LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – rel. Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4101-2005 proposto da:
MASTER SRL ***** in persona del legale rappresentante pro tempore sig. I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DANTE ENRICO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FUHRMANN ANDREA;
– ricorrente –
contro
S.C., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato MARTIRE ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCHIONI GIANCARLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1855/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 12/11/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2009 dal Consigliere Dott. ENNIO MALZONE;
udito l’Avvocato MARTIRE Roberto, difensore della resistente che ha chiesto rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso 7.12.2000 la Master srl, proprietaria di un immobile in *****, deducendo averlo promesso in vendita a S.C., consegnandole le chiavi perchè eseguisse alcuni lavori edilizi, ma che, avendone richiesta la restituzione con lettera del *****, la stessa si era rifiutata, manifestando, invece, l’intenzione di continuare a detenere l’immobile come sua abitazione, conveniva in giudizio costei, davanti al Tribunale di Verbania, per ottenerne la reintegra nel possesso dell’immobile.
La convenuta, costituitasi, resisteva alla domanda, contro-deducendo che la consegna delle chiavi era avvenuta in funzione della promessa di vendita del medesimo immobile, mentre la richiesta di restituzione era stata fatta dopo che le parti erano comparse davanti la notaio in data ***** per la stipula del definitivo,che non era avvenuta per la mancanza della concessione edilizia relativa alla piscina e al campo da tennis; aggiungeva di avere, a sua volta, promosso giudizialmente l’azione prevista ex art. 2932 c.c. per l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il definitivo,in ordine al quale aveva già versato la somma di L. 250.000.000,pari ad un quarto del prezzo concordato, e sostenuto le spese dei lavori di ristrutturazione.
Il Tribunale con sentenza n. 450/02 rigettava il ricorso.
La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 1855/04, depositata il 12.11.04 e notificata il 16.12.04, rigettava l’appello proposto dalla Master srl che condannava alle ulteriori spese del grado.
Osservava la Corte di merito che il detentore qualificato che si oppone alla richiesta di rilascio per motivi attinenti alla validità e alla continuazione del rapporto obbligatorio in forza del quale ha ottenuto la detenzione della cosa, non manifesta una volontà di possedere a nome proprio, ma mantiene un rapporto con il bene “nomine alieno”, in forza del quale rimane nell’occupazione del bene.
Per la cassazione della decisione ricorre la Master srl esponendo tre motivi,cui resiste l’intimata con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1351 c.c. e insufficiente motivazione in ordine agli effetti della promessa di vendita nel punto in cui la Corte di merito aveva asserito che la S., quale detentrice qualificata in forza del contratto preliminare si era legittimamente opposta alla richiesta di rilascio dell’immobile:
Si sostiene, invece, che nel contratto preliminare non era prevista l’immissione della promissaria nel possesso dell’immobile prima del contratto definitivo, sicchè la Corte di merito avrebbe erroneamente interpretato il preliminare attribuendo alla stessa la qualità si debitrice qualificata dell’immobile.
Il motivo è infondato alla luce dei fatti accertati in causa,che depongono per la detenzione qualificata della promissaria acquirente dell’immobile in oggetto.
Ben vero,spostare l’indagine su quanto convenuto nel preliminare di vendita contrasta con quanto risulta dalla deposizione della teste arch. P.F., che ha assistito la promissaria sin dai primi contatti con la ditta promittente.
La teste ha affermato che: “ricordo che al momento della stipula del compromesso io e la S. eravamo già in possesso delle chiavi;
il sig. I. era al corrente dell’esecuzione e della natura dei lavori che andavamo ad eseguire; furono realizzati tutti gli impianti e le suddivisioni interne per un ammontare di circa L. 200.000.000”.
Tale deposizione, che, per altro, non è stata oggetto di specifica contestazione, vale a qualificare la posizione della S. come detentrice qualificata dell’immobile, legittimandola, per ciò stesso, a rimanere nell’occupazione del bene, per la tutela del suo interesse alla stipula del definitivo: non si versa, quindi, in ipotesi di interversione del possesso, bensì in quella di detenzione qualifica in virtù di un rapporto obbligatorio, non contestato, quale il preliminare di vendita, con la conseguenza che il promittente, ai fini di raggiungere lo scopo prefissosi con la domanda giudiziale avrebbe dovuto proporre l’azione di risoluzione del preliminare per inadempimento della promissaria.
E’ quanto basta, per ritenere infondati sia il secondo motivo attinente alla diversa qualificazione del rapporto come concessione precaria ex art. 1810 c.c. sia il terzo motivo riguardante la condanna dell’appellante alle spese del grado.
Ben vero,seppure volesse accedersi alla tesi del comodato precario,la mancanza di un termine finale direttamente previsto dalle parti non autorizzava il comodante a richiedere ad nutum la restituzione dell’immobile, risultando indirettamente dai fatti di causa lo specifico interesse delle parti a mantenere in vita il o rapporto in funzione del quale era stata concessa la relativa detenzione e cioè per dar modo alla promissaria di eseguire i lavori di adattamento dell’immobile alle finalità da lei perseguibili.
D’altro canto, che le parti avessero ferma l’intenzione trasferire l’immobile al prezzo concordato, cosa che in realtà è effettivamente avvenuta, risulta dall’ammissione fatta in proposito dalla stessa ricorrente a pagina 10 della sua comparsa conclusione.
La condanna dell’appellante alle spese del grado trova giustificazione in applicazione del principio della soccombenza.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alle ulteriori spese del presente giudizio in applicazione del menzionato principio.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed oneri accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010