LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente –
Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 502-2005 proposto da:
R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE 5, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIETRO PASQUALE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
PROVINCIA LA SPEZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato BARBIERI PIERO LUIGI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 18/2003 del TRIBUNALE di LA SPEZIA, depositata il 09/02/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di La Spezia L. n. 689 del 1981, ex art. 22 depositato il 11.11.00 R.R. si oppose all’ordinanza – ingiunzione n. 16528, per il pagamento della sanzione amministrativa di L. 3.020.000 emessa il 3.7.00 dalla Provincia di quella città a suo carico, in solido con tali A.A. e G.M., per la violazione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15 e art. 52, comma 3 per aver effettuato attività di trasporto di rifiuti pericolosi, costituiti da liquidi nocivi provenienti da macchine automatiche per lo sviluppo fotografico di proprietà della società Dedem Automatica s.r.l., in esercizio nei territori di *****, raccolti e trasportati dalla ditta dell’opponente, senza aver tenuto il prescritto formulario. L’opponente dedusse l’inconfigurabilità dell’illecito, perchè il materiale trasportato, facendo ancora parte del ciclo di produzione, non era classificabile quale rifiuto con conseguente insussistenza dell’obbligo del formulario, comunque ed in subordine non ancora in vigore, per mancata emanazione delle norme regolamentari esecutive. La Provincia si costituì e resistette puntualmente all’opposizione, che venne respinta dal giudice del Tribunale adito con sentenza del 9.1.03 pubblicata il 9.2.04.
Osservò il giudicante che le sostanze in questione,provenienti dall’uso delle apparecchiature fotografiche automatiche e non più commerciabili, erano da considerarsi oggettivamente destinate all’abbandono e, pertanto, rifiuti, ai sensi sia della previgente normativa di cui al D.P.R. n. 915 del 1982, sia di quella contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, già in vigore all’epoca dei fatto ed applicabile senza moratoria, che li classificava con i codici CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti, come da all. D al D.Lgs. n. 22 del 1997) n. 090101,090104 e 09105 quali rifiuti “speciali”.
Avverso tale sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Ha resistito la Provincia di La Spezia con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 15 e art. 52, comma 3 per carenza assoluta di potere dell’Amministrazione Provinciale, essendo l’illecito contestato di cui alle citate disposizioni, di natura penale, come previsto, dal secondo periodo dell’art. 52 cit., comma 3 comminante, per le ipotesi di trasporto di rifiuti pericolosi non accompagnati dal prescritto formulario di identificazione, l’applicazione della pena di cui all’art. 483 c.p..
Il motivo è inammissibile, perchè deduce, per la prima volta in questa sede, un vizio di legittimità dell’atto amministrativo che non era stato dedotto in sede di opposizione. Come è stato più volte precisato da questa Corte, nel processo regolato dalla L. n. 689 del 1989, art. 23 e segg. di natura devolutivo-impugnatoria, la causa petendi resta immodificabilmente fissata dalle ragioni addotte a sostegno dell’atto di opposizione, con conseguente impossibilità di dedurre o anche rilevare di ufficio parte i casi di radicale inesistenza dell’atto impugnato (il che non si verifica nel caso di specie, in cui l’ordinanza ingiunzione risulta emessa nel formale rispetto delle regole disciplinanti il procedimento sanzionatorio amministrativo), profili di illegittimità del provvedimento impugnato diversi da quelli dedotti dall’opponente (v., tra le altre, Cass. 9987/03, 13670/03, 4781/04, 1375/06, 17625/07, 10053/06, quest’ultima relativa a fattispecie in parte analoga alla presente, nella quale erano state dedotte, soltanto in sede di giudizio di cassazione, la cognizione del giudice penale e la carenza di potere della P.A. ad emettere l’ordinanza – ingiunzione).
E’ appena il caso, poi, di osservare come il radicale difetto denunciato dal ricorrente non attenga ad un presupposto processuale del giudizio oppositivo, ipotesi nella quale avrebbe potuto giustificarsi il sollecitato rilievo anche di ufficio della nullità, bensì ad una carenza di potere dell’amministrazione, portatrice della pretesa sanzionatoria trasfusa nell’ordinanza-ingiunzione, vale a dire ad un tipico vizio dell’atto amministrativo,come tale ormai sottratto alla cognizione di questa Corte,non avendo formato oggetto del giudizio di merito.
Quale che sia pertanto, la fondatezza in linea di principio della tesi sostenuta nel mezzo d’impugnazione, l’esame del presente ricorso, per quanto forma oggetto della parte rimanente, deve essere compiuto alla stregua dell’ormai immodificabile qualificazione della violazione ascritta quale illecito amministrativo, ai sensi delle disposizioni rubricate nel provvedimento impugnato e riportate nella sentenza di merito.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce “violazione di legge e motivazione omessa e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia: insussistenza dell’obbligo del FIR”. Premesso che i trasporti senza “formulario di identificazione dei rifiuti” (FIR) erano avvenuti tra l’aprile ed il maggio del 1997 epoca nella quale, pur essendo già entrato in vigore il D.Lgs. n. 22 del 1997, che aveva assoggettato per la prima volta il trasporto dei rifiuti speciali a tale obbligo (che il previgente D.P.R. n. 915 del 1982 imponeva soltanto per i rifiuti “tossici e nocivi”), non era stata ancora emanata la disciplina regolamentare attuativa prevista dalla disposizione transitoria contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 57 (nella specie emanata successivamente, con il D.M. 1 aprile 1998, n. 145, recante la definizione del modello ed i contenuti del formulario suddetto), si censura la decisione impugnata per aver ritenuto, nondimeno, attuale e sanzionabile l’obbligo in questione.
Il motivo, che si pone in palese contrasto con il precedente, nel quale si è ammesso,sia pure a diversi fini che la contestazione dell’illecito, confermata dal giudice, atteneva a rifiuti pericolosi, non merita accoglimento, traendo spunto da un mera svista terminologica in cui è incorso il giudicante. Considerato che ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 1 i rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in due categorie, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, nell’ambito di quest’ultima, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi, l’avere il giudice di merito, nella parte finale della motivazione, incorrendo in un evidente lapsus omissivo, definito semplicemente “speciali” i rifiuti in questione, senza aggiungere che gli stessi erano anche “pericolosi”,non ha dato luogo (nè avrebbe potuto, considerati i limiti cognitivi del procedimento impugnatorio di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23 e segg.) ad alcun mutamento della contestazione, ove si consideri che nelle altre parti della sentenza si precisa, con inequivocabile riferimento anche ai pertinenti codici classificatori CER, di cui all’elenco all. D del D.Lgs. n. 22 del 1997, che i rifiuti in questione erano “pericolosi” (v. pag. 2, primo periodo pag. 3, secondo periodo). Sicchè è in relazione a tale categoria, corrispondente a quella dei “rifiuti tossici e nocivi” di cui alla previgente disciplina, in virtù dell’equiparazione contenuta nella disposizione transitoria contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 57, comma 1, seconda parte che deve farsi riferimento al fine di stabilire se nella fattispecie l’obbligo di accompagnamento del trasporto degli stessi con il formulario identificativo fosse cogente e sanzionato all’atto dell’entrata in vigore della nuova normativa.
A tale quesito deve darsi risposta positiva, in considerazione della già evidenziata circostanza, ammessa pure dal ricorrente, che anche nel vigore del D.P.R. n. 915 del 1982 sussisteva l’obbligo del formulario identificativo per il trasporto dei rifiuti “tossici e nocivi” (successivamente definiti “pericolosi”), previsto dall’art. 18 del medesimo decreto presidenziale, che già ne precisava il contenuto essenziale ed il quale aveva, tra gli altri, fatto seguito, per la definizione delle caratteristiche del relativo modello, il D.M. 5 settembre 1994. Tale previgenza comportava che, continuando ad applicarsi in via transitoria e fino all’emanazione delle nuove previste norme attuative del D.Lgs. n. 22 del 1997, quelle in vigore “regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti” (art. 57, comma 1, p.p.), e tra queste la disciplina relativa all’annotazione sul formulario dei rifiuti “tossici e nocivi” (vale a dire “pericolosi”) di cui al sopra citato art. 18 e relativi regolamenti di attuazione, l’obbligo in questione, ribadito dall’art. 15 e sanzionato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 52, comma 3 non necessitava di alcuna ulteriore specificazione o disciplina attuativa, ed era pertanto immediatamente cogente all’atto dell’entrata in vigore del sopra citato decreto legislativo, in virtù della relativa, pure citata, disposizione transitoria, a nulla rilevando che il nuovo regolamento di attuazione sia stato poi emanato con il D.M. 1 aprile 1998, successivamente alla commissione del fatto (per fattispecie analoga v. Cass. 1 civ. n. 18404/06).
Con il terzo motivo si deduce violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. i) nonchè omessa ed insufficiente motivazione sulla nozione giuridica di “luogo di produzione dei rifiuti”.
Premesso che i liquidi in questione venivano prelevati dalle varie cabine fotografiche sparse sul territorio ed avviati alla sede centrale della società Dedem Automatica, sita in *****, allo scopo del reimpiego, si censura l’affermazione del giudice di merito,secondo la quale “il luogo di produzione” si identificherebbe in ciascuna cabina … negandosi a queste ultime la qualificabilità di stabilimenti o siti infrastrutturali, che avrebbero dovuto essere tra loro collegati all’interno di un’area delimitata, vale a dire di un perimetro aziendale, destinato allo svolgimento delle attività originanti i rifiuti e nel quale avrebbe potuto effettuarsi il deposito temporaneo degli stessi.
Il motivo è infondato, non solo perchè si basa su una premessa in fatto, quella secondo la quale i liquidi di risulta trasportati sarebbero stati destinati ad ulteriore utilizzazione da parte dell’impresa produttrice, assunto che, come si vedrà oltre, non risulta provato e solo in via di ipotesi è stato preso in considerazione dal giudice di merito ai fini di evidenziarne rirrilevanza, ma anche e soprattutto per difetto di rilevanza della questione proposta. Nel caso di specie, infatti, la violazione dell’obbligo della tenuta del registro e delle relative annotazioni è stata contestata al R. non in quanto titolare dell’impresa produttrice di rifiuti (che ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 12, comma 3 è obbligata a tenere i registri “presso ogni impianto di produzione …”), bensì quale titolare di quella “che effettua attività di raccolta e trasporto …”, presso la cui “sede” (come previsto dall’articolo già citato, nella successiva parte del comma 3) tali imprese hanno l’obbligo di tenere i registri.
Conseguentemente la questione, ai fini della tenuta del registro e delle relative annotazioni, se ciascuna cabina di proprietà della società Dedem Automatica potesse considerarsi “impianto” di produzione ex art. 12, comma 3 o “stabilimento” o “sito infrastrutturale” ex art. 6, comma 1, lett. i) cit. D.Lgs. avrebbe potuto al più riguardare la posizione non oggetto del presente giudizio, dell’impresa produttrice, ma non anche quella della ditta Rizzi, che esercitando l’attività di raccolta e trasporto dei reflui in questione, avrebbe dovuto tenere presso la propria sede – non risulta che l’abbia fatto – i registri di cui all’art. 12 ed effettuarvi le prescritte annotazioni.
Con il quarto motivo si deduce omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in rel. L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 12 per aver presunto, senza alcun criterio logico o probatorio, che i liquidi provenienti dalle cabine fotografiche avessero perduto la loro funzione originaria e primaria, assumendo la qualità di rifiuti, peraltro in contraddizione con l’ammissione di una lecita possibilità di riutilizzo, secondo le previsioni normative, per “sperimentazioni e test”.
Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6 contestandosi la ritenuta natura di rifiuti delle sostanze in questione,per difetto dei requisiti sia oggettivi sia soggettivi, poichè nel caso di specie i liquidi provenienti dalle cabine non sarebbero stati affatto esauriti e non necessitavano di alcuna operazione di recupero, essendo raccolti e trasportati ad uno stabilimento della società, sito in *****, per la sottoposizione, senza alcun trattamento preventivo, ad analisi e test in vista della riutilizzazione; sicchè non sussisteva alcuna intenzione di disfarsi di tali sostanze, ancora idonee ad ulteriore utilizzazione nell’attività industriale.
Con il sesto motivo si deduce violazione di legge per omessa applicazione della L. n. 178 del 2002, art. 14 contenente interpretazione autentica della nozione di rifiuto, disposizione nazionale non in contrasto con la normativa europea e comunque cogente nel diritto interno per la non diretta operatività di quelle, in supposto contrasto, comunitarie, a termini della quale la possibilità di un riutilizzo nel medesimo, in analogo o in diverso ciclo produttivo delle sostanze residuali di produzione de quibus senza sottoposizione ad alcun intervento preventivo di trattamento, nè pregiudizio per l’ambiente, ne avrebbe escluso la natura di rifiuto.
Neppure tali motivi, che per la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, meritano accoglimento.
E’ incontroverso in punto di fatto, che le sostanze in questione provenivano dalle cabine fotografiche site nei territori di ***** appartenenti alla società Dedem Automatica s.r.l.
e che le stesse erano costituite da liquidi usati in tali apparecchiature, oggetto di prelievo periodico, segnatamente da “soluzioni di sviluppo e attivanti a base acquosa” (cod. CER 090101), “di fissaggio” (cod. CER 09104),” di lavaggio e di lavaggio del fissatore” (cod. CER 090105). Tale circostanza era più che sufficiente a far ritenere,sulla scorta di presunzione logica e di nozioni di comune esperienza, che detti liquidi,proprio perchè estratti dalle macchine nelle quali avevano assolto per i periodi di tempo programmati, la loro precipua funzione, avessero perso la loro naturale ed originaria composizione in quanto utilizzati all’interno delle apparecchiature per le operazioni fotografiche automatizzate.
In siffatto contesto, considerato che la successiva riutilizzazione senza subire trattamenti di sorta in funzione ed all’esito dei non meglio precisati “tests” sperimentali, costituisce una mera affermazione dell’opponente, non suffragata da alcuna prova concretala solo considerata, in via d’ipotesi, dal giudice di merito, ai fini di dichiararne comunque l’irrilevanza, deve anzitutto escludersi che la decisione impugnata sia incorsa in malgoverno dei principi regolanti l’onere della prova, posto che gli elementi acquisitici fatto (il prelievo periodico di tali sostanze dalle cabine fotografiche) e normativo (l’inclusione delle relative sostanze nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui al catalogo europeo recepito dal D.Lgs. n. 22 del 1997), erano più che sufficienti a sorreggere la presunzione che si trattasse di rifiuti, dei quali il detentore avrebbe dovuto disfarsi, incombendo su costui l’onere di provare la circostanza, invero eccezionale, che, nonostante l’uso protratto nel temporali sostanze fossero ancora idonee ad essere utilizzate nel procedimento produttivo,senza dover subire alcun trattamento. Ed, a tal ultimo proposito, la stessa giustificazione secondo la quale detti liquidi avrebbero dovuto essere sottoposti a “tests” e “sperimentazioni”, a centinaia di chilometri di distanza dai luoghi di produzione e prelievo, conferma come la relativa riutilizzazione, non meglio precisata e comunque indimostrata, sulla quale essenzialmente si basa l’impostazione difensiva del ricorso, costituisse solo un’ipotesi, subordinata all’esito degli esami cui le sostanze avrebbero dovuto essere sottopostele da escludere, in concreto e per parte delle stesse non preventivamente valutabile quella perdita dell’originaria idoneità all’ulteriore uso nell’attività industriale derivante dal già avvenuto sfruttamento,in considerazione della quale le medesime, salve le eccezionali ipotesi di parziale “ripescaggio”, non avrebbero potuto che essere considerate “rifiuti”, perchè delle stesse la detentrice avrebbe dovuto disfarsi, avendone addirittura, in ragione della pericolosità, l”obbligo, così integrandosi pienamente le condizioni di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6. Non ha errato,pertanto,il giudice di merito a ritenere che nel caso di specie liquidi in questione da ritenersi esausti se non altro perchè prelevati dalle apparecchiature in cui erano stati utilizzati per la prevista durata quand’anche trasportati altrove in vista di esami sperimentali, costituissero già rifiuti pericolosi e che il dedotto riciclaggio degli stessi, presso la sede centrale dello stabilimento dell’impresa produttrice, costituisse solo un’eventuale reimpiego lecitamente realizzabile soltanto secondo le rigorose prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 (in particolare v. art. 33, comma 2, lett. b).
Tale possibilità infatti non poteva giustificare l’inosservanza dell’obbligo della registrazione, atteso che la mera eventualità di riutilizzazione economica, mediante operazioni di recupero, della sostanza di cui il detentore abbia l’obbligo di disfarsi (al riguardo derivante dall’inclusione nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’allegato D già citato) non vale ad escludere la stessa dal novero dei rifiuti (in tal senso v. Cass. 3 pen. n. 2125/03).
Deve infine escludersi l’incidenza nella vicenda della discussa disposizione di cui al D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 14 convertito nella L. 8 agosto 2002, di “interpretazione autentica” della nozione di rifiuti contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. a) non solo perchè l’assunta (e non dimostrata) attività di reimpiego delle sostanze in questione non si sarebbe svolta, secondo quanto dedotto dall’odierno ricorrente, nell’ambito del luogo di produzione delle stesse (come al riguardo richiesto da Cass. 1 civ., n. 1556/06, sulla base della condivisibile esigenza che non vi sarebbe altrimenti certezza che il materiale venga nuovamente immesso nel medesimo ciclo produttivo), ma anche e soprattutto sul più radicale, rilievo dell’irretroattività, ai fini della responsabilità per l’illecito amministrativo, del la norma suddetta. Questa al di là della sua nominale intestazione, si è risolta, in realtà, in una vera e propria modifica innovativa dell’originaria nozione di rifiuto, adottata dal D.Lgs. del 1997, che aveva al riguardo dato puntuale applicazione alla corrispondente definizione fornita dall’art. 1 della Direttiva comunitaria 91/156/CEE, introducendo una nuova e meno rigorosa nozione di rifiuto, segnatamente nell’ammettere le possibilità di riutilizzazione e recupero, a determinate condizioni, non solo nel medesimo ciclo produttivo, come in precedenza, ma anche in analoghi o diversi.
Sulla portata, sostanzialmente innovativa della norma in questione, che ha dato luogo ad una nutrita serie di questioni di legittimità, comunitaria (esitate nella sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 11.11.04,nel senso dell’illegittimità della nuova definizione nazionale) e costituzionale (non decise dalla Corte Costituzionale, in considerazione della, poi sopravvenuta, nuova disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, v. ord. n. 458/06, 126/07), la giurisprudenza penale di legittimità non ha mai dubitato, consolidandosi, dopo iniziali contrasti (sulla non applicabilità dell’art. 14 citato v. Cass. 3 pen. n. 2125/03), nel senso della natura vincolante della nuova disciplina statale, nonostante la deroga apportata alla sopra citata direttiva comunitaria europea nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6 per mancanza del carattere di autoapplicatività diretta (cd “self executing”) nella fonte comunitaria anzidetta (in tal senso v. Cass. 3 pen. n 4502/03, 17656/03, 4702/05, 1414/06, che ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 11 e 117 Cost., ed infine 41839/08).
Il dato comune su cui tutte le suesposte pronunzie convergono,sia pur traendone conclusioni non uniformi è dunque il carattere innovativo della disposizione di cui alla L. del 2002, art. 12 derogatorio rispetto al previgente del D.Lgs. del 1997, art. 6 (e della corrispondente disposizione comunitaria da quest’ultimo attuata) in tema di definizione dei rifiuti. Ed, a tal riguardo, questo collegio condivide tale convincimento, considerato che i margini concessi dal legislatore del 2002 alle imprese, per il recupero delle sostanze di risulta dai procedimenti di produzione soprattutto allargandone le possibilità negli analoghi e, addirittura, diversi cicli produttivi.
risultano palesemente più ampi rispetto a quelli, molto più rigorosi, previsti in precedenza.
Ne consegue che in base al principio dell’irretroattività delle norme, diversamente regolanti, ancorchè in termini più favorevoli, gli illeciti amministrativi, rispetto a quelle vigenti all’epoca della relativa consumazione,derivante dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1 in particolare dal comma 2, a termini del quale “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati” (al riguardo v., tra le tante, Cass. n. 14959/09, 144771/05, 16422/05, 18212/03, 12654/03, 6232/99), avente portata generale e non oggetto di particolari deroghe in materia di rifiuti la responsabilità dell’odierno ricorrente, relativa ad un fatto commesso nel *****, nel vigore dell’originario testo di cui D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, deve essere valutata soltanto alla stregua delle disposizioni in quello contenute, segnatamente dell’art. 6 sulla nozione di rifiuto, risultando insensibile alle relative modificazioni, al riguardo apportate dal D.L. n. 138, art. 14 convertito nella L. n. 178 del 2002.
Il ricorso va, conclusivamente, respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi, in considerazione della complessità delle questioni affrontate e della non univocità degli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali in materia, all’epoca dei fatti e del giudizio di merito, per dichiarare interamente compensate le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010