Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.960 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21838-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA TARQUINIA 5/D (C/O STUDIO AVV. FALLA TRELLA), presso lo studio dell’avvocato RIOMMI MAURIZIO e MICHELI CARLO, che la rappresentano e difendono, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2006 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 01/03/2006 R.G.N. 421/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega ROBERTO PESSI;

udito l’Avvocato RIOMMI MAURIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 595/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Terni, ritenuta la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra la s.p.a. Poste italiane e M.D., per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-1997, per il periodo 2-11-1999/29-2-2000, dichiarava che il dedotto rapporto di lavoro tra le parti si era convertito in un rapporto a tempo indeterminato e dichiarava il diritto della M. a riprendere il posto di lavoro precedentemente occupato e, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 condannava la società a reintegrare la lavoratrice nel predetto posto di lavoro. Condannava altresì la società al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal 23-4-2003 al giorno dell’effettiva reintegrazione con gli interessi e la rivalutazione, oltre al versamento dei contributi.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

La M. si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale circa la decorrenza delle retribuzioni.

La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza depositata il 1-3-2006, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava che la M. non aveva diritto all’applicazione delle disposizioni contenute nella L. n. 300 del 1970, art. 18 ma solo il diritto a riprendere il posto di lavoro precedentemente occupato nell’ambito della filiale di terni con la medesima qualifica. Condannava altresì la società al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite a decorrere dal 4-4-2003 e confermava nel resto la sentenza appellata.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi, corredati dai relativi quesiti di diritto.

La M. ha resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo (violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23) e con il secondo (violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e vizi di motivazione) in sostanza la società ricorrente deduce la mancanza nella specie di un limite temporale alla stipula dei contratti a termine ai sensi dell’art. 8 ccnl del 1994 come integrato dall’accordo aziendale 25-9-97, sostenendo che un tale limite non sarebbe ricavabile nè dalla disciplina legale nè dalla corretta interpretazione degli accordi attuativi del citato accordo aziendale.

Osserva il Collegio che la Corte di merito, ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che l’accordo 25-9-97 “è stato integralo da altro accordo di pari data con il quale è stato convenuto un termine alla facoltà di assunzione a tempo determinato in forza dell’ipotesi in questione. Detto termine è stato fissato al 31 gennaio 1998 ed è stato poi prorogato con accordi successivi fino al 30-aprile 1998 … pertanto l’apposizione del termine nei contratti a tempo determinato, stipulati con riferimento all’ipotesi di cui alla clausola in questione in epoca successiva alla scadenza del relativo termine del 30-4-1998 … deve ritenersi nulla”.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatali, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, nella specie, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (“in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30-4-98”) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante è l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Va pertanto respinto il ricorso e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della M..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della M., delle spese liquidate in Euro 48,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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