Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.974 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, via I. GOIRAN 23, presso lo studio dell’avvocato CONTENTO GIANCARLO, che lo rappresenta e difende in virtu’ di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.F., S.M.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, rappresentati e difesi dall’avvocato TESTA ALBERICO con delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

S.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2728/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, Seconda Sezione Civile, emessa il 24/09/2004; depositata il 21/10/2004; R.G.N.1983/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 05/10/2009 dal Consigliere Dott. AMBROSIO Annamaria;

udito l’Avvocato GIANCARLO CONTENTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con sentenza in data 17/4 – 4/6/2002, il Tribunale di Napoli – decidendo sul ricorso proposto da S.R. nei confronti di S.G., S.F. e S.M.E. – accoglieva, per quanto ritenuto di ragione, la domanda di restituzione di maggiori somme indebitamente versate dalla ricorrente a titolo di canoni di locazione relativamente all’immobile di proprieta’ di F. e S.M.E., sito in ***** e, a tali effetti, condannava parte resistente alla restituzione in favore dell’attrice della somma di Euro 21.594,31, nonche’ al rimborso della meta’ delle spese processuali, dichiarate compensate per l’altra meta’.

1.2. Con sentenza in data 24/9 – 21/10/2004, la Corte di appello di Napoli rigettava l’appello proposto dalla S.R., dichiarando compensate le spese del grado.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione S.R., affidando l’impugnazione ad un unico articolato motivo in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

1.4. Hanno resistito i germani S., depositando controricorso e deducendo l’inammissibilita’ dell’impugnazione e, comunque, il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti di S.G., il quale, peraltro, sarebbe stato privo di legittimazione passiva, per essersi limitato ad assistere i figli nella stipula del contratto.

1.5. E’ stata, quindi, disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di S.G. e, infine, la causa e’ stata assegnata in decisione all’udienza del 5 ottobre 2009.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte territoriale e’ pervenuta al rigetto del gravame della S.R. – previa affermazione della formazione del giudicato sul credito sino alla concorrenza di quanto riconosciuto in primo grado, per essersi gli appellati opposti unicamente all’incremento di tali importo – muovendo dalla considerazione che la pretesa restitutoria per somme asseritamente versate in piu’ rispetto al canone locatizio pattuito, non risultava pienamente provata: cio’ in quanto erano in atti solo copie di assegni bancari relativi a pochi mesi di locazione (utilizzati, secondo la tesi della conduttrice, per il pagamento dei canoni), mancando, per tutti gli altri mesi, adeguata documentazione, che sarebbe stato onere della S.R. produrre.

1.1. Avverso detta decisione la ricorrente oppone un unico articolato motivo di ricorso con cui denuncia:

a) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo prospettato dalla parte;

b) violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 23.

In particolare si duole che la Corte di appello non abbia valutato ed esaminato i motivi di appello formulati in ordine all’erronea determinazione delle somme dovute ad integrazione del canone legale ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 23 con specifico riferimento sia alla decorrenza degli aumenti, sia al computo degli interessi, calcolati – relativamente ad una delle due spese straordinarie sull’intero importo e non gia’ sulla quota afferente il singolo appartamento.

Osserva che, a fronte di tali doglianze, la Corte di appello ha, invece, individuato altri elementi – quali la mancata prova dei pagamenti eseguiti dalla conduttrice – che non erano stati oggetto di contestazione in primo grado e che, pertanto, dovevano ritenersi inconferenti rispetto ai motivi introdotti con il gravame.

La sentenza impugnata, dunque, avrebbe del tutto omesso l’esame del ricorso e la valutazione dei motivi in esso contenuti, fornendo una motivazione insufficiente, contraddittoria e totalmente incompatibile con le ragioni del gravame che inerivano a due punti specifici della c.t.u. e, cioe’, alla decorrenza degli interessi erroneamente fissata al 1978 sulle somme versate dai locatori a titolo di oneri straordinari e alla determinazione della esatta quota dei lavori condominiali, sulla base dei millesimi indicati dal consulente.

2. Il motivo di ricorso e’ inammissibile.

Invero e’ consolidato l’orientamento di questa Corte, secondo cui la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura alla sentenza del giudice di primo grado e’ impugnabile per Cassazione non gia’ per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione ob relationem, resa in modalita’ difforme da quella consentita, bensi’ per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue che, se il vizio e’ denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 o 5 anziche’ dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile (ex plurimis Cass. civ., Sez. 3^, 04/06/2007, n. 12952; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4191; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387; Cass. civ., Sez. 3^, 11/11/2005, n. 22897).

In altri termini l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, deve essere fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente come error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. e non gia’ con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto tali ultime censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa (in termini, ad esempio, Cass. 14 febbraio 2006, n. 3190). Il vizio di motivazione e’, infatti, configurabile nell’ipotesi in cui il giudice abbia serbato il silenzio su una o alcune delle questioni sottoposte al suo esame nell’ambito di una domanda o eccezione, mentre e’ configurabile la violazione dei doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c. qualora si afferma che sia mancata la statuizione in ordine alla domanda o all’eccezione proposta (v. tra le altre Cass. n. 6858 del 2004).

Cio’ posto e considerato che nel caso di specie la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia tralasciato di valutare ed esaminare i motivi di impugnazione, si osserva che, in base ai principi sopra indicati (dai quali non vi e’ ragione di discostarsi), la relativa censura avrebbe dovuto essere formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, come error in procedendo e, cioe’, sotto il profilo della nullita’ della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in tal modo autorizzando il Collegio, quale giudice del fatto processuale, all’esame diretto degli atti al fine di accertare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame) e non gia’ sotto il profilo della “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” e della “violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 23”.

2.1. Non si ritiene superfluo aggiungere che – anche a voler prescindere dal precedente rilievo – le dedotte censure ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 sarebbero in ogni caso inammissibili per carenza di autosufficienza. Invero la ricorrente deduce in termini generici la “non contestazione” sulle somme effettivamente corrisposte e, contemporaneamente, discute dell’erroneita’ dei conteggi in ordine all’applicazione dell’aumento L. n. 392 del 1978, ex art. 23 senza riportare testualmente i contenuti della c.t.u. e/o gli altri dati rilevanti ai fini della verifica sia dell’effettivita’ delle somme non contestate, sia dei presunti errori di calcolo dell’equo canone.

Orbene, atteso il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, questa Corte regolatrice doveva essere messa in grado di effettuare siffatta verifica solo sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, non essendo consentito sopperire alle relative lacune con indagini integrative.

Alla declaratoria di inammissibilita’ consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore della parte resistente come in dispositivo.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore dei resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.300,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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