LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 403-2005 proposto da:
G.M., *****, G.A.M., *****, I.R., *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato RICCI REGINA, rappresentati e difesi dall’avvocato MONTELEONE LUCIO GIULIO;
– ricorrenti –
e contro
GI.GI., *****, G.A., *****, PI.MI., *****, P.A., *****;
– intimati –
sul ricorso 2947-2005 proposto da:
PI.MI., *****, P.A., *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, rappresentati e difesi dagli avvocati IANNARELLI PASQUALE, IANNARELLI LUIGI;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
contro
G.M., G.A.M., I.R.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 670/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 14/07/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;
udito l’Avvocato Lucio MONTELEONE, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale con rigetto del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del 2^ e 3^ motivo del ricorso principale, parziale accoglimento del 1^ motivo del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 18.10.93 I.R., ved. G., G.M., Gi., A.M. e A., proprietari di un vano terraneo in *****, sulla cui parte superiore Pi.Mi. aveva acquistato, nel ***** dal comune dante causa, il cd. “cielo edificabile”, lo citavano al giudizio del Tribunale di Foggia, deducendo che nonostante l’intervenuta prescrizione per non uso del diritto di superficie nella specie configurabile, il medesimo aveva messo in comunicazione detto lastrico solare con un attiguo immobile di sua proprietà, mediante una porta ed una scala, opere di cui chiedevano la rimozione, previa declaratoria dell’avvenuto consolidamento della piena proprietà di essi attori, con condanna del convenuto al rilascio dell’area. Costituitosi il P., resisteva alla domanda, eccependo che il proprio diritto non si era estinto,essendovi stati atti interruttivi del termine prescrizionale e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna degli attori alla rimozione di una canna fumaria realizzata sul lastrico, con risarcimento dei danni. Il contraddittorio veniva esteso ad P. A., figlio di Mi., al quale quest’ultimo aveva ceduto, prima del giudiziosi diritto di superficie, con riserva di usufrutto;
il chiamato non si costituiva. All’esito dell’istruttoria documentale ed orale, con sentenza n. 2450/00 del G.O.A. della sezione stralcio del tribunale aditola domanda principale veniva accolta e quella riconvenzionale respinta.
Veniva proposto appello da Pi.Mi., al quale aderiva,successivamente intervenendo a seguito della disposta integrazione del contraddittorio, P.A.; si costituivano i G. e la I. e resistevano al gravame.
Con sentenza del 16.6.04,pubblicata il successivo 14.7, l’adita Corte di Bari, in riforma di quella appellata, escludeva, anzitutto, la prescrizione del diritto di superficie,essendo stati provati, quali atti interruttivi implicanti il riconoscimento dello stesso, la richiesta e l’ottenimento del consenso del P. alla realizzazione, avvenuta tra il *****, della canna fumaria da parte dei G., nonchè una richiesta, nel *****, di questi ultimi al predetto di contribuire alle spese di impermeabilizzazione del lastrico; pertanto rigettava la domanda principale nella parte richiedente la declaratoria di estinzione del diritto di superficie e del consolidamento della proprietà degli attori. L’accertamento della persistenza del diritto di superficie in capo al P. comportava quindi,secondo la corte barese la fondatezza della domanda del medesimo di eliminazione della canna fumaria, verbalmente solo autorizzata, senza la costituzione di alcun diritto al riguardo, che avrebbe richiesto la forma scritta per la natura dei diritti immobiliari implicati; tale domanda veniva pertanto accolta, con rigetto tuttavia della richiesta risarcitoria, in quanto non provata.
Quanto alla porta ed alla scala con le quali il P. aveva reso comunicante il proprio adiacente immobile con il lastrico solare, i giudici di appello consideravano che tali opere esorbitassero dai limiti del diritto di superficie, avente ad oggetto le mere facoltà di utilizzo in verticale dello spazio sovrastante le unità immobiliari dei G., e poichè il mantenimento delle stesse si sarebbe risolto nella creazione di una servitù a carico del sottostante fabbricato, confermava la condanna del convenuto alla relativa eliminazione. Per l’una e l’altra statuizione restitutoria la corte barese fissava il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della decisione; le spese del doppio grado di giudizio venivano in fine, compensate, in ragione della reciproca soccombenza.
Contro la suddetta sentenza G.M. ed A.M. e I.R. hanno proposto comune ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Hanno resistito Pi.Mi. e A. con controricorso,contenente ricorso incidentale. Gi.Gi. e G.A. non hanno svolto attività difensiva. La difesa dei controricorrenti ha infine depositato una memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi.
Con il primo motivo di quello principale vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 844, 110 e segg., 1101, 1350, 1376 e 2697 c.c., artt. 115, 116, 132 e 612 c.p.c., D.P.R. n. 1391 del 1970, art. 6 nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento al capo della sentenza disponente la rimozione della canna fumaria dal lastrico solare.
Tale statuizione,sostanzialmente immotivata (laddove la si giustifica con la mancanza di autorizzazione della controparte), non avrebbe tenuto conto che gli istanti ben avrebbero potuto, nell’esercizio del loro diritto di proprietà e nel rispetto (nella specie sussistente in relazione all’art. 6, citato D.P.R.) della normativa speciale, mantenere il manufatto in questione che, in quanto incorporato al pari del sottostante camino nella muratura portante a fronte strada, nessuna lesione comportava al diritto del superficiario, il quale, ove avesse realizzato la soprelevazione,avrebbe dovuto consentire il prolungamento della canna fumaria fino ad un metro al di sopra del sommo della nuova costruzione, come previsto dalla sopra citata disposizione speciale. Per di più illegittima sarebbe la facoltà, accordata alla controparte, di provvedere direttamente alla rimozione in difetto di ottemperanza dei gravati, dovendo al riguardo e se del caso esperirsi il procedimento esecutivo di cui all’art. 612 c.p.c..
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 844, 1100, 1102, 1350, 1376 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c., con connesse carenze e contraddittorietà di motivazione, censurandosi la valutazione delle risultanze delle prove testimoniali e dell’interrogatorio formale da parte della corte di merito,secondo la quali vi sarebbero stati vari atti di riconoscimento del diritto di superficie idonei ad interromperne la prescrizione. In particolare: a) non risponderebbe al vero la circostanza che Gi.Gi. (peraltro all’epoca dei fatti non ancora titolare della piccola quota di proprietà poi ereditata dal padre) avesse chiesto il permesso di aumentare l’altezza della canna fumaria, avendo egli solo riferito, nel corso del suo interrogatorio formale, che a tale operazione era stato presente Pi.Mi., dalla sottostante strada, senza nulla obiettare; b) la testimonianza sulla suddetta circostanza di Pi.Mi. (cugino omonimo del convenuto) sarebbe stata vaga e de relato; c) quanto all’ammissione di Gi.Gi. di aver chiesto al P. un contributo per l’impermeabilizzazione del solaio, la stessa, provenendo dal titolare della quota di un solo quinto della proprietà, non avrebbe potuto spiegare effetti ricognitivi, sfavorevoli anche per gli altri comproprietari e, per di più, sarebbe stata riferibile ad un’epoca, il *****, in cui si era già verificata la “decadenza ventennale del diritto di soprelevazione”; d) ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1350 e 1376 c.c., essendo necessaria la forma scritta per la costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare e costituendo il relativo termine un elemento essenziale dello stesso, del tutto inutili sarebbe stati la prova per testi e l’interrogatorio formale.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Cost., comma 2, artt. 840, 952, 954 e 1072 c.c., art. 1073, commi 5 e 6, artt. 1074, 1165 e segg., 2035, 2941, 2944, 2964 e segg. e 2697 c.c., artt. 115 e 132 c.p.c., con connesse insufficienza e contraddittorietà di motivazione in punto di ritenuta interruzione della prescrizione del diritto reale in questione.
Premesso che il “cielo edificabile” è un diritto non previsto e disciplinato da alcuna norma e che per la relativa disciplina e tutela è necessario riferirsi alla figura giuridica similare, costituita dal diritto di superficie disciplinato dall’art. 952 e segg. c.c. dopo una dissertazione storico-teorica sugli istituti della prescrizione e della decadenza, sulla natura reale ed assoluta del diritto di superficie e sugli istituti della sospensione e dell’interruzione, la cui applicazione ai diritti reali dovrebbe essere, in considerazione dell’assolutezza degli stessi, improntata a criteri restrittivi, si passano in rassegna varie ipotesi codicistiche di sospensione ed interruzione, concludendo per l’esclusione dell’applicabilità delle stesse al diritto di superficie, segnatamente con riferimento: a) all’interruzione da parte del titolare (art. 2943 c.c.) mediante costituzione in mora, poichè nel caso di specie “l’unico che deve fare qualcosa è il titolare del diritto di superficie) all’interruzione per effetto del riconoscimento (art. 2944 c.c.), che avrebbe “una logica solo nell’ambito dei rapporti obbligatori” e non anche nei diritti reali in cui i rapporti si instaurano direttamente tra il titolare del diritto e la cosa; sicchè il proprietario di un immobile gravato da diritto di superficie “non può che riconoscere il diritto dell’altro”,la cui prescrizione può essere interrotta esclusivamente da quella specifica attività della sopraelevazione della costruzione,potendo iniziare un nuovo decorso solo nel caso in cui l’opera,per caso fortuito e per volontà del proprietario,sia demolita. Nessuno dei suesposti motivi è meritevole di accoglimento.
Procedendo, anzitutto, all’esame del terzo, che riveste evidente priorità logico giuridica rispetto ai rimanenti, osserva la Corte che la tesi in esso sostenuta, secondo la quale il decorso del termine prescrizionale del diritto di superficie non sarebbe interrotto dal riconoscimento dello stesso da parte del proprietario dell’area assoggettatavi, si pone in palese contrasto con il dettato normativo, con la dottrina e con la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 3953/76, 5958/78, 3756/79, 6364/87, 4794/08), che non ha mai dubitato dell’applicabilità ai diritti reali su cosa altrui degli istituti della sospensione e della interruzione. Quest’ultimo, in particolare, è contenuto nella sezione 3^, capo 1^, titolo 5^, del libro 6^ del codice civile, nell’ambito della disciplina generale della prescrizione, che per definizione normativa (art. 2934 c.c.) costituisce una causa di estinzione di “ogni diritto”, salvi quelli indisponibili o per i quali la legge espressamente ne escluda l’applicabilità. Non distinguendo la sopra citata norma iniziale della prima sezione tra diritti reali e diritti di credito e facendo alla stessa seguito, senza alcuna distinzione, le norme successive, tra cui quelle contenute nella sezione terza, nessuna ragione,di ordine normativo e sistematico, autorizza a ritenere che il suddetto istituto sia esclusivo dei diritti personali o relativi e non applicabile anche a quelli reali, che pur sono assoggettati a prescrizione per non uso (usufrutto ex art. 1014 c.c., n. 1, servitù prediali ex art. 1073 c.c., superficie ex art. 954 c.c., u.c., enfiteusi ex art. 970 c.c.), non essendo rinvenibile nelle relative e particolari norme che la prevedono, a parte la maggior durata dei termini, alcuna deroga a quelle di carattere generale, in particolare con riferimento all’interruzione. Pertanto anche in tema di diritto di superficie il riconoscimento dello stesso da parte del soggetto contro il quale tale diritto può essere fatto valere, vale a dire da parte del proprietario del suolo o fabbricato sul quale è stato costituito il suddetto diritto reale, comporta, ai sensi della norma generale di cui all’art. 2944 c.c. l’interruzione del decorso del termine di prescrizione per non uso.
Nessun profilo di incompatibilità può, d’altra parte, ravvisarsi tra tale ius in re aliena e l’atto ricognitivo da parte del proprietario gravato, tenuto conto che la ratio della prescrizione per non uso va individuata nel disinteresse dell’avente diritto e nella correlativa esigenza, nell’interesse del suddetto proprietario, che tale diritto sia esercitato in tempi ragionevoli, ragioni che, all’evidenza, vengono meno nel caso in cui vi sia una manifestazione di inequivoco riconoscimento da parte del soggetto contro il quale il diritto può essere esercitato, integrante una soluzione di continuità di quella sostanziale inerzia sanzionata dalla norma prevedente l’estinzione.
Palesemente inconferente è, infine, il richiamo agli artt. 1350 e 1376 c.c., circa i requisiti di forma scritta ad substantiam in materia di diritti reali immobiliari, considerato che gli stessi attengono agli elementi essenziali e costitutivi dei diritti in questione e non anche ad atti estrinseci, idonei ad incidere, positivamente o negativamente, sulla loro estinzione, quali quelli comportanti l’interruzione del termine di prescrizione.
Procedendo in ordine di priorità logico-giuridica, ritiene la Corte che non miglior sorte meriti il secondo motivo con il quale si contesta la sussistenza in concreto degli atti di riconoscimento e la relativa efficacia.
Il motivo, nella parte in cui nega le ammissioni rese da Gi.
G. e svaluta la convergente testimonianza riferita nella sentenza impugnataci risolve nell’inammissibile rivisitazione delle risultanze istruttorie, proponendo una versione delle stesse diversa da quella fornita, senza incorrere in vizi logici testualmente rilevabili, dai giudici di appello.
L’obiezione, poi, secondo le quali la richiesta di autorizzazione all’installazione della canna fumaria sul lastrico sarebbe stata formulata dal suddetto quando ancora non era titolare della comproprietà del fabbricato, non coglie nel segno, ove si consideri che la stessa, essendo diretta alla realizzazione di un’opera, poi eseguita, a servizio del sottostante immobile, non poteva che promanare dagli effettivi titolari della proprietà dello stesso, interessati alla relativa realizzazione. Sicchè logico ed incensurabile deve ritenersi il riferimento comune ed indifferenziato dell’atto di riconoscimento ai G., dei quali Gi., quand’anche all’epoca non ancora comproprietario, era da considerarsi un comune portavoce, come poi confermato dalla circostanza che quel manufatto venne poi realizzato a seguito di tale verbale autorizzazione e lasciato in sito dagli interessati.
Analoghe considerazioni valgano, quanto alla riferibilità indifferenziata a tutti i G. e non al solo Gi., della richiesta di contribuzione alle spese di impermeabilizzazione del lastrico, ulteriore atto ricognitivo che non è da ritenersi tardivo, perchè successivo al ventennio dalla costituzione del diritto di superficie, essendo intervenuto successivamente a quello precedente, che aveva già interrotto il decorso del termine di prescrizione.
Passando al primo motivo di ricorsola anzitutto osservato che lo stesso, nella parte in cui deduce che la canna fumaria non potrebbe essere rimossa, in quanto incorporata in un muro perimetrale, introduce inammissibilmente elementi di fatto nuovi, che non risultano essere stati dedotti in sede di merito, rilevandosi dal contenuto della sentenza impugnata che tale manufatto era stato realizzato “sul predetto lastrico solare ” (pag. 3, primo rigo), ovvero “sul c.d. cielo edificabile” (pag. 6, dodicesimo rigo), dizione quest’ultima ripetuta nel capo c) del dispositivo. D’altra parte la dedotta ubicazione perimetrale del suddetto manufatto, che comunque si eleva al di sopra dell’area del lastrico, non vale ad escluderne la ritenuta lesi vita del diritto di superficie, comportante la facoltà del superficiario di edificare su tutta la sommità dell’immobile gravato, e dunque,anche sulla relativa parte perimetrale esterna, in prolungamento verticale del sottostante muro, nel quale si assume essere incorporato il tratto inferiore e preesistente della canna fumaria.
Quanto alla compatibilità della disposta rimozione con le norme speciali di cui al D.P.R. n. 1391 del 1970, trattasi anch’essa di una questione nuova, che non risultane viene dedotto, essere stata prospettata in sede di merito; sicchè il relativo profilo di censura, che comunque prospetta una difficoltà o impedimento eventualmente deducibile in sede di esecuzione ex art. 612 c.p.c., è in questa sede inammissibile.
Il rimanente profilo di censura non ha motivo di essere, considerato che la statuizione “di rimuovere la canna fumaria … entro sei mesi dal passaggio in giudicato … autorizzando in mancanza la controparte a provvedervi” (non direttamente), non va interpretata quale impropria autorizzazione air esercizio di autotutela sostitutiva, svincolata da ogni controllo giudiziario, ove la si legga nel contesto complessivo della decisione, in relazione all’ultima parte della motivazione, in cui i giudici di appello, per “ragioni di evidente contestualità esecutiva …” hanno ritenuto di “fissare per la rimozione della canna fumaria da parte dei G.- I. lo stesso termine … già opportunamente stabilito in prime cure nell’ambito delle modalità di esecuzione dell’eliminazione della porta e della scala da parte dei P.”.
Rilevandosi che le finalità perseguite dalla corte di merito erano essenzialmente quelle di abbinare nelle ipotesi di inottemperanza delle partirle due eventuali reciproche esecuzioni, per evidenti motivi di opportunità, l’autorizzazione alla parte a “provvedervi … entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza …” non può che l’essere intesa se non nel senso che l’eventuale azione esecutiva ex art. 612 c.p.c. potrà essere proposta soltanto dopo il vano decorso del suddetto termine di ottemperanza accordato alla controparte, così come per l’altra, subita, condanna restitutoria.
Anche il ricorso incidentale, con il quale si censura la subita condanna a rimuovere la porta e la scala che pongono in comunicazione il lastrico con l’adiacente immobile di proprietà dei P., deve essere respinto, essendo basato sulla proposizione secondo la quale il diritto di superficie comporterebbe la facoltà di utilizzazione in qualsiasi modo, “specie se si incorpora nella proprietà finitima dello stesso titolare del diritto”, pur con senza realizzare la sopraelevazione. Il mezzo d’impugnazione, oltre a non indicare sotto quale delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., sarebbe riconducibile il vizio della decisione impugnata, difetta anche di specificità, risolvendosi in una mera doglianza assertiva, che, limitandosi a definire “di scarsa chiarezza … sorprendenti e privi di qualsiasi supporto” i motivi di tale capo della sentenza, non attacca specificamente l’essenziale ratio decidendi della lamentata statuizione, secondo la quale il diritto del superficiario, essendo limitato alla facoltà di utilizzazione edificatoria dello spazio aereo sovrastante l’immobile sul quale è concesso (che non costituisce un bene giuridico suscettibile di proprietà, ma solo la proiezione verso l’alto delle facoltà allo stesso inerenti: v. Cass. n. 7051/04), non consente anche altre forme di utilizzazione, di tipo dominicale pieno, o a guisa di servitù, quali quelle nella specie rese possibili dalle opere in questione, in concreto risolventisi nella trasformazione del lastrico solare in una sorta di terrazza praticabile, annessa o comunque asservita all’altro fabbricato adiacente, di proprietà del superficiario, a detrimento di quello sottostante.
Tenuto conto, infine, della reciproca soccombenza anche in questa sede, le spese del giudizio vanno integralmente compensate.
PQM
La Corte, riuniti i ricorsi, principale ed incidentale,li rigetta entrambi e dichiara interamente compensate le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010