LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 22672-2006 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3290/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2005 r.g.n. 11151/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;
udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del Tribunale di Roma veniva accolta la domanda di C.E. di dichiarare nullo il termine apposto alla sua assunzione presso Poste Italiane s.p.a. per il periodo 23.10.00- 31.1.01, motivata da esigenze eccezionali ex art. 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo 26.9.97, con conseguente condanna del datore alla corresponsione delle retribuzioni arretrate.
Proposto appello da Poste Italiane spa, costituitasi l’appellato, la Corte d’appello di Roma con sentenza 4.3-26.7.05, rigettava l’impugnazione, rilevando che pur nel sistema creato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 – che aveva delegato le OO.SS. a individuare in sede di contrattazione collettiva nuove ipotesi di assunzione a termine – in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.9.97, Poste Italiane avrebbe comunque dovuto dar prova delle particolari esigenze, diverse dalla mera attuazione del processo di ristrutturazione, precisandone la natura e la collocazione spazio-temporale, in modo da consentire la verifica della rispondenza dell’assunzione alle esigenze in questione.
Avverso questa sentenza la soc. Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva con controricorso l’intimato. Quest’ultimo ha depositato memoria
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso non è fondato.
I motivi dedotti dalla soc. Poste Italiane possono essere così sintetizzati:
1- violazione della L. n. 230 del 1962, della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg., nonchè carenza di motivazione, sostenendosi che la sentenza si fonderebbe sull’erronea convinzione che detto art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti le assunzioni a termine collegate a situazioni tipicamente aziendali, non direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro e, comunque, svincolate dalle fattispecie fissate dalla L. n. 230 (primo motivo);
2.- violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c. sostenendosi che al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo non spetterebbe la retribuzione finchè non provveda ad offrire la prestazione stessa, determinando nel datore una situazione di mora accipiendi. Pertanto, il giudice avrebbe dovuto far decorrere il risarcimento solo dal momento in cui tale offerta fosse intervenuta e non dal momento della proposizione del tentativo di conciliazione; erroneamente, inoltre, egli avrebbe omesso di considerare l’eventualità che controparte possa avere svolto altre attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde perceptum da quanto dovuto dal datore a titolo di risarcimento (secondo motivo).
Premesso in fatto che il contratto a termine di cui si discute risulta stipulato per il periodo ***** ex art. 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo 26.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, il primo motivo deve essere ritenuto infondato seppure per ragione diversa da quella indicata dal giudice di merito.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dall’art. 8 bis del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di fatto integrante le esigenze eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.
Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regala iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.
Essendo nella specie il contratto stipulato successivamente al 30.4.98 ed essendo, quindi, la causale apposta ancorata a fattispecie non più legittimata dalla normazione collettiva, il motivo deve essere ritenuto infondato.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto la questione da esso dedotta non risulta oggetto dalla sentenza impugnata, atteso che il giudice di appello ha rilevato la mancanza di specifica censura circa la decorrenza del diritto al risarcimento del danno e la sua quantificazione.
In conclusione il ricorso è infondato e la pronunzia impugnata, seppure per le ragioni sopra esposte, diverse da quelle indicate dal giudice di merito, deve essere confermata.
Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 25,00 per esborsi ed in Euro 2.000 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010