LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
SANPAOLO IMI SPA il quale ha incorporato il Banco di Napoli s.p.a., elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 82, presso lo studio dell’avvocato CAPPARELLI RICCARDO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALENTE SILVIO giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 433/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE, SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 28/04/2005, depositata il 21/06/2005, R.G.N. 524/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15/10/2009 dal Consigliere Dott. FILADORO Camillo;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto ingiuntivo del 24 giugno 1988 il Presidente del Tribunale di Lecce ordinava a M.A., quale fideiussore, di pagare al Banco di Napoli la somma di L. 54.044.173 per scopertura del conto corrente n. *****.
Il M. proponeva opposizione che era rigettata dal Tribunale di Lecce con sentenza 1 luglio 1993.
La Corte di Appello di Lecce dichiarava improcedibile l’appello proposto dal M., non avendo l’appellante provveduto a depositare il proprio fascicolo nel momento in cui la causa era trattenuta per la decisione.
Dopo la sentenza di appello, il decreto ingiuntivo, su richiesta del Banco, era munito di formula esecutiva ed, in forza dello stesso, veniva iscritta ipoteca giudiziale il 3 aprile 1996 e si procedeva a pignoramento immobiliare.
Con sentenza 4756 del 1998 questa Corte accoglieva il ricorso del M., rilevando che la mancanza di fascicolo di parte non determina lrimprocedibilita’ del giudizio nei casi in cui risulti che lo stesso fosse stato prodotto, implicando solo che il giudizio avvenga in base agli atti.
La sentenza della Cassazione rimetteva la causa ad altra sezione della stessa Corte di appello.
A seguito di tale decisione, il M. proponeva opposizione alla esecuzione.
Con sentenza 21 ottobre 2002 il Tribunale di Lecce accoglieva la opposizione rilevando che – a seguito della decisione di appello che aveva dichiarato la improcedibilita’ del gravame – il Banco disponeva di un valido titolo esecutivo, ma che detto titolo era venuto meno nel momento in cui la Corte di Cassazione aveva cassato la decisione della Corte di appello.
Pertanto, da tale momento la espropriazione era divenuta illegittima e doveva essere cancellata la iscrizione sia della ipoteca giudiziale che del pignoramento.
Avverso la decisione del Tribunale proponeva appello il SANPAOLO IMI (societa’ incorporante il Banco di Napoli) esponendo che il primo giudice non aveva considerato che era ancora pendente il giudizio nel quale si dibatteva della esistenza, o meno, del titolo esecutivo e che alla Corte non era stato richiesto di revocare o sospendere la efficacia del predetto titolo.
Pertanto, concludeva la societa’ appellante, il Tribunale avrebbe potuto dichiarare la illegittimita’ della esecuzione solo in presenza di un provvedimento di revoca della esecutorieta’, e, in difetto, avrebbe dovuto rigettare la opposizione o sospendere il giudizio.
Con sentenza 28 aprile – 21 giugno 2005 la Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello proposto dalla spa SANPAOLO IMI avverso la decisione del locale Tribunale del Tribunale di Lecce del 21 ottobre 2002 la quale aveva accolto l’opposizione all’esecuzione proposta da M.A..
Dopo aver rilevato che l’appello esponeva i motivi di gravame con sufficiente grado di specificita’, la Corte territoriale osservava che poiche’ l’obbligo di adempiere del debitore ex art. 480 c.p.c. presuppone un titolo del creditore, non e’ sufficiente che il titolo sussista quando viene proposta la azione diretta alla concreta realizzazione del diritto, ma e’ necessario che la validita’ e la efficacia del titolo permangano durante tutto il corso della fase esecutiva, dal momento della intimazione di precetto fino a quello del completamento e dell’esaurimento della procedura esecutiva, sicche’ la sopravvenuta caducazione del titolo stesso, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche per la prima volta in cassazione, importa la illegittimita’ delle esecuzione con effetto “ex nunc”.
Premesso che la pronuncia di primo grado, che aveva rigettato la opposizione a decreto ingiuntivo, era sprovvista di efficacia esecutiva, i giudici di appello rilevavano che la sentenza appellata aveva fatto corretta applicazione dei principi in materia, non avendo valore ostativo all’emanazione della sentenza il fatto che fosse ancora pendente il giudizio di merito.
Non poteva, infatti, disporsi la sospensione del giudizio, considerato che dichiarando che la sentenza fatta valere come titolo esecutivo, in realta’, non consentiva l’esercizio della relativa azione, il giudice dell’esecuzione non compie alcuna indagine sulla ammissibilita’ dell’appello, ma si limita alla verifica della esistenza e persistenza del titolo giudiziale posto a fondamento della esecuzione.
Ne’ del resto, aveva osservato la Corte territoriale, il giudice dell’esecuzione e’ tenuto a disporre la sospensione del processo di opposizione, a norma dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione della controversia cui la sentenza si riferisce, non sussistendo pregiudizialita’ tra gli accertamenti oggetto dei due giudizi.
Avverso tale decisione SANPAOLO IMI ha proposto ricorso per Cassazione sorretto da due motivi.
L’intimato non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione delle norme sulla competenza in relazione all’art. 389 c.p.c. e all’art. 144 disp. att. c.p.c., agli artt. 615, 616 e 175 e segg. c.p.c..
Rileva l’Istituto bancario ricorrente che le domande conseguenti alla cassazione della sentenza, in base al combinato disposto delle norme di legge richiamate, si propongono al giudice di rinvio.
Nel caso di specie, il M. correttamente aveva proposto opposizione ex art. 615 c.p.c. innanzi al giudice della esecuzione e correttamente la procedura era stata sospesa.
Una volta – tuttavia – che era stato instaurato il giudizio di merito sulla opposizione ex art. 615 c.p.c., in pendenza di quello di rinvio, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la litispendenza e rimettere le parti alla Corte territoriale (designato quale giudice di rinvio) la quale, riuniti i due giudizi, avrebbe potuto deciderli con una unica sentenza.
Dal suo canto, osserva ancora il ricorrente, il giudice dell’esecuzione dovrebbe limitarsi alla constatazione dell’esistenza, o meno, dei requisiti formali esteriori che attengono all’esecutivita’ ed alla constatazione dell’esistenza giuridica di un titolo che potesse consentire l’esecuzione, mentre spetterebbe al giudice di rinvio accertare il contenuto sostanziale del rapporto, provvedendo quindi alla cancellazione della ipoteca.
Una volta riassunto il giudizio di rinvio, peraltro, il M. non aveva neppure chiesto la sospensione e/o la revoca della esecutorieta’ del decreto.
Da tutto questo discende, ad avviso dell’Istituto bancario ricorrente, che – almeno fin quando era pendente il merito della vicenda – fosse la Corte salentina competente a giudicare la opposizione ex art. 615 c.p.c..
Osserva il Collegio:
La realizzazione coattiva dell’obbligo risultante dal titolo esecutivo puo’ aversi in quanto l’obbligo sussista non solo quando l’azione e’ minacciata o iniziata, ma anche nel momento in cui si tratta di adottare nel processo esecutivo i provvedimenti idonei ad attuarla (Cass. 9 gennaio 2002 n. 210, 28 marzo 2000 n. 3728; 1 giugno 1998 n. 5374; 28 giugno 1995 n. 7285).
Pertanto, se il provvedimento giudiziale che costituisce il titolo esecutivo e’ annullato, l’esecuzione deve arrestarsi e non puo’ piu’ proseguire: ne segue che l’opposizione proposta per far dichiarare che la parte non ha diritto di procedere ad esecuzione deve essere accolta.
Di questo principio e’ stata fatta corretta applicazione, nel caso di specie, considerato che l’annullamento aveva investito una sentenza d’appello, cassata con rinvio perche’ fosse rinnovata la decisione sul merito della controversia.
In questo caso, le sentenze pronunciate nella fase di merito perdono efficacia (art. 336 c.p.c., comma 2).
Ad avviso della ricorrente, tutte le domande conseguenti dalla cassazione della sentenza dovrebbero comunque essere proposte al giudice del rinvio (quindi anche la opposizione all’esecuzione).
La tesi e’ priva di qualsiasi fondamento.
Premesso che l’art. 389 c.p.c. non contiene un criterio inderogabile di competenza in favore del giudice del rinvio, certamente nel giudizio di rinvio si possono trattare le domande di restituzione o di riduzione in pristino ed ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione.
Tra queste ultime tuttavia, non rientra quella di opposizione all’esecuzione poiche’ la competenza di questa appartiene al giudice della esecuzione.
Infatti, la opposizione ex art. 615 c.p.c. si propone al giudice dell’esecuzione anche per far valere che dopo l’inizio dell’esecuzione il titolo e’ venuto meno: in questo caso, la competenza appartiene al giudice dell’esecuzione, perche’ questa e’ gia’ iniziata.
Una volta iniziato il procedimento di esecuzione in forza di sentenza che venga poi cassata, e propostasi opposizione al precetto ed al pignoramento, sorge un rapporto processuale d’esecuzione del tutto autonomo, il quale non puo’ essere attratto dalla competenza del giudice del rinvio.
L’opposizione alla esecuzione, quale e’ regolata dagli artt. 615 e 616 c.p.c., investe il giudice della esecuzione della questione fondamentale se possa procedersi alla esecuzione.
La legge, infatti, non distingue, e non esclude dalla competenza del predetto giudice, il caso in cui l’esecuzione non possa iniziarsi o proseguirsi per essere stata cassata la sentenza in base alla quale si intendeva procedere esecutivamente.
Il giudice dell’esecuzione si fermera’ alla constatazione dell’esistenza o meno dei requisiti formali esteriori che attengono alla esecutivita’ ed alla constatazione della esistenza giuridica di un titolo che consente di procedere alla esecuzione.
In sede di opposizione all’esecuzione non e’, infatti, consentito alcun controllo intrinseco sul titolo esecutivo giudiziale, diretto ad invalidarne l’efficacia, in base ad eccezioni deducibili nel procedimento in cui il titolo stesso si e formato, ma soltanto il controllo circa l’attuale validita’ ed esistenza del titolo, cosi’ da poter stabilire se esso sia effettivamente a base dell’esecuzione o sia venuto meno per fatti posteriori alla sua formazione.
Sara’ riservato invece alla competenza del giudice del rinvio il compito di accertare il contenuto sostanziale del rapporto e se questo risultera’ incompatibile con la sentenza cassata, provvedera’ a quelle restituzioni cui fa riferimento l’art. 389 c.p.c..
Tra l’altro, le domande di restituzione o di riduzione in pristino della parte che ha eseguito una prestazione in base ad una sentenza poi cassata puo’ essere proposta, oltre che nell’eventuale giudizio di rinvio (ove la cassazione della sentenza sia stata pronunciata con rinvio ad altro giudice), anche in separata sede, atteso che le predette domande sono del tutto autonome da quelle dell’eventuale giudizio di rinvio, assolvendo all’esigenza di garantire all’interessato la possibilita’ di ottenere al piu’ presto la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata, a prescindere dal successivo sviluppo del giudizi (Cass. S.U. 2 luglio 2004 n. 12190).
Va, infine, rilevato che allorche’ il giudice dell’opposizione alla esecuzione dichiara che il provvedimento o la sentenza fatta valere come titolo esecutivo non consente l’esercizio della relativa azione, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. 24 maggio 2002 n. 7631), ad esempio, perche’ si tratta di sentenza appellabile o gia’ appellata, oltre che non provvisoriamente esecutiva, lo stesso non compie alcuna indagine sull’ammissibilita” dell’appello (che gli e’ preclusa), ma si limita alla verifica (che gli compete) dell’esistenza o persistenza del titolo giudiziale posto a fondamento dell’esecuzione; ne’, ove si tratti di sentenza appellata, e’ tenuto a disporre la sospensione del processo di opposizione, a norma dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione della controversia cui la sentenza si riferisce, non sussistendo pregiudizialita’ tra gli accertamenti oggetto dei due giudizi (cfr. Cass. 16601 del 2005).
Con il secondo motivo la societa’ SANPAOLO IMI denuncia violazione di norme di diritto in relazione all’art. 295 c.p.c., omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 295 c.p.c..
I giudici di appello, senza alcuna motivazione, avevano escluso la pregiudizialita’ tra gli accertamenti oggetto dei due giudizi.
La giurisprudenza di questa Corte, sottolinea la societa’ ricorrente, ha ripetutamente affermato l’obbligo del giudice della opposizione all’esecuzione di sospendere il giudizio fino alla definizione del giudizio di impugnazione della sentenza posta in esecuzione, attesa la pregiudizialita’ di quest’ultimo giudizio rispetto al primo.
Anche nel caso prospettato dalla banca esisteva pregiudizialita’ tra i due giudizi.
Infatti, se le ragioni della Banca dovessero essere confermate dalla Corte territoriale, allora, con effetto ex tunc rivivrebbe la esecuzione immobiliare tuttora paralizzata, per l’ipoteca varrebbe comunque il disposto dell’art. 2884 c.c..
Il motivo deve considerarsi assorbito, in conseguenza delle considerazioni gia’ svolte a proposito del rigetto del motivo che precede.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
Puo’, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto:
“L’opposizione all’esecuzione condotta sulla base di un titolo derivante da una sentenza poi cassata con rinvio non e’ attratta nella competenza giudice di rinvio, in quanto oggetto di quel giudizio e’ l’esistenza o meno del titolo che legittimo’ l’esecuzione (anche per sopravvenuta cassazione della sentenza posta in esecuzione), mentre l’accertamento dell’esistenza (o meno) del diritto che si dovrebbe attuare con l’esecuzione resta attribuita al giudice di rinvio, al quale spetta procedere all’accertamento del contenuto sostanziale del rapporto quale risulta dalla sentenza cassata, provvedendo, se dal caso, alle restituzioni ex art. 389 c.p.c..(Cass. 30 agosto 1991 n. 9269).
Nessuna pronuncia in ordine alle spese, non avendo l’intimato svolto difese in questo giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010