Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.952 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19342-2006 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA 56, presso lo studio dell’avvocato D’AMATO GIOVANNI, rappresentato e difeso dagli avvocati SORGE AMEDEO, SORGE ALFREDO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2454/2 005 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 09/06/2005 R.G.N. 47920/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2009 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.A., titolare di pensione di inabilità liquidatagli sulla base di 1548 contributi settimanali a far data dall’1.11.1989, convenne in giudizio l’Inps avanti al Pretore di Napoli, con ricorso depositato il 18.2.1994, chiedendo la riliquidazione della pensione sulla base di 1808 contributi settimanali, precisando anche di avere presentato domanda per il trattenimento in servizio fino al compimento del 65 anno di età.

Il Giudice adito respinse il ricorso e il Tribunale di Napoli, con sentenza del 4.4 – 9.6.2005, rigettò il gravame proposto dal F., sul rilievo che, ai fini del conteggio della maggiorazione di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 2, comma 3, bisognava far riferimento all’età minima pensionabile e non già a quella massima.

Avverso l’anzidetta sentenza del Tribunale, F.A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo. L’Inps non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, a seguito della pronunzia n. 477 del 2002 della Corte Costituzionale, la notificazione a mezzo posta deve ritenersi tempestiva per il notificante al solo compimento delle formalità direttamente impostegli dalla legge, ossia con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, mentre per il destinatario resta fermo il principio del perfezionamento della notificazione soltanto alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento del plico postale che lo contiene; tale principio ha carattere generale e trova pertanto applicazione anche nell’ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anzichè dall’ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1, irrilevante essendo al riguardo, nei limiti di tale richiamata normativa, il dato soggettivo dell’autore della notificazione, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato (cfr, Cass., n. 6402/2004).

Nel caso di specie la notificazione è stata effettuata direttamente dal difensore del ricorrente, con spedizione del plico a mezzo posta in data 7.6.2006 (come da timbro postale apposto in calce alla relata) e, perciò, nel rispetto del termine di cui all’art. 327 c.p.c., quale previsto all’epoca del compimento dell’atto.

2. Con l’unico motivo il ricorrente, denunciando violazione della L. n. 54 del 1982 e L. n. 222 del 1984, si duole che il Tribunale abbia ritenuto doversi fare riferimento all’età cosiddetta minima pensionabile, e non a quella massima di 65 anni, in difetto di qualsivoglia elemento che renda plausibile tale interpretazione;

doveva inoltre considerarsi che esso appellante aveva richiesto e ottenuto il diritto al trattenimento al lavoro sino al compimento del 65 anno di età.

3. La L. 12 giugno 1984 n. 222, considera “invalido” il soggetto “la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di difetto fisico o mentale a meno di un terzo” (art. 1, comma 1) e, invece, considera “inabile” il soggetto che a “causa di infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’assoluta e permanente incapacità di svolgere qualsiasi attività lavorativa” (art. 2, comma 1).

A favore dell’inabile, titolare della pensione di inabilità, iscritto nell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti (come nel caso di specie), l’art. 2, comma 3, lett. a) prevede una maggiorazione della pensione stessa “…pari alla differenza tra l’assegno di invalidità e quello che gli sarebbe spettato sulla base della retribuzione pensionabile considerata per il calcolo dell’assegno medesimo con un’anzianità contributiva aumentata di un periodo pari a quello compreso tra la data di decorrenza della pensione di inabilità e la data di compimento della età pensionabile..”, senza che in alcun caso possa essere computata un’anzianità contributiva superiore ai 40 anni.

Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, con osservazioni che il Collegio pienamente condivide, la tutela previdenziale cui ha diritto l’assicurato per il caso di assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa e, quindi, di produrre un ordinario reddito da lavoro, a causa delle infermità di cui è portatore, vuole essere tale da garantirgli una prestazione economica sostitutiva della incapacità di autosostentamento di ammontare pari a quanto gli sarebbe spettato ove la perdita della capacità di lavoro si fosse verificata non a ragione della inabilità, ma per effetto della maturazione della cosiddetta età pensionabile, ossia del compimento dell’età anagrafica alla quale la legge collega presuntivamente la perdita della capacità lavorativa e il riconoscimento, in sostituzione di tale perdita, del diritto alla pensione “di vecchiaia”, sostitutiva del reddito retributivo; dal che discende che, ai fini del calcolo della maggiorazione di cui si discute, si deve tener conto soltanto di ciò che oggettivamente stabilisce il sistema in termini di “normale” età per il pensionamento di vecchiaia, non potendosi dare ingresso a scelte soggettive consentite nel regime generale attraverso le opzioni per la prosecuzione del rapporto di lavoro, quale, come nel caso che ne occupa, quella di cui al D.L. n. 791 del 1981, art. 6, come modificato dalla legge di conversione n. 54/82 (cfr, Cass., n. 8459/99, in motivazione).

Nè giova all’odierno ricorrente l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni (per gli uomini) disposto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, in quanto, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, largamente maggioritaria e da ritenersi consolidata, l’età pensionabile alla quale occorre fare riferimento come parametro temporale per la determinazione dell’ammontare di una pensione di invalidità è quella propria del regime precedente il suddetto provvedimento normativo, giacchè il suddetto D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1 ha espressamente escluso l’applicabilità dei nuovi e più elevati limiti di età agli invalidi in misura non inferiore all’80%, dovendosi perciò includere in tale previsione derogatoria gli invalidi superiori alla indicata soglia percentuale, fino alle situazioni di invalidità totale (100 per cento), necessariamente coincidenti con l’inabilità (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8459/1999;

753/2001; 13495/2003; 14262/2003; 15465/2004; 12726/2008).

Il motivo all’esame non può dunque essere accolto.

4. Consegue il rigetto del ricorso.

Non è luogo a provvedere sulle spese, stante la mancanza di attività difensiva da parte dell’Istituto intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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