Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.980 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26457-2005 proposto da:

P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo studio dell’avvocato MACARIO FRANCESCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

T.A., TO.AD., C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato JANNARELLI ANTONIO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 942/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI, 2^

SEZIONE CIVILE, emessa il 01/10/2004, depositata il 29/10/2004, R.G.N. 1607/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2009 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato LUCA VIANELLO per delega dell’Avvocato FRANCESCO MACARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Nel 1999 P.V. agì giudizialmente nei confronti di T.A. ed Ad. e di C.M. (figli e moglie di T.G., deceduto il *****) per il pagamento della somma di L. 113.874.480 che affermò dovutagli in base ad un accordo transattivo concluso coi primi due il ***** a definizione delle sue ragioni creditorie nei confronti di T. G., col quale era intercorsa una società di fatto. Espose che con il citato accordo transattivo gli eredi, rimasti poi inadempienti, si erano impegnati a versargli la metà di quanto avrebbero riscosso dal comune di ***** quando fosse stato definito il giudizio che essi avevano promosso per il risarcimento dei danni da occupazione appropriativa di un suolo di proprietà dei due ex soci.

I convenuti resistettero eccependo: la C. il proprio difetto di legittimazione passiva per non aver sottoscritto la transazione; i T. la nullità dell’atto per lo stesso motivo, ex art. 1966 c.c. nell’assunto che, essendo la madre usufruttuaria testamentaria dell’intero patrimonio, essi non avrebbero potuto disporre del suo diritto di usufrutto sul capitale.

2.- L’adito tribunale di Foggia, in accoglimento delle eccezioni dei convenuti, rigettò la domanda con sentenza n. 1232 del 2002 e la corte d’appello di Bari ha respinto il gravame del P. con sentenza n. 942 del 2004, avverso la quale il soccombente P. ricorre per cassazione affidandosi ad un unico motivo.

Gli intimati T./ C. resistono con controricorso illustrato anche da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Si duole il ricorrente, deducendo insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione al punto decisivo della controversia relativo al titolo del proprio credito nei confronti dei fratelli T., che la corte d’appello abbia per un verso correttamente affermato che esso era costituito dalla transazione e non dalla successione ereditaria e, per altro verso, compiuto un errore logico-giuridico laddove aveva ritenuto che l’esistenza dell’usufrutto della C. sulla somma che il Comune avrebbe pagato agli eredi T. minasse la validità dell’impegno che i due fratelli T. avevano assunto con il P., per aver essi ‘”disposto della somma capitale su cui grava il diritto di usufrutto della madre senza la partecipazione all’atto della stessa”.

Sostengono che la mera coincidenza dell’importo transattivamente dovuto con una frazione di quanto dovuto dal Comune agli eredi del defunto sia privo di rilevanza giuridica nei rapporti tra le parti della transazione, potendo se mai assumere rilievo solo nei rapporti tra i fratelli T. e la madre. Insomma, la transazione era estranea alla vicenda successoria, come del resto riconosciuto dalla stessa corte d’appello, laddove aveva affermato che “la questione della successione ereditaria attiene al titolo in base al quale i T. riscuotevano la somma dal Comune, e non ha niente a che fare con il titolo dell’obbligazione di pagamento di detta somma per la metà verso il P., fondata esclusivamente sull’atto transattivo. Perciò, nella specie, non è da parlare di passivo ereditario e di assunzione da parte dei T. di responsabilità ultra vires”.

2.- La corte d’appello ha escluso che la somma che i due eredi si erano transattivamente obbligati a dare al P. fosse un debito ereditario (pagina 5 della sentenza, secondo capoverso) , peraltro ritenendo che di un credito ereditario essi avessero disposto nel cedere al P., che del de cuius si proclamava appunto creditore, parte di quanto avrebbero percepito dal comune. Ed ha ritenuto la transazione nulla ex art. 1966 c.c. perchè, cedendo quel credito senza la partecipazione all’atto della madre usufruttuaria dell’intero patrimonio ereditario, i figli nudi proprietari avevano disposto di un diritto altrui. Ha così prestato piena adesione all’assunto dei convenuti, interessati alla prospettazione di una nullità che li avrebbe liberati (tutti) dall’obbligazione transattivamente assunta (dai figli, nudi proprietari) nei confronti del creditore del de cuius.

Non ha peraltro indagato se il rispetto del principio di conservazione del negozio di cui all’art. 1367 c.c. – secondo il quale il contratto va, nel dubbio, interpretato nel senso in cui possa avere qualche effetto, anzichè nel senso in cui non ne abbia alcuno (come sarebbe se la transazione fosse nulla tout court) – rendesse possibile un’interpretazione dell’accordo transattivo tale da escludere la nullità.

La prima alternativa ermeneutica era, evidentemente, quella di considerare il riferimento a quanto gli eredi avrebbero riscosso dal comune un mero parametro di riferimento per la determinazione quantitativa di un’obbligazione di dare denaro direttamente assunta dai due figli del de cuius, in proprio, senza alcuna incidenza sul diritto di usufrutto della madre (per questo rimasta estranea all’atto e per questo indifferente alla transazione), che avrebbe continuato ad essere titolare del diritto di usufrutto sulla somma capitale da erogarsi dal comune, instaurando coi figli nudi proprietari la situazione contemplata dall’art. 1000 c.c., comma 2, c.c.. Tanto più che il testo dell’accordo transattivo (riportato nella sua interezza sia in ricorso che in controricorso) fa riferimento ad una solidarietà tra gli eredi di T.G. del tutto estranea alla disciplina propria dei debiti ereditari che, com’è noto, si ripartiscono fra gli eredi prò quota (ex artt. 752 c.c.) e che la transazione (del *****) è di circa sette anni successiva alla pubblicazione (avvenuta il *****) del testamento olografo del defunto.

La seconda alternativa interpretativa sarebbe stata quella di ritenere che la cessione del credito avesse riguardato esclusivamente la nuda proprietà del capitale e non anche l’usufrutto della somma di denaro, con la conseguenza che il capitale riscosso dal comune avrebbe continuato ad essere gravato dall’usufrutto della C. pur dopo il riversamento al P., realizzandosi fra loro la menzionata situazione di cui all’art. 1000 c.c., comma 2, e che avrebbe visto – quanto alla concorrenza dei diritti gravanti sul capitale – solo sostituito il P. ai T., ancora una volta con sostanziale indifferenza dell’usufruttuaria C..

Quella raggiunta dalla corte d’appello è, invece, del tutto apodittica e in palese contrasto col disposto di cui all’art. 1367 c.c..

Si tratta, tuttavia, di conclusione che – in quanto implicante l’interpretazione di un atto negoziale – è suscettibile di essere raggiunta solo dal giudice del merito, che effettuerà le necessarie valutazioni nel rispetto del canone ermeneutico sopra indicato.

3.- La sentenza va dunque cassata con rinvio alla medesima corte territoriale in diversa composizione, affinchè decida sull’appello del P. e si pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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