Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.995 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17389-2005 proposto da:

M.V., M.N., D.G.S., D.G.

A., D.G.M., D.G.G., DE.GE.

A. in proprio e n.q. di eredi di DE.GE.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DI VILLA CARPEGNA 42, presso lo studio dell’avvocato PETRUCCI ENRICO, rappresentati e difesi dagli avvocati MARZELLA GIANLUCA, D’ERME GIOVANNI giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ASSITALIA SPA, N.G., S.R.;

– Intimati –

avverso la sentenza n. 2246/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 19/4/2004, depositata il 11/05/2004, R.G.N. 199/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/11/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato GIOVANNI D’ERME;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 19 aprile – 11 maggio 2004 la Corte d’appello di Roma dichiarava improcedibile l’appello proposto da M.V., M. N., D.G.M., D.G.S., D.G. A., D.G.G. e De.Ge.Ar., in proprio e nella qualità di eredi di D.G.A., nei confronti dell’Assitalia s.p.a., N.G. e S.R., avverso la decisione del locale Tribunale del 30 agosto 1999.

Avverso tale sentenza gli stessi appellanti hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da due distinti motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 348 c.p.c., comma 1, in relazione al disposto dell’art. 171 c.p.c., art. 307 c.p.c., comma 1, e art. 347 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

La disposizione dell’art. 348 c.p.c., comma 1, ad avviso dei ricorrenti, deve essere considerata nell’ambito del contesto generale del codice di rito e delle altre norme che regolano forme, termini e modi della costituzione in giudizio, ed in particolare degli artt. 171 e 347 c.p.c..

Il tenore letterale dell’art. 348 c.p.c., comma 1, è il seguente:

“l’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, se l’appellante non si costituisce in termini”.

Poichè l’art. 171 c.p.c. – applicabile anche al giudizio di appello – consente che, in caso di mancata costituzione in giudizio di entrambe le parti, la causa possa essere riassunta nel termine di cui all’art. 307 c.p.c., comma 1, non si comprende perchè – ove la mancata costituzione si verifichi in appello – la domanda debba essere dichiarata improcedibile “de plano”.

L’unica interpretazione corretta è quella per cui, in caso di mancata costituzione in giudizio dell’appellante, nel termine di cui all’art. 165 c.p.c., l’appello può essere dichiarato improcedibile soltanto ove l’appellato si costituisca nel termine a lui assegnato ed al solo fine di ottenere detta dichiarazione di improcedibilità.

In altre parole, nel caso contrario, cioè ove l’appellato non si costituisca, non potrà che farsi applicazione delle norme di cui agli artt. 171 e 307 c.p.c., con conseguente possibilità di riassumere il giudizio nel termine di un anno, decorrente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenute.

Da tale interpretazione discende – ad avviso dei ricorrenti – anche la irrilevanza del termine breve per la impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c., posto che la notifica della prima impugnazione determina comunque la pendenza della lite ed è idonea ad interrompere il decorso dei termini, ex art. 325 c.p.c. o ex art. 327 c.p.c., sino alla riassunzione del giudizio di appello.

Poichè nel caso di specie, l’appello avverso la decisione di primo grado era stato proposto in data 6-7 dicembre 2000, dunque entro il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., rispetto alla data di pubblicazione della sentenza stessa e la riassunzione del giudizio non iscritto a ruolo era avvenuta nel termine di cui all’art. 302 c.p.c., l’appello non poteva essere dichiarato improcedibile.

Con il secondo motivo, i ricorrenti propongono – seppur in via subordinata – una questione di legittimità costituzionale dell’art. 348 c.p.c. in relazione agli artt. 24 e 111 Cost..

Per il caso in cui questa Corte non ritenesse di aderire alla interpretazione delle norme proposta, i ricorrenti chiedono espressamente la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale perchè giudichi della legittimità della stessa norma, rispetto agli artt. 24 e 111 Cost., previa valutazione della non manifesta infondatezza della questione.

Aderendo ad una interpretazione letterale e restrittiva dell’art. 348 c.p.c., osservano i ricorrenti, verrebbe ingiustificatamente compresso il diritto di difesa e di azione, costituzionalmente tutelato dall’art. 24 della Costituzione e, nello stesso tempo, violato il principio fondamentale del giusto processo, posto dall’art. 111 Cost..

Tra l’altro, la mancata iscrizione della causa a ruolo (che, tra l’altro, può dipendere dai più svariati motivi) non fa sorgere nel giudice alcun diritto/dovere di esaminare gli atti del giudizio e di adottare provvedimenti, poichè il procedimento materialmente non esiste all’interno del suo ufficio, sicchè la inattività delle parti non costituisce ostacolo allo svolgimento del processo, nè impedisce di adottare una decisione, che di fatto non è richiesta al giudicante.

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono infondati.

La questione sottoposta all’esame del Collegio è la seguente: “se la mancata costituzione dell’appellante in appello determini la improcedibilità dello stesso, a prescindere dalla condotta processuale dell’appellato (nella specie non costituitosi) come ha ritenuto la Corte territoriale, ovvero se sia possibile – come ritengono, invece, i ricorrenti – la riassunzione dell’appello cui gli appellanti abbiano fatto ricorso, anche al di fuori del termine breve, decorrente dalla prima impugnazione, ma entro il termine annuale”.

Il Collegio ritiene di dover seguire la prima delle due soluzioni proposte, in tal modo dando continuità all’insegnamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo il quale:

“In tema di improcedibilità dell’appello, l’art. 348 c.p.c., comma 1, nel testo sostituito, con efficacia dal 30 aprile 1995, dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 54, la mancata costituzione in termini dell’appellante nel termine di cui all’art. 165 c.p.c. (da intendersi richiamato dall’art. 347 c.p.c.), determina automaticamente l’improcedibilità dell’appello, restando esclusa sia, per il caso di mancata costituzione di entrambe le parti, l’applicazione del regime di cui all’art. 171 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 307 c.p.c., comma 1, e, quindi la possibilità di una riassunzione del processo entro l’anno dalla scadenza del termine di cui all’art. 166 per la costituzione dell’appellato, sia, in ipotesi di costituzione dell’appellato nel termine di cui all’art. 166 c.p.c., l’applicazione dell’art. 171 c.p.c., comma 2, e, quindi, la possibilità della costituzione dell’appellante fino alla prima.

udienza, sia infine, per il caso di ritardata costituzione di entrambe le parti, una trattazione dell’appello.

Infatti, il richiamo alle “forme” ed ai “termini” del procedimento avanti il tribunale, contenuto nell’art. 347 c.p.c., comma 1, per quanto attiene alla costituzione dell’attore, deve ritenersi riferito esclusivamente al termine di cui all’art. 165 c.p.c., in quanto lo impone il tenore dell’art. 348 c.p.c., che, stabilendo espressamente l’improcedibilità dell’appello per la mancata costituzione in termini e prevedendo una sanzione ricollegata all’inosservanza del termine per la costituzione dell’appellante, rende incompatibile – ai sensi dell’art. 359 c.p.c. – che l’applicazione di tale sanzione possa essere posta nel nulla da un comportamento successivo dell’appellante, soggetto destinatario della sanzione (quale sarebbe la riassunzione) o dell’altra parte, cioè l’appellato (quale sarebbe la riassunzione o la sua costituzione tempestiva) o di entrambe le parti (che chiedessero di trattare la causa, in caso di ritardata costituzione di entrambe).

L’applicazione della norma dell’art. 171 c.p.c., comma 2, resta possibile, invece, per il caso di costituzione tempestiva dell’appellante, consentendosi in tal caso la costituzione dell’appellato all’udienza (ferma l’applicazione dell’art. 343 c.p.c., comma 1 in punto di decadenza dall’appello incidentale e salva in ogni caso l’applicazione del comma 2 di tale norma)” (Cass. n. 1322 del 2006, conf. Cass. n. 463 del 2002, V. anche Cass. n. 20313 del 2006).

Ovviamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la notifica della citazione in appello, non seguita da iscrizione della causa a ruolo, non consuma affatto il potere di impugnazione, qualora sia mancata qualsiasi pronuncia di inammissibilità od improcedibilità.

Tuttavìa, sebbene la parte possa notificare “ex novo” l’atto d’appello (ma non già riassumere la causa, non applicandosi in questo caso l’art. 307 c.p.c.), è necessario che ciò avvenga prima dello spirare del termine per l’impugnazione, il quale non è interrotto dalla notifica della citazione non iscritta a ruolo (Cass. n. 23220 del 2005, Cass. n. 9569 del 2000).

In tema di impugnazioni – con riguardo al principio per cui la riproposizione dell’appello, inammissibile od improcedibile, è soggetta al termine breve decorrente dalla data della notificazione della prima impugnazione – la relazione di equipollenza, su cui si fonda il principio suddetto, tra notifica della sentenza e notifica dell’atto di impugnativa (dal quale si evince la conoscenza legale del provvedimento da impugnare) va ravvisata perchè trattasi di due atti affidati entrambi al medesimo organo per la notifica, aventi identico carattere di ufficialità ed idonei, quindi, a conferire analogo grado di certezza legale all’atto dal quale prendono a decorrere i successivi termini ed effetti processuali.

Inoltre, dalla disposizione di cui all’art. 326 c.p.c., comma 2 (“nel caso previsto dall’art. 332 c.p.c., l’impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti”), va tratto il principio generale che la notificazione dell’impugnazione equivale, agli effetti della scienza legale, alla notificazione della sentenza.

D’altra parte, se si dovesse ritenere che la notificazione della impugnazione inammissibile o improcedibile non fa decorrere il termine per proporla, si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, sulla base degli artt. 333, 343, 348 e 371 c.p.c., tra la parte cui l’impugnazione è notificata, che deve impugnare in via incidentale nel termine di cui ai detti artt., e la parte che ha notificato l’impugnazione inammissibile, che in tal modo avrebbe a disposizione per rinnovarla il termine lungo (Cass. n. 21829 del 2007).

Da ultimo, va rilevato che i principi costituzionali, stabiliti dall’art. 24 e dal nuovo testo dell’art. 111 Cost., in materia di diritto di difesa e del giusto processo di durata ragionevole escludono la legittimità di soluzioni interpretative che comportino il ritardo nella definizione della controversia. (Cass. 13431 del 2006).

La questione di illegittimità costituzionale della norma dell’art. 348 c.p.c., comma 1, come interpretata nel senso indicata dalla sentenza impugnata, appare dunque manifestamente infondata.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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