Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.981 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26484-2007 proposto da:

U.R. nella espressa qualità di procuratore speciale del Sig. B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 59, presso lo studio dell’avvocato SANDULLI EMILIO PAOLO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RICCARDO GRAZIOLI LANTE 76, presso lo studio dell’avvocato IASONNA STEFANIA, rappresentata e difesa dagli avvocati PROCACCINI ERNESTO, TORTORIELLO RAFFAELE giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2825/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 10/02/2006, depositata il 14/09/2006, R.G.N. 2794/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2009 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;

udito l’Avvocato EMILIO PAOLO SANDULLI;

udito l’Avvocato GIOVANNI ATTINGENTI per delega dell’Avvocato ERNESTO PROCACCINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’inammissibilità e il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’impugnata decisione o svolgimento del processo è svolto come segue.

B.E. conveniva in giudizio R.A. e V.A.M. e previo annullamento dei contratti redatti il ***** per notar Naschi e di quello stipulato il ***** per notar Licenziati, ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni subiti.

Deduceva l’attore di essere titolare di un’emittente radiofonica con le relative attrezzature e di esercitare tale attività presso il suo domicilio coadiuvato per due volte a settimana da R.A.;

che, nel *****, a seguito di una grave malattia alla tiroide, aveva manifestato disturbi psichici di gravità tale da compromettere le sue facoltà volitive; che il R., approfittando dei suo stato mentale gli faceva sottoscrivere, presso il notaio Naschi, un atto di costituzione di una società in accomandita semplice.

Riferiva, inoltre che, in data ***** egli, sempre nelle stesse condizioni d’incapacità cedeva le proprie quote, pari al 30% del capitale sociale a V.A.M. che acquistava anche il residuo capitale del R. divenendo proprietaria dell’emittente.

Chiedeva, pertanto, l’annullamento di tali atti e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti.

Si costituiva il R. che chiedeva il rigetto della domanda contestando i fatti come narrati dall’attore. Deduceva, infatti, che sin dal ***** era stato coinvolto nella gestione della radio anche mediante versamenti in danaro; ricordava, in particolare, di avere versato al B. una prima somma di danaro di L. 500.000 che quest’ultimo gli aveva riferito essere necessaria per il pagamento delle concessioni amministrative e, successivamente, l’ulteriore importo di L. 8.500.000, utilizzato per riparazioni alle attrezzature.

Nel ***** tutta l’attrezzatura fu trasferita presso un locale che era già da lui utilizzato quale deposito a servizio della propria attività di piccolo imprenditore edile, che le spese necessarie al trasferimento ed all’installazione di una nuova antenna furono interamente da lui sopportate e che fu per tale motivo che fu costituita con il B. la società, le cui quote erano, peraltro, assolutamente rispettose dei relativi esborsi.

Dopo avere contestato lo stato d’incapacità dell’attore, chiedeva il rigetto della domanda.

Si costituiva la V. che deduceva, preliminarmente di essere estranea ai rapporti intercorsi tra il R. ed il B. e che, in ogni caso non le era opponibile un eventuale stato d’incapacità di quest’ultimo al momento della stipula del contratto costitutivo di società.

Assolutamente valido era, a suo dire, il contratto con il quale ella aveva acquistato le quote di entrambi i soci; nessuna incapacità, infatti, era rilevabile al momento dell’acquisto, atto, peraltro al quale era presente anche la moglie del B..

Con sentenza n. 15181/01 emessa il 30 novembre/22 dicembre 2001, il Tribunale di Napoli dichiarava l’annullamento dell’atto ***** per notar Naschi e quello del ***** per notar Licenziati e rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’attore;

condannava R.A. e V.A.M. al pagamento delle spese processuali e rigettava la domanda riconvenzionale proposta da R.A..

Avverso la sentenza interponeva gravame la V. che deduceva l’erroneità dell’accoglimento della domanda proposta dall’attore nei suoi confronti; rilevava, infatti, che alcuna prova dello stato d’incapacità dello stesso sarebbe stata acquisita, riferendosi la documentazione clinica prodotta ad un periodo certamente antecedente alla stipula del contratto con il quale ella aveva acquistato l’emittente radiofonica.

In ogni caso, al momento della stipula dell’atto pubblico, ella non avrebbe potuto conoscere di un eventuale stato d’incapacità del B. che, peraltro, era accompagnato dalla moglie e che ella non aveva mai conosciuto prima; le trattative, infatti, si erano svolte esclusivamente con il R..

Avrebbe, dunque agito in buona fede nè dal contratto sarebbe derivato all’appellato alcun pregiudizio economico, avendo ella pagato l’intero importo pattuito per la vendita.

Il giudice, inoltre, avrebbe omesso di considerare che l’acquisto aveva avuto ad oggetto non solo le quote del B., ma anche quelle del R. che, in ogni caso, le sarebbero state validamente cedute.

Concludeva, pertanto, come riportato in epigrafe.

Si costituiva il B. che deduceva l’infondatezza del gravame del quale chiedeva il rigetto.

Ribadiva il suo stato d’incapacità perdurante anche al momento della stipula della vendita in favore della V., deducendo, peraltro un pregiudizio ai suoi danni, atteso che il valore dell’emittente era, comunque, di gran lunga superiore al prezzo pagato dall’acquirente.

In riconvenzionale, poi, si doleva del rigetto della sua domanda di risarcimento dei danni, dei quali chiedeva la liquidazione nella misura di L. 20.000 000.

Si costituiva anche R.A. che dichiarava di non avere interesse alla causa, dalla quale chiedeva di essere estromesso; in ogni caso chiedeva di essere escluso da un’eventuale condanna alle spese comminata ad una delle altre parti, anzi si doleva di essere stato condannato alle spese nel primo grado di giudizio, chiedendo la riforma di tale capo della sentenza.

All’udienza collegiale del 21 ottobre 2005 la causa era assunta in decisione con i termini di cui all’art. 190 c.p.c..

Con sentenza 10.2 – 14.9.2006 la Corte di Appello di Napoli decideva come segue:

“… accoglie l’appello principale e, per l’effetto, dichiara valido ed efficace tra le parti contratto redatto ***** per notar Licenziati;

in parziale accoglimento dell’appello incidentale, condanna R. A. al pagamento, in favore di B.E., a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 10.329,14 oltre agli interessi legali dalla data della sentenza a quella dell’effettivo soddisfo; compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione O. R. quale procuratore speciale di B.E..

Ha resistito con controricorso V.A.. Entrambe dette parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1445, 2247 e ss. e 2909 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c., u.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Erroneamente la corte d’appello, dopo aver ritenuto che si era formato il giudicato sulla statuizione della sentenza del tribunale di Napoli che aveva stabilito l’annullamento dell’atto 30 luglio 1993 di costituzione della società sopra citata, ha ritenuto che il giudicato stesso non era opponibile anche alla V.. Al contrario tale opponibilita sussisteva sia perchè detta V. era stata parte del giudizio di primo grado nel quale si era formato il giudicato medesimo; sia perchè nelle more di tale giudizio ella aveva acquistato l’ulteriore 50% delle quote sociali delle quali era titolare il R., divenendo socia accomandataria e legale rappresentante della società; e quindi successore a titolo particolare del R. nel diritto controverso. La V. avrebbe perciò avuto l’obbligo processuale di impugnare anche la pronuncia di annullamento dell’atto *****. La stipulazione dell’atto ***** durante il giudizio di primo grado esclude a priori la sua qualità di terzo di buona fede, dato che la società era priva di esistenza giuridica la V. ha acquistato un capitale sociale giuridicamente inesistente. Dopo aver esposto quesiti di diritto su tali punti, la parte ricorrente denunzia anche insufficiente e contraddittoria motivazione, osservando che la corte d’appello non ha esposto valide argomentazioni circa le problematiche in questione.

Il motivo non può essere accolto in quanto l’impugnata motivazione è immune dai vizi lamentati.

Occorre infatti considerare che la motivazione esposta dalla Corte comprende una parte implicita (ma chiaramente emergente dal contesto) secondo la quale:

– A) l’annullamento (passato in giudicato) del contratto redatto il ***** per notar Naschi tra B. e R. (costituzione della società in accomandita semplice), ai sensi dell’art. 1445 c.c. non poteva pregiudicare i diritti acquistati a titolo oneroso dal terzo in buona fede ( V.A.M.) con il contratto ***** (con cui B.E. ha ceduto la propria quota, e cioè il 30% del capitale, a V.A.M.);

infatti la norma contenuta nell’art. 1445 c.c. cit. è volta proprio a stabilire che i diritti de terzo in buona fede non possono essere pregiudicati da evento come detto annullamento (anche se passato in giudicato); e quindi il passaggio in giudicato dell’annullamento medesimo vale solo rendere non più impugnabile l’evento (annullamento) in relazione a quale il legislatore ha previsto l’effetto de qua (impossibilità di pregiudicare detti diritti);

insomma il giudicato circa l’annullamento è in linea generale opponibile e produce effetti anche nei confronti del successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c.; però se quest’ultimo ha acquistato diritti in buona fede (ex art. 1445 c.c. cit.) questi non vengono pregiudicati (fatti salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento; detta problematica non fa però ritualmente parte della materia processuale sottoposta al giudizio di questa Corte); ancora in altri termini l’opponibilità di carattere processuale predetta è proprio il presupposto dell’applicabilità dell’art. 1445 c.c. (che impone una eccezione di carattere sostanziale qualora detto acquirente sia in buona fede), il quale altrimenti non troverebbe mai applicazione (se detto annullamento non fosse opponibile all’acquirente il problema sarebbe eliminato alla radice; gli effetti processuali previsti dall’art. 111 c.p.c. cit., in questo caso particolare, vengono in concreto resi vani sotto il profilo in questione dall’effetto di carattere sostanziale previsto dall’art. 1445 c.c. in caso di buona fede dell’acquirente).

– B) non sussisteva pertanto alcun “… obbligo processuale …” per la V. di impugnare la pronuncia di annullamento del contratto *****;

-C) il sopraggiungere, nelle more del giudizio di primo grado, della stipulazione del contratto ***** con cui V.A.M. ha acquistato le quote anche del R. è irrilevante ai fini della decisione in questione; dato che ciò non muta in alcun modo quanto ora esposto ai punti A e B; inoltre è chiaro che al momento di detta stipulazione la V. ben doveva conoscere le problematiche oggetto della presente causa aventi ad oggetto la sussistenza della capacità di intendere e di volere con riferimento ai primi due contratti; ma è irrilevante ogni problematica riguardo la sussistenza della buona fede della V. in relazione a terzo contratto, dato che questo non è oggetto della presente causa.

Una volta chiarita, anche nelle sue parti implicite, l’impugnata decisione, deve concludersi che questa si sottrae al sindacato di legittimità in quanto fondata su una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia “violazione è falsa applicazione dei principi in tema di valutazione delle risultanze probatorie e del disposto dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e omessa insufficiente e contraddettola motivazione su un punto controverso e per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” esponendo che giudici di secondo grado hanno erroneamente sindacato la correttezza della decisione di primo grado circa la valutazione delle condizioni psicointellettive del B. al momento della stipula dell’atto del ***** ed hanno erroneamente valutato le risultanze istruttorie acquisite.

Parte ricorrente cita poi talune sentenza di questa corte suprema e espone una serie di considerazioni in ordine alle risultanze istruttorie ed alla diversa valutazione data dal giudice di primo grado e da quello di secondo grado (esponendo anche quesiti di diritto).

Anche il secondo motivo non può essere accolto. Esso intatti deve ritenersi (prima ancora che privo di pregio dato che si è di fronte a tipiche valutazioni di merito della Corte, che si sottraggono al sindacato di legittimità in quanto immuni dai vizi denunciati; cfr.

tra le altre Cass. Sentenza n. 42 del 07/01/2009: “La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute pili idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti) inammissibile in quanto le censure (e relative argomentazioni) della ricorrente, al di là della formale prospettazione, in realtà si basano semplicemente su una diversa valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass. n. 9234 del 20/04/2006; Sentenza n. 1754 del 26/01/2007; Sentenza n. 5066 del 05/03/2007; Cass. Sentenza n. 15489 del 11/07/2007; Cass. Sentenza n. 17477 del 09/08/2007; Sentenza n. 18119 del 02/07/2008).

Con il terzo motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del principio della soccombenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 esponendo che erroneamente la Corte ha ritenuto di compensare integralmente le spese di entrambi i gradi del giudizio, anche nel rapporto tra il B. ed il R., che pure ha visto quest’ultimo integralmente soccombente (ed enunciando un quesito di diritto su punto).

Il motivo non può essere accolto poichè i denunciati vizi non sussistono. Va ribadito a tal proposito il seguente principio di diritto (nella fattispecie si applicano gli artt. 91 e 92 c.p.c. cit.

non novellati, come sostiene pure la parte ricorrente): “In tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore alla novella dell’art. 92 cod. proc. civ. recata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte. Tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all’esistenza di “giusti motivi”, non necessita di alcuna esplicita motivazione e non è censurabile in cassazione, salvo che lo stesso giudice abbia specificamente indicato le ragioni della sua pronuncia, dovendosi, in tal caso, il sindacato di legittimità estendere alla verifica dell’idoneità in astratto dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell’adeguatezza della relativa motivazione.” (Cass. Sentenza n. 7523 del 27/03/2009).

Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto.

Considerate le peculiarità in fatto ed in diritto delle problematiche in questione con riferimento al primo motivo, debbono ritenersi sussistenti giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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