Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.968 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero della Giustizia – in persona del Ministro in carica rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e’ domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

Avverso la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 71 del 10 giugno 2009, con la quale C.J., giudice presso il Tribunale di *****, e’

stata assolta dalle incolpazioni contestate per essere stati esclusi gli addebiti;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15 dicembre 2009 dal Consigliere Dott. ODDO Massimo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con nota del 18 luglio 2008, il Ministero della Giustizia promosse azione disciplinare nei confronti del dott. R.R., sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di *****, e della dott.ssa C.J., giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale, avendo, il primo, richiesto il 29 febbraio 2008 la convalida dell’arresto in flagranza di A.M., nella cui autovettura era stata rinvenuta occultata una somma di denaro di importo rilevante, e l’applicazione al medesimo della misura cautelare della custodia in carcere e, la seconda, convalidato il ***** l’arresto ed applicato all’indagato la misura degli arresti domiciliari in relazione all’ipotesi di reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 2, benche’ la norma penale fosse stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 48 del 1994.

All’esito delle indagini, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione incolpo’ entrambi i magistrati degli illeciti tipizzati nel D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, lett. g) ed m), “per avere mancato ai propri doveri di diligenza e laboriosita’ e per essersi resi responsabili di grave violazione di legge e di adozione di provvedimenti non consentiti dalla stessa, indotti da ignoranza e negligenza inescusabile, che hanno cagionato la lesione del diritto alla liberta’ individuale di A.M., persona sottoposta ad indagini”, e chiese al Presidente della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura la fissazione dell’udienza di discussione orale. Con sentenza del 10 giugno 2009, la Sezione disciplinare assolse il R. e la C. dalle incolpazioni “per essere risultati esclusi gli addebiti”, osservando che:

non era configurabile l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. m, per l’insussistenza di una lesione al diritto di liberta’, giacche’ “erano ab origine sussistenti gli elementi di fatto idonei a determinare la custodia cautelare dell’ A.M., sia pure attraverso il richiamo ad una norma penale diversa (art. 648 c.p.) da quella erroneamente applicata”;

non era inescusabile l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. g) considerati i carichi di lavoro dei magistrati e le circostanze nelle quali erano state richieste e disposte la convalida dell’arresto e la misura cautelare.

Il Ministero della Giustizia e’ ricorso con un unico motivo per la cassazione della sentenza nei confronti della sola C. ed il magistrato non ha resistito in giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso denuncia la nullita’ della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ed all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione e violazione del 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. g) ed m), dell’art. 13 Cost., e degli artt. 272 e 273 c.p.p.. Deduce il ricorrente, quanto all’esclusione dell’elemento oggettivo dell’illecito di cui al D.Lgs. cit., art. 2, comma 1, lett. m), l’erroneita’ dell’affermazione che la sussistenza ab origine di elementi di fatto comunque idonei a determinare l’arresto e l’applicazione della misura cautelare per un diverso reato escludeva che il diritto alla liberta’ personale dell’indagato fosse stato leso dall’applicazione della norma dichiarata incostituzionale, sia perche’ la fattispecie del delitto di ricettazione, alla quale la Sezione disciplinare si era richiamata, non era sussumibile in quella gia’ sanzionata dalla L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 2, e sia perche’ il diniego della rilevanza della qualificazione del fatto, in relazione al quale era stata disposta la liberta’, contrastava tanto con i principi desumibili dall’art. 272 c.p.p. e segg., quanto con il tenore letterale della disposizione disciplinare. Quanto a quella dell’elemento soggettivo delle incolpazioni, che la limitazione della liberta’ personale dell’indagato in applicazione di una norma da tempo dichiarata illegittima (definita dalla medesima sentenza come “clamorosa svista”), costituiva una violazione di legge di natura e gravita’ tali da non potere che essere frutto di ignoranza o negligenza grave e che il mero riferimento della decisione alla sostituzione della collega di “turno” ed al carico dell’udienza di convalida non costituiva un argomento adeguato a scriminare la condotta del giudice per le indagini preliminari che in essa era incorso. Il motivo e’ infondato.

Precede nell’ordine logico, essendo comune ad entrambe le ipotesi di illecito disciplinare contestate, l’esame della censura attinente la motivazione della “non inescusabilita’” della violazione di legge contestata al magistrato.

La Sezione disciplinare, accertato che il giudice per le indagini preliminari aveva convalidato il 3 marzo 2008 l’arresto dell’ A. e disposto nei suoi confronti gli arresti domiciliari in relazione al delitto di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 2, “perche’ indagato per reati di cui all’art. 648 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (testo unico della legge in materia di disciplina degli stupefacenti) aveva la disponibilita’ di Euro 91.700,00 in moneta contante, sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sui redditi, senza giustificarne la legittima provenienza”, ha esaminato le ragioni addotte dal magistrato a giustificazione del riferimento contenuto nel suo provvedimento ad una norma espunta dall’ordinamento sin dal 1994. Ha condiviso, in primo luogo, l’assunto che il provvedimento, pur abnorme nella sua veste grafica e nel richiamo ad una disposizione da anni dichiarata incostituzionale, non aveva leso in concreto il diritto alla liberta’ personale dell’ A., perche’ nel fatto contestato erano comunque ravvisabili gli elementi costitutivi del delitto di ricettazione, che consente sia l’arresto in flagranza che la custodia preventiva, e che, ben potendo in sede di convalida essere attribuita al fatto ascritto all’arrestato una qualificazione giuridica diversa da quella originaria, la violazione di legge addebitabile al giudice si risolveva nell’omissione del mutamento del titolo del reato. In secondo luogo, quello che nell’udienza di convalida i difensori dell’arrestato non si erano opposti alla convalida in relazione a reato a lui erroneamente contestato dal p.m., ma si erano limitati a domandare l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, anziche’ di quella della custodia in carcere richiesta dall’inquirente.

Sottolineato che, quindi, l’incolpata era stata indotta all’omissione sia dal p.m. che dai difensori dell’ A., ha valutato le circostanze nelle quali questa era maturata ed ha evidenziato il rilevante carico supplementare di lavoro improvvisamente venuto a gravare sul giudice, in quanto chiamato a sostituire all’ultimo momento il magistrato di “turno”, e la sua inderogabile necessita’ di provvedere nella medesima udienza su sei procedimenti cautelari, a carico complessivamente di otto indagati, ed ha concluso che l’errore di diritto nel quale era incorso doveva ritenersi “non inescusabile”, poiche’, risultando dai pareri espressi dai consigli giudiziari la laboriosita’ e diligenza del magistrato, doveva ritenersi che soltanto le circostanze contingenti gli avevano impedito di affrontare con la necessaria serenita’ la questione giuridica che si era posta.

Orbene, queste Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato che non e’ consentito in sede di legittimita’ sindacare sul piano del merito le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte di Cassazione limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruita’, adeguatezza ed assenza di vizi logici della motivazione che ne sorregge la decisione (cfr.: da ultimo Cass. civ., sez. un., sent. 9 novembre 2009, n. 23671) ed il richiamo a tale consolidata giurisprudenza e’ sufficiente ad escludere la sussistenza del vizio di motivazione denunciato, giacche’ la Sezione disciplinare del C.S.M. ha spiegato in modo adeguato e coerente le ragioni per le quali il comportamento dell’incolpata difettava del requisito della inescusabilita’ dell’errore di diritto, necessario ad integrare gli illeciti disciplinari a lei contestati, e non puo’ deporre, in senso contrario, la mera soggettiva svalutazione da parte del ricorrente di talune delle circostanze sulle quali il giudizio e’ complessivamente basato e la sua prospettazione dell’insufficienza del residuo apparato argomentativo a sorreggere la pronuncia. All’infondatezza del motivo nella parte in cui attinge la motivazione della “non inescusabilita’” della violazione di legge commessa dal magistrato segue il rigetto del ricorso, restando assorbito l’esame dell’ulteriore questione relativa alla lesione cagionata al diritto alla liberta’ personale dell’indagato dall’omessa diversa qualificazione del fatto a lui contestato, rispetto alla quale, peraltro, e’ il caso di evidenziare che e’ stato escluso l’interesse di un soggetto sottoposto a misura cautelare a dolersi dell’erronea qualificazione laddove, restando fermo il fatto storico addebitato, l’eventuale correzione del nomen iuris non venga ad incidere sulla possibilita’ di adottare o mantenere la misura cautelare applicata (cfr.: Cass. pen., sez. 5^, sent. 9 novembre 2005, n. 45940).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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