritta, requisito che seppur non estensibile a pattuizioni accessorie o di contorno, è comunque indefettibile con riferimento agli elementi essenziali del contratto, segnatamente all’indicazione dell’oggetto, per la cui individuazione non è possibile il ricorso a criteri interpretativi extratestuali, quali il comportamento delle parti antecedente, contemporaneo o successivo alla stipulazione.

Dalle suesposte considerazioni consegue, dunque, la non conferenza del richiamo al criterio ermeneutico sussidiario di cui all’art. 1374 c.c., tanto più ove si consideri che, nel caso di specie, il testo del contratto preliminare, così come riferito nella sentenza di merito, non era caratterizzato da lacune o incertezze interpretative (sulla necessità al riguardo v. Cass. 5862/94), cui fosse necessario ovviare ai fini di rendere possibile la richiesta esecuzione specifica, essendo in esso previsto il trasferimento del bene sic et simpliciter ai promissari acquirenti per un prezzo definitoci cui una parte ricevuta in acconto da entrambi, senza distinzioni personali.

Il ricorso va, conclusivamente respinto.

L’assenza di controparti resistenti esime, infine, dal regolamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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