Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.988 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato PETRETTI ALESSIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LANTERO EUGENIO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BORTOLO BELOTTI 55, presso lo studio dell’avvocato AVERSANO ETTORE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CISARO LUISA giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1514/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO, SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 4/5/2004, depositata il 28/05/2004, R.G.N. 2783/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 11/11/2009 dal Consigliere Dott. FILADORO Camillo;

udito l’Avvocato ALESSIO PETRETTI;

udito l’Avvocato LUISA CISARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 4 – 28 maggio 2004 la Corte di appello di Milano accoglieva l’appello di T.G. avverso la decisione del Tribunale di Varese del 6 marzo 2000, condannando il Geom.

S.A. al pagamento della somma di L. 70.000.000 oltre interessi legali dalla domanda, per altrettante ricevute dallo S. a titolo di mutuo a mezzo di quattro assegni bancari rilasciati da T..

Lo S., proponendo opposizione a decreto ingiuntivo, aveva dedotto che la somma in questione gli era stata versata dalla sorella, S.M., moglie del T., a titolo di conguaglio su una quota ereditaria, sul patrimonio relitto dalla propria madre, in considerazione del fatto che i beni immobili attribuiti erano risultati non economicamente equivalenti.

Il Tribunale aveva accolto la opposizione a decreto ingiuntivo sul rilievo che T. non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare che le parti avevano inteso stipulare un contratto di mutuo.

La Corte territoriale, invece, era andata in contrario avviso osservando che lo S. non aveva inteso affatto esonerare il cognato T. dall’onere di fornire la prova del mutuo. Aveva comunque ritenuto la necessita’ di sentire la moglie del T., ritenendo che la stessa non fosse incapace a rendere testimonianza (come erroneamente aveva fatto il primo giudice in considerazione della contitolarita’ del conto corrente sul quale erano stati tratti gli assegni).

I giudici di appello osservavano, per contro, che occorreva distinguere la comproprieta’ del denaro dal contratto di mutuo, e sul piano processuale occorreva. distinguere le azioni spettanti al contitolare di un conto corrente da quelle che competono al mutuante.

Esaminando poi la dichiarazione resa dalla S., insieme con tutti gli altri elementi raccolti, gli stessi giudici avevano ritenuto provato che la causa del versamento dei quattro assegni fosse stata proprio quella di venire incontro alle necessita’ finanziarie dello S..

In tal senso deponevano non solo le dichiarazioni del figlio dell’attore, T.R. e quelle rese dalla moglie di lui, ma, soprattutto, la circostanza che il valore delle due quote, dichiarato dalle stesse parti di pari valor economico, era stato in effetti valutato come equivalente da una perizia tecnica giurata, acquisita agli atti.

Tra l’altro, lo S. non aveva fornito alcuna prova in ordine al contenuto della scrittura privata, nella quale – a suo dire – sarebbe stato contenuto un obbligo della parte che aveva ricevuto la quota di maggior valore (appunto la S.M.) di versare all’altra (il fratello A.) un conguaglio in denaro.

Da ultimo, rilevavano ancora i giudici di appello, un dato significativo era rappresentato dal completo silenzio che la parte ingiunta ( S.A.) aveva mantenuto, per un certo periodo di tempo, a fronte della richiesta di rimborso avanzata dal difensore del T., dopo vari solleciti verbali, rimasti tutti senza esito.

Se corrisponde a vero, infatti, sottolinea la Corte territoriale, che sul piano probatorio il silenzio costituisce un elemento neutro, come tale di difficile apprezzamento, e’ pur vero che esso, in combinazione con altri dati di maggiore rilevanza, consente di definire, almeno sul piano storico, l’atteggiamento delle parti del contratto e di apprezzarne la linearita’ delle reciproche condotte.

Avverso tale decisione lo S. ha proposto ricorso per Cassazione sorretto da cinque motivi.

Resiste T. con controricorso.

Lo S. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente deduce:

1) violazione dell’art. 177 c.p.c. e dell’art. 246 c.p.c.; la teste S.M., moglie di T., era da considerare incapace, perche’ contitolare del conto corrente dal quale era stata tratta la provvista per i quattro assegni ed all’epoca in comunione di beni. Erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto che la stessa fosse rimasta del tutto estranea al mutuo intercorso tra il fratello ed il marito.

Le testimonianze di S.S. e A., R.R. e C.C. avevano confermato in pieno che il pagamento era avvenuto a titolo di conguaglio divisionale.

Fino al marzo 1993 i coniugi S. – T. erano stati in comunione di beni: sicche’ evidente era l’interesse sostanziale della S.M. ad ottenere una sentenza favorevole con conseguenze automatiche anche sulla propria posizione.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c., rilevando che la deposizione di T.R. era del tutto inutile, in ogni caso la stessa era stata ampiamente contraddetta dai testimoni indotti dallo S.. Questi aveva accennato comunque ad un mutuo concesso allo zio da entrambi i genitori. Nessun valore puo’ essere attribuito ad un atto di divisione ereditaria (dunque la indicazione di un pari valore delle quote non poteva assumere alcun valore di “prova processuale”).

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1988 c.c..

Osserva il ricorrente che vi era contraddizione tra quanto affermato dalla Corte territoriale (in ordine alla stipulazione di un contratto di mutuo) e la prova che il pagamento, in realta’, era avvenuto in quattro rate.

Lo S. aveva dimostrato, attraverso la produzione di estratti di c/c bancari nel periodo interessato con Istituti diversi, che egli versava in floride condizioni economiche e dunque che egli non necessitava di mutui da parte della sorella e del cognato.

Il teste C.C. aveva testimoniato di avere compilato personalmente una ricevuta nella quale era indicato che si trattava di un terzo acconto per conguagli divisionali di beni in *****.

Tale documento era stato prodotto come doc. 10 di S. ed era abbastanza insolito che di detto documento – e della testimonianza che lo confermava – non vi fosse cenno alcuno nella decisione della Corte territoriale.

Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 1816, 2697 c.c..

Osserva il ricorrente che la teste S.M. aveva riferito solo in ordine alla concessione di un mutuo dal marito al fratello, ma nulla aveva detto in merito alla data della prevista restituzione.

Anche ad ammettere dunque la esistenza del mutuo non vi era prova del fatto che la restituzione dello stesso fosse immediatamente esigibile, con la conseguenza che la domanda dell’attore doveva comunque essere rigettata.

Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c..

In particolare, lo S. lamenta la totale esclusione delle prove testimoniali e documentali favorevoli alla propria tesi, operata dai giudici di appello nella sentenza impugnata.

L’esame di tali risultanze, conclude il ricorrente, avrebbe certamente portato ad una diversa soluzione della controversia.

Il ricorrente sottolinea infine la inattendibilita’ della teste S.M..

Osserva il Collegio:

il primo motivo e’ meritevole di accoglimento.

Questa Corte ha avuto piu’ volte occasione di affermare che l’interesse a partecipare al giudizio, previsto dall’art. 246 c.p.c. come causa di incapacita’ a testimoniare, si identifica con l’interesse a proporre la domanda o a contraddirvi, previsto dall’art. 100 c.p.c., sicche’ deve ritenersi colpito da detta incapacita’ chiunque si presenti legittimato all’intervento in giudizio, senza che possa distinguersi tra legittimazione attiva e legittimazione passiva, tra legittimazione primaria e secondaria (intervento adesivo dipendente), tra intervento volontario e intervento su istanza di parte. In particolare, e’ incapace a testimoniare chi potrebbe, o arebbe potuto, essere chiamato dall’attore, in linea alternativa o solidale, quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario, nonche’ il soggetto da cui il convenuto originario potrebbe, o avrebbe potuto pretendere di essere garantito (v. sent. 28 febbraio 1967 n. 445, 13 agosto 1987 n. 6932, 3 aprile 1998 n. 3432, 23 ottobre 2002 n. 14963, 1 aprile 2005 n. 6894, 20 gennaio 2006 n. 1101). Con riferimento, poi, all’intervento principale o litisconsortile nel processo si e’ precisato essere sufficiente, ai fini dell’ammissibilita’ dello stesso, una connessione e un collegamento della domanda dell’interveniente con quella di altra parte del processo (Cass. 12557/06; 14844/07).

Alla luce oli tali principi, i giudici di appello avrebbero dovuto escludere dal novero delle prove la deposizione testimoniale di S.M., moglie dell’originario attore, in regime di comunione di beni all’epoca della consegna dei quattro assegni circolari cointestaria del conto corrente dal quale era stata tratta la provvista degli assegni.

Non puo’ condividersi infatti il principio di diritto espresso nella sentenza impugnata, per la quale non si troverebbe in una situazione di incapacita’ un teste contitolare di conto corrente bancario, dal quale sia stata tratta la provvista necessaria per assegni circolari a favore di terzi, chiamato a deporre in una causa avente ad oggetto la restituzione delle somme portate nei titoli che si assumano versate a titolo di mutuo (o a titolo diverso di conguaglio divisionale).

Nel caso di regime di comunione di beni fra i coniugi, e con riguardo a controversia promossa dall’uno per l’attribuzione di un bene destinato ad incrementare il patrimonio comune (nella specie, per avere il coniuge del teste richiesto la restituzione di somma data in mutuo, versata al mutuatario con provvista tratta dal conto corrente bancario cointestato ed il titolo del versamento sia contestato dalla controparte) l’altro coniuge, pur non avendo la qualita’ di litisconsorte necessario, si trova in situazione di incapacita’ a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c. stante la sua facolta’ di intervenire nel relativo giudizio.

E’stato persino ritenuto – da questa Corte – incapace a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., nel procedimento instaurato nei confronti del committente per il pagamento del corrispettivo per l’esecuzione di un’opera – nella specie pitturazione in un immobile – realizzata al di fuori dall’esercizio di attivita” di impresa, la moglie del prestatore d’opera in regime di comunione legale dei beni.

Infatti, tale regime giuridico, comportante ai sensi dell’art. 177 c.c., comma 1, lett. c), l’acquisizione al patrimonio comune dei proventi delle attivita’ separate di ciascuno dei coniugi, e quindi del corrispettivo del lavoro da quello prestato, e’ tale da determinare un evidente interesse in causa della testimone, considerato che l’esito positivo della lite per il marito si tradurrebbe in un incremento del patrimonio suddetto. (Cass. 22 aprile 2008 n. 10398) La sentenza deve essere cassata in relazione alla censura accolta. Il giudice del rinvio dovra’ procedere a nuovo esame, tenendo conto del principio enunciato, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Il giudice di rinvio dovra’ procedere a nuovo esame delle risultanze istruttorie, senza tener conto della deposizione resa dalla S. (potra’ naturalmente tener conto delle altre testimonianze e del documento relativo alla divisione ereditaria, al quale i giudici di appello hanno attribuito significato e peso rilevante, per il fatto che lo stesso non prevedeva – almeno formalmente – un conguaglio in favore di uno degli eredi).

Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il primo motivo, assorbito il resto. Cassa e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 11 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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