LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –
Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –
Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –
Dott. MERONE Antonio – Consigliere –
Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
SE.TA – SERVIZIO TERRITORIO E AMBIENTE S.P.A. (*****), E.T.R.A. S.P.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso l’avvocato MANZI LUIGI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIVA PAOLO, per delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
A.A.T.O. – AUTORITA’ D’AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE BACCHIGLIONE (*****), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato DI MATTIA SALVATORE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TESTA MARIO, per delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
COMUNE DI CAMISANO VICENTINO, A.I.M. VICENZA S.P.A., CONSORZIO INTERPROVINCIALE ACQUEDOTTO EUGANEO BERICO, COMUNE DI MONTEGALDA, COMUNE DI GRISIGNANO DI ZOCCO, COMUNE DI TORRI DI QUARTESOLO, COMUNE DI GRUMOLO DELLE ABBADESSE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 145/2007 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 04/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15/12/2009 dal Consigliere Dott. FELICETTI Francesco;
uditi gli avv. Emanuele COGLITORE per delega dell’avv. Luigi Manzi, Carlo ALBINI per delega avv. Mario Testa;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 La Se.Ta. (Servizi Territorio e Ambiente) s.p.a. e l’E.T.R.A. s.p.a., con ricorsi notificati in data 2 – 7 novembre 2007 al Comune di Camisano Vicentino, al Comune di Grumolo delle Abbadesse, al Consorzio interprovinciale acquedotto Euganeo Berico, al Comune di Montegalda, al Comune di Grisignano di Zocco, al Comune di Torri di Quartesolo, all’A.A.T.O. (Autorita’ d’Ambito Territoriale Ottimale) Bacchiglione ed all’A.I.M. Vicenza s.p.a., hanno impugnato dinanzi a questa Corte la sentenza n. 145 del 2007 del TSAP depositata il 4 settembre 2007, con la quale e’ stato dichiarato irricevibile il ricorso proposto dinanzi a detto Tribunale avente ad oggetto l’annullamento di un provvedimento del Comune di Camisano Vicentino con il quale era stato ordinato alle ricorrenti il rilascio di beni immobili detenuti ai fini della gestione del servizio idrico. Hanno dedotto che ricorso con identico oggetto era stato proposto dinanzi al TAR Veneto, dinanzi al quale esso era ancora pendente. Avendo peraltro il Consiglio di Stato, in sede cautelare d’appello, declinato la giurisdizione del giudice amministrativo in favore del TSAP, esse ricorrenti avevano proposto il ricorso al TSAP entro sessanta giorni da tale pronuncia del Consiglio di Stato, deducendo che nel provvedimento impugnato era indicato, quale giudice al quale ricorrere, il TAR Veneto e non il TSAP, cosicche’ esse dovevano ritenersi rimessi in termini secondo quanto disposto dalla sentenza n. 86 del 1998 della Corte costituzionale, o comunque per essere incorsi in errore scusabile. Le ricorrenti lamentavano che il ricorso al TSAP fosse stato infondatamente dichiarato da tale tribunale, con la sentenza impugnata, irricevibile per tardivita’ e formulavano in proposito tre motivi. Dinanzi a questa Corte resiste con controricorso la sola A.A.T.O. Bacchiglione, la quale ha eccepito l’inammissibilita’ del ricorso, essendo stato esso notificato direttamente al Comune di Camisano Vicentino e non presso il procuratore domiciliatario. Fissato il ricorso per l’esame all’udienza del 17 marzo 2009, esso e’ stato rinviato a nuovo ruolo per rinnovazione della notifica al Comune di Camisano Vicentino, la quale veniva eseguita entro il termine fissato con atto depositato il 13 maggio 2009.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3; degli artt. 2, 3, 24, 25, 11, 113 e 117 Cost.;
dell’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950. Si deduce che la L. n. 241 del 1990, art. 3 dispone che “in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorita’ cui e’ possibile ricorrere” e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 86 del 1998, ha ritenuto che, in base a tale disposizione – applicabile in via generale a tutti i procedimenti amministrativi, ma con riferimento a fattispecie riguardante sanzioni amministrative – ove nell’atto amministrativo non sia indicato il giudice dinanzi al quale esso e’ impugnabile, ovvero sia indicato in modo errato, non si forma alcuna preclusione o decadenza in relazione alla sua impugnazione. Si deduce ancora che nella giurisprudenza del Consiglio di Stato ed anche in quella ordinaria si e’ spesso ritenuto che anche nelle su dette ipotesi la rimessione in termini presuppone la scusabilita’ in concreto dell’errore. Nel caso di specie, peraltro, non solo era stato indicato nell’atto impugnato un giudice privo di giurisdizione, ma a comprovare un’obbiettiva incertezza al riguardo vi era la circostanza che il TAR, in sede cautelare, non aveva declinato la giurisdizione, mentre lo aveva fatto, poi, il Consiglio di Stato.
In relazione a tale motivo si formula il seguente quesito: Dica la Corte se “possa ritenersi nulla per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 241 del 1990, art. 3 con riferimento al R.D. n. 1775 del 1933, art. 143, degli artt. 2, 3, 24, 25, 111, 113, 117 Cost.), nonche’ per violazione del principio dell’effettivita’ delle vie di tutela di cui all’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, la sentenza che ha dichiarato irricevibile per tardivita’ un ricorso al TSAP R.D. n. 1775 del 1933, ex art. 143 nonostante l’erronea indicazione nell’atto dell’autorita’ a cui ricorrere. E piu’ precisamente allorquando, nel caso concreto, cosi’ come richiesto dalla costante e pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, le parti ricorrenti abbiano attivato puntualmente un mezzo di ricorso cosi’ come indicato nell’atto impugnato, entro sessanta giorni, davanti al giudice amministrativo individuato dall’atto come competente per territorio; e solo successivamente a un provvedimento cautelare del Consiglio di Stato che declinava la propria giurisdizione, le ricorrenti abbiano, con tempestiva diligenza, attivato il ricorso dinanzi al TSAP”.
Con il secondo motivo si denuncia la nullita’ della sentenza sotto il profilo della motivazione meramente apparente, per non avere essa preso in esame le varie circostanze specificamente dedotte dalle ricorrenti per dimostrare la scusabilita’ dell’errore (erronea indicazione del giudice al quale proporre l’opposizione contenuta nell’atto impugnato; affermazione della giurisprudenza amministrativa da parte del Tar e sua negazione da parte del Consiglio di Stato;
oscillazione nell’orientamento giurisprudenziale relativo a casi analoghi).
Con il terzo motivo si denunciano vizi motivazionali in relazione alla ritenuta insussistenza dell’errore scusabile, non risultando adeguatamente esaminati dalla sentenza impugnata i profili di scusabilita’ addotti, ne’ adeguatamente confutata la scusabilita’ dell’errore.
Le ricorrenti hanno formulato i quesiti di diritto richiesti dall’art. 366 bis c.p.c. anche in relazione al secondo e terzo quesito.
2.1. Il ricorso e’ fondato.
Il TSAP ha errato nel dichiarare irricevibile il ricorso perche’ proposto dinanzi ad esso dopo la scadenza del termine di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 143 negando rilevanza, ai fini della riammissione in termini per errore scusabile, alla circostanza che nel provvedimento impugnato era stato indicato, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3 che esso poteva essere impugnato dinanzi al TAR – Veneto entro sessanta giorni, come in effetti le ricorrenti avevano fatto, riproponendo il ricorso dinanzi al TSAP entro sessanta giorni dalla sentenza con la quale il Consiglio di Stato, in sede cautelare d’appello, aveva declinato la propria giurisdizione in favore di quella del TSAP. 3.2. Come questa Corte ha gia’ statuito in casi analoghi (ex pluribus Cass. Sez. Un. 29 aprile 2009, n. 9947), in proposito va innanzitutto rilevato che il T.S.A.P., nel dichiarare irricevibile il ricorso, non ha considerato in alcun modo l’incidenza, sulla problematica in questione, dei principi stabiliti dalle sentenze n. 4109 del 2007 delle Sezioni Unite di questa Corte e n. 77 del 2007 della Corte costituzionale (gia’ prima dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 59).
Con la prima di tali sentenze questa Corte ha statuito non solo che nel caso di sentenze da essa emesse sulla giurisdizione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1 o dell’art. 111 Cost., u.c., ovvero in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, opera la “translatio iudicii”, consentendosi al giudizio, iniziato erroneamente dinanzi ad un giudice privo di giurisdizione, di continuare dinanzi al giudice che ne sia titolare – onde dar luogo alla pronuncia di merito al quale il processo e’ istituzionalmente preordinato – ma che questa opera anche nei confronti delle sentenze di ogni altro giudice che abbia declinato la giurisdizione, salva in tale secondo caso la potesta’ del giudice indicato da quello che ha declinato la giurisdizione di declinarla a sua volta, dando luogo ad un conflitto risolubile ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 2.
Con la seconda sentenza la Corte costituzionale ha riaffermato il principio secondo il quale, essendo la funzione del sistema giurisdizionale – articolato in una pluralita’ di giudici, ordinari e speciali – quella di assicurare la tutela dei diritti e degl’interessi legittimi, tale pluralita’ non puo’ risolversi, senza ledere il diritto alla tutela giurisdizionale costituzionalmente garantito, in una minore effettivita’ o, addirittura, in una vanificazione della tutela giurisdizionale, cosi’ come avviene ove la disciplina dei loro rapporti venga configurata in modo tale per cui l’erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione possa risolversi in un pregiudizio irreparabile per la possibilita’ di ottenere l’esame del merito della domanda. Pertanto la Corte costituzionale – in correlazione con la sopra menzionata pronuncia di questa Corte – ha affermato il principio secondo il quale discende dall’ordinamento, interpretato alla luce della Costituzione, che gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito della “translatio iudicii”, dinanzi al giudice munito di giurisdizione.
Nel caso di specie la pronuncia che ha negato la giurisdizione del giudice amministrativo adito in favore del TSAP e’ un’ordinanza del Consiglio di Stato, emessa in sede di reclamo cautelare, e costituisce principio consolidato che le ordinanze del Consiglio di Stato che abbiano risolto, in sede di reclamo cautelare, in pendenza del giudizio di merito, in senso positivo o negativo, questioni attinenti alla giurisdizione, hanno carattere di provvisorieta’ e sono prive di natura decisoria definitiva, cosi’ da non essere idonee ad assumere forza di giudicato sulla giurisdizione (Cass. Sez. Un., 15 febbraio 2007, n. 3370; 31 gennaio 2006, n. 2053; 20 aprile 2005, n. 8212; 22 settembre 2003, n. 14070; 2 luglio 2003, n. 10464), potendo la questione di giurisdizione essere diversamente risolta, successivamente, dallo stesso giudice amministrativo, con sentenza.
Ne deriva che nel caso in esame il giudice amministrativo non si era spogliato della giurisdizione e non poteva farsi luogo a “translatio iudicii” in senso tecnico. Ne’, del resto, il ricorrente ha prospettato di avere inteso fare ricorso a tale istituto.
Tuttavia, dinanzi alla riproposizione della domanda dinanzi al giudice indicato dal Consiglio di Stato in sede cautelare come titolare della giurisdizione su di essa – in pendenza del giudizio di merito tempestivamente proposto dinanzi al giudice amministrativo sulla base dell’indicazione in tal senso fornita dall’amministrazione nel provvedimento impugnato – la problematica relativa all’errore scusabile andava rimeditata dal TSAP anche in relazione ai principi sopra indicati, enunciati nella sentenze n. 4109 del 2007 di questa Corte e n. 77 del 2007 della Corte costituzionale riguardo all’effettivita’ della tutela giurisdizionale, che deve essere assicurata con ogni strumento possibile in caso di erronea proposizione della domanda dinanzi a un giudice privo di giurisdizione su di essa.
3.3. La sentenza impugnata ha negato che le ricorrenti avessero diritto ad una “riammissione automatica in termini” sulla base della sentenza n. 86 del 1998 della Corte costituzionale, con la quale la Corte aveva statuito – decidendo una questione di legittimita’ costituzionale in materia di opposizioni a sanzioni amministrative – che la L. n. 241 del 1990, art. 3, disponendo che “in ogni atto notificato al destinatario debbono essere indicati il termine e l’autorita’ cui e’ possibile ricorrere”, contiene una normativa di carattere generale, in base al quale doveva ritenersi che non possano verificarsi preclusioni a proporre opposizioni non solo quando manchi nell’ordinanza – ingiunzione “ex L.” n. 689 del 1981 l’indicazione del termine entro il quale e’ possibile farlo, ma a maggior ragione nel caso in cui sia indicato erroneamente un termine piu’ lungo di quello fissato dalla legge.
La sentenza impugnata, nel dichiarare irricevibile il ricorso, discostandosi dai principi interpretativi enunciati in tale decisione della Corte costituzionale, ha osservato che, secondo la giurisprudenza dei giudici ordinari e amministrativi, la mancata o errata indicazione in calce al provvedimento dell’organo al quale proporre il ricorso, puo’ legittimare unicamente il riconoscimento dell’errore scusabile, ove ne sussistano i presupposti secondo i principi generali elaborati al riguardo. Cioe’ ove sussista una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario, risolvendosi altrimenti l’inadempimento dell’amministrazione in una sottrazione indiscriminata dall’onere, gravante sul destinatario dell’atto, di ottemperare alle prescrizioni vincolanti delle norme che disciplinano la sua impugnazione, assistite dalla presunzione di legale conoscenza. Non sussistendo detti presupposti nel caso di specie, avendo la causa ad oggetto una questione in relazione alla quale non esistevano incertezze in giurisprudenza sulla giurisdizione del TSAP, la sentenza ha quindi dichiarato il ricorso irricevibile.
3.4. In proposito va considerato che la “ratio” della disposizione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e’ da rinvenirsi nell’esigenza di dare ai destinatari dei provvedimenti amministrativi la massima effettivita’ al diritto di difesa nei confronti della pubblica amministrazione, in adempimento delle prescrizioni degli artt. 24 e 113 Cost.: effettivita’ del diritto di difesa oggetto, appunto, delle sopra richiamate, affermazioni di principio ed interventi innovativi da parte delle menzionate sentenze n. 4109 di queste Sezioni Unite e 77 del 2007 della Corte costituzionale.
In correlazione alla “ratio” su detta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 86 del 1998, con riferimento ai provvedimenti irrogativi di sanzioni amministrative, aveva ritenuto – facendo propria una tesi gia’ affermata da questa Corte (Cass. 13 settembre 1997, n. 9080) – che la mancata indicazione nel provvedimento notificato al destinatario del termine e dell’autorita’ alla quale ricorrere escludesse il formarsi di una preclusione all’impugnazione e a maggior ragione lo escludesse l’indicazione di un termine piu’ lungo di quello di legge.
Trattavasi di una sentenza interpretativa di rigetto, riguardante specificamente le opposizioni a sanzioni amministrative, la quale, in quanto sentenza interpretativa, non aveva valore precettivo al di fuori del giudizio in relazione al quale era stata emanata. Cosicche’ l’elaborazione giurisprudenziale successiva ha potuto diversamente precisare le conseguenze processuali della violazione delle prescrizioni della L. n. 241 del 1990, art. 3, sia con riferimento alle opposizioni a sanzione amministrativa dinanzi al giudice ordinario, sia in via generale con riferimento agli atti impugnabili dinanzi ad altri giudici e, in particolare, ai giudici amministrativi.
E’ rimasto minoritario l’orientamento secondo il quale la mancata indicazione del termine e dell’autorita’ dinanzi alla quale impugnare il provvedimento impedirebbe il verificarsi delle preclusioni conseguenti alla mancata impugnazione nel termine di legge dinanzi al giudice avente giurisdizione (Cass. 29 ottobre 2004, n. 21001; 7 luglio 2004, n. 12428; 25 luglio 2000, n. 9725; Cons. Stato, sez. 4^, 22 giugno 2000, n. 3508) . Secondo l’orientamento maggioritario, invece, detta mancanza (o l’erroneita’ delle indicazioni offerte) renderebbe rilevante sul piano processuale l’eventuale scusabilita’ dell’errore in cui sia incorso il ricorrente (Cass. Sez. un., 18 maggio 2000, n. 362; Cass. 23 gennaio 2004, n. 1401; 16 maggio 2006, n. 11405; 6 settembre 2006, n. 19189). Cio’ nel senso di rendere applicabile, secondo i principi generali elaborati dalla giurisdizione amministrativa, l’istituto della remissione in termini (Cons. Stato, 6^ sez., 22 ottobre 2002, n. 5812; 26 luglio 2004, n. 5316): principi in applicazione dei quali tale mancanza non implicherebbe di per se’, necessariamente, la concessione della rimessione in termini, ma solo ove questa risulti giustificata da uno stato di obbiettiva incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte dei destinatari dell’atto (Cons. Stato, Ad. Plen., 14 febbraio 2001, n. 1), e cioe’ sussista una situazione normativa obbiettivamente confusa, che abbia determinato uno stato d’incertezza, per le oggettive difficolta’ interpretative, ovvero per i contrasti giurisprudenziali esistenti, ovvero per il comportamento dell’amministrazione idoneo, perche’ equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti (Cons. Stato, 4^ sez., 19 luglio 2004, n. 5182; 6 luglio 2004, n. 5020).
3.5. La problematica in esame, dopo le sentenze n. 4109 del 2007 di queste Sezioni Unite e 77 del 2007 della Corte costituzionale (ed ora dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 59), a seguito della possibilita’ di “translatio iudicii” con salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda, in molti casi ha perso di rilevanza, conservandola tuttavia in altri, come quello di specie e, soprattutto, nei casi in cui l’azione, in conseguenza della mancata o erronea indicazione del termine, non sia stata tempestivamente proposta. In tali casi non possono essere trascurati i principi affermati nelle su dette sentenze.
Per quanto attiene all’oggetto del ricorso in esame, deve ritenersi che, in mancanza di una disciplina espressa delle conseguenze della mancata o erronea inserzione nell’atto da impugnare delle indicazioni previste dalla L. n. 241 del 1990, art. 3 la seconda delle soluzioni sopra riportate sia quella da adottare per quanto riguarda i giudizi dinanzi ai giudici amministrativi ed a quelli dinanzi al TSAP proposti, come quello in esame, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143. Cio’ in quanto unica soluzione sistematicamente coerente alla stregua della legislazione in materia, tenuto conto che la rimessione in termini per errore scusabile costituisce, secondo un risalente e consolidato orientamento (Cons. Stato., Ad. Pieri., 24 giugno 1999, n. 16), il rimedio generale previsto in caso di errori relativi alla regolarita’ della proposizione dell’azione, per i giudizi dinanzi ai TAR ed al Consiglio di Stato (L. n. 1034 del 1971, artt. 19 e 34 e dal R.D. n. 1054 del 1924, art. 36), nonche’ per i giudizi dinanzi al TSAP proposti ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143 ai quali si applicano (art. 208 di detto R.D.) le norme del titolo 3^, capo 2^, del R.D. n. 1054 del 1924 relative alla disciplina del processo dinanzi al Consiglio di Stato (e quindi anche quella sulla rimessione in termini per errore scusabile).
La norma della L. n. 241 del 1990, art. 3, infatti, impone un obbligo d’informazione a carico della pubblica amministrazione, ma non modifica in alcun modo la rigorosa disciplina dei termini processuali nei giudizi dinanzi ai giudici amministrativi, ordinari o speciali, cosicche’ risulta sistematicamente coerente l’interpretazione secondo la quale il mancato o l’erroneo adempimento dell’obbligo su detto puo’ trovare unicamente rimedio, in tali giudizi, attraverso l’istituto dell’errore scusabile e nei limiti della sua concreta applicabilita’ alle singole fattispecie.
3.6. La sentenza impugnata, peraltro, pur avendo esattamente individuato nell’istituto dell’errore scusabile il rimedio di fronte alla tardivita’ del ricorso, tempestivamente proposto al TAR – ritenuto sia dal Consiglio di Stato in sede cautelare sia dallo stesso TSAP privo di giurisdizione – ha errato nella ricostruzione dei principi, giuridici relativi alla scusabilita’ dell’errore, che debbono ritenersi sistematicamente derivanti dalla disposizione dettata dalla L. n. 241 del 1990, art. 3 e dalle sentenze n. 4109 del 2007 di queste Sezioni Unite e 77 del 2007 della Corte costituzionale.
Deve infatti ribadirsi al riguardo che la “ratio” della L. n. 241 del 1990, art. 3 va ravvisata nell’esigenza di dare ai destinatari dei provvedimenti amministrativi la massima effettivita’ al diritto di difesa nei confronti della pubblica amministrazione, in adempimento delle prescrizioni degli artt. 24 e 113 Cost., in correlazione con la complessita’, nel nostro ordinamento, del sistema di tutela nei confronti degli atti della pubblica amministrazione, caratterizzato da una pluralita’ di giurisdizioni, da normative procedurali differenziate, dall’esistenza di brevi termini di decadenza solo in relazione all’accesso a talune di i giurisdizioni e non ad altre.
In relazione a tale “ratio” deve ritenersi che, se la mancata indicazione del termine entro il quale J impugnare il provvedimento, ovvero la mancata indicazione del giudice dinanzi al quale impugnarlo, possono integrare errore scusabile solo in relazione alle circostanze concrete, da esaminarsi caso per caso – ancorche’ da valutarsi negativamente per il destinatario dell’atto solo nel caso di una sua inescusabilmente protratta inerzia – viceversa deve ritenersi la scusabilita’ dell’errore “in re ipsa” ove l’amministrazione indichi un termine inesatto e/o un giudice privo di giurisdizione e l’interessato, seguendo tale erronea indicazione, impugni l’atto nel termine e davanti al giudice indicato nell’atto.
In particolare, deve ritenersi che ove, come nel caso di specie, esistano i presupposti perche’ l’errore nell’identificazione del giudice munito di giurisdizione dia luogo, dopo la sentenza definitiva del giudice amministrativo che neghi la giurisdizione, alla “translatio iudicii” con salvezza degli effetti processuali prodotti dalla tempestiva impugnazione dinanzi al TAR, il TSAP non possa dichiarare irricevibile per tardivita’ il ricorso proposto dinanzi ad se’.
Ne deriva che il ricorso deve essere accolto, avendo il TSAP errato nel dichiarare irricevibile il ricorso perche’ proposto dopo la scadenza del termine di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 143 negando rilevanza alla circostanza che nel provvedimento impugnato era stato indicato, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3 che esso poteva essere impugnato dinanzi al TAR Veneto entro sessanta giorni, come in effetti le ricorrenti avevano fatto, riproponendo il ricorso dinanzi al TSAP entro sessanta giorni dall’ordinanza con la quale il Consiglio di Stato, in sede cautelare d’appello, aveva declinato la propria giurisdizione in favore di quella del TSAP. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione, che statuira’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 15 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010