LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10537/2005 proposto da:
S.S. *****, B.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CASTRENSE 7, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI ARMANDO, rappresentati e difesi dall’avvocato PETRELLA Francesco giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
B.A., A.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANIENE 14, presso lo studio legale SCIUME’, rappresentati e difesi dall’avvocato CIARAMELLA Giuseppe giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 33387/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, Sezione Quarta Civile emessa il 26/11/03, depositata il 16/04/2004;
R.G.N. 173/03;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 24 novembre 2003, depositata il 16 aprile dell’anno successivo,la Corte di appello di Napoli, in totale riforma della decisione del Tribunale di S. Maria Capua Vetere n. 2832 del 2002, rigettava la domanda di rilascio del fondo agricolo, della estensione di *****, proposta nei confronti dei coniugi B. A. e A.F. dai proprietari del fondo, S. S. e B.M..
Il primo giudice aveva dichiarato risolto il contratto di affitto al 10 novembre 1997, condannando i convenuti al rilascio del fondo al termine della corrente annata agraria (2002), rigettando la domanda degli stessi intesa ad ottenere il pagamento delle migliorie apportate alla casa colonica ed al fondo agricolo ovvero, in via subordinata, la rinnovazione del contratto per altri quindici anni.
I giudici di appello rilevavano che mancava la prova della data di inizio del contratto di affitto – la cui esistenza era stata ammessa dagli attori solo con la memoria del 21 maggio 2002 (dopo che gli stessi avevano dedotto la detenzione abusiva del fondo da parte dei coniugi B.- A. da epoca successiva all’annata agraria 1959/60).
L’onere della prova dell’inizio del contratto di affitto agrario, ha osservato la Corte territoriale, era a carico degli attori, ma gli stessi non vi avevano provveduto. Con la conseguenza che la loro domanda di rilascio doveva essere rigettata.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione S.S. e B.M. (originari attori) con due motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso B.A. e A.F..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 39, nonchè insufficiente, erronea ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia.
I giudici di appello erano partiti dall’erroneo presupposto che l’annata agraria avesse inizio l’11 novembre di ciascun anno, secondo le indicazioni contenute nella L. n. 203 del 1982, art. 39, mentre la norma in questione non è applicabile ai rapporti agrari sorti prima della entrata in vigore della stessa legge.
Prima dell’entrata in vigore della L. n. 203 del 1982, che ha stabilito che l’annata agraria ha inizio l’11 novembre di ogni anno, doveva tenersi conto non dell’annata agraria con inizio fissato ex lege, ma delle consuetudini vigenti nelle singole regioni.
Considerato che, nel caso di specie, la consuetudine locale fissava l’inizio dell’annata agraria al 1 settembre, l’assunto che la coltivazione aveva avuto inizio nel 1960 doveva necessariamente portare a ritenere che il rapporto avesse avuto inizio nell’annata 1960/61. Da tali premesse derivava la applicabilità della disposizione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 2, lett. d), che prevedeva per i contratti in regime di proroga alla data di entrata in vigore della legge, la durata di anni quattordici, se il rapporto aveva avuto inizio nelle annate agrarie comprese fra quelle 1950-1951 e 1959-60 (in luogo di quella di anni quindici prevista per i contratti iniziati successivamente all’annata agraria 1959/60, lettera e) dello stesso articolo).
In ogni caso, i giudici di appello avrebbero dovuto ammettere le prove testimoniali articolate dagli attori.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono insufficiente, erronea ed illogica motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Con l’atto di appello B.A. e A.F. (originari convenuti) avevano dedotto la erroneità della decisione di primo grado, sostenendo che i ricorrenti non avevano provato che il rapporto fosse sorto in epoca posteriore all’annata agraria 1959/60, sicchè la fattispecie doveva essere regolata dalla L. n. 203 del 1982, art. 2, lett. d), e non dalla lettera e) del medesimo, con la conseguenza che il rapporto doveva intendersi rinnovato per altri quindici anni, considerata la tardività della disdetta inviata il 31 ottobre 1996 per il 10 novembre 1996.
I giudici di appello avevano accolto l’appello, ritenendo senza alcuna spiegazione che la declaratoria di cessazione del rapporto al 10 novembre 1996 fosse inammissibile perchè nuova rispetto al primo “petitum” che individuava la diversa scadenza contrattuale dal 10 novembre 1997.
Osserva il Collegio:
I due motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto connessi tra di loro non sono fondati.
Con motivazione che sfugge a qualsiasi censura, in quanto esente da vizi logici ed errori giuridici, i giudici di appello hanno rilevato che se il contratto in questione fosse sorto prima del 10.11.960 – nell’annata 1959/60, al rapporto sarebbe applicabile la L. n. 203 del 1982, art. 2, lett. d), e lo stesso sarebbe venuto a cessare il 10 novembre 1996.
Se invece il rapporto fosse iniziato tra l’11 novembre ed il 31 dicembre 1960, allora esso sarebbe venuto a scadere il 10 novembre 1997, secondo la previsione della lett. e) dello stesso articolo.
Nel caso di specie, non era stato possibile accertare la data di inizio del rapporto, e ciò in conseguenza del comportamento processuale tenuto dagli attori.
In effetti, i proprietari del fondo avevano addirittura negato – almeno all’inizio – la esistenza di un qualsiasi contratto di affitto tra le parti, deducendo che il fondo in questione era detenuto abusivamente dai convenuti.
Solo successivamente gli attori – a seguito dei rilievi dei convenuti – avevano finito per ammettere la esistenza di un rapporto di affitto, iniziato dopo il 10 novembre 1960 (deducendo questa volta che, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 2, lett. e), il contratto sarebbe venuto a cessare il 10 novembre 1997). In un momento ancora successivo avevano anticipato l’inizio dell’affitto e quello della cessazione, al 10 novembre 1996.
Secondo i giudici di appello, non vi era alcuna certezza in ordine alla data di inizio effettivo del rapporto.
Infatti, solo in grado di appello il B.A. e la A. (originari convenuti) avevano formulato alcuni capitoli di prova per testi, aventi appunto ad oggetto la data di inizio del rapporto agrario.
Le prove articolate dagli affittuari dovevano essere considerate nuove rispetto a quelle svolte in primo grado che riguardavano solo i miglioramenti.
La prova per testi articolata dai due appellanti doveva pertanto essere dichiarata inammissibile, in considerazione della tardività della deduzione.
Parimenti inaccoglibile doveva essere dichiarata la richiesta di prova per testi articolata dagli appellati (originari attori:
S. e B.M.) considerato che questa era stata dedotta solo in via subordinata alla ammissione della prova degli appellanti/originari convenuti: sicchè una volta ritenuta la tardività di questa ultima, non vi era più ragione per decidere sulla prova richiesta in via subordinata da S. e B. M..
Eppure, rilevavano i giudici di appello, la prova dell’inizio del rapporto di affitto sarebbe stata indubbiamente necessaria, in considerazione delle contestazioni sorte in proposito.
Sarebbe stato preciso onere della parte attrice ( S. e B.M.) fornire la prova della data esatta di inizio del rapporto, trattandosi del fondamento della loro azione, diretta ad ottenere la risoluzione per la data del 10 novembre 1997, negli atti successivi al ricorso introduttivo indicata come quella di cessazione del rapporto (una volta che, con comparsa 21 maggio 2002, non negavano più la esistenza di un regolare rapporto di affitto agrario).
In difetto di tale prova, la domanda attrice doveva essere rigettata.
Rilevava ancora la Corte che non poteva tenersi conto ai fini di escludere la rinnovazione tacita per quindici anni – delle due disdette: nè di quella per il 10 novembre 1992, nè di quella indirizzata con lettera del 31 marzo 1995, recapitata a B. S., figlia dei convenuti, nello stesso giorno 31 marzo 1995.
A parte ogni questione circa la ammissibilità di nuovi documenti prodotti in appello, la decisione che il contratto fosse sorto prima – e non dopo – dell’annata agricola 1959/60, avrebbe introdotto nel giudizio un fatto del tutto nuovo, mutando il fatto costitutivo della pretesa, originariamente formulato nel ricorso del 3 giugno 1998, sul quale soltanto prima il Tribunale e poi la Corte d’appello erano chiamati a decidere (la richiesta di dichiarare la risoluzione del contratto al 10 novembre 1997).
Tra l’altro, la nuova domanda non era mai stata neppure oggetto di specifico tentativo di conciliazione, poichè quello richiesto il 30 gennaio 1998, faceva riferimento solo alla scadenza del 10 novembre 1997 e si basava sulla disdetta del 31 ottobre 1996 (e non poteva essere ritenuta proponibile, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 46, una domanda di risoluzione avente ad oggetto una diversa data, per giunta anteriore a quella indicata).
Il rigetto della domanda degli attori – hanno concluso infine i giudici di appello – rendeva superfluo l’esame della domanda, proposta in via riconvenzionale dai convenuti solo per la ipotesi del suo accoglimento.
La decisione impugnata è in linea con i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di onere della prova e di contratti agrari. Sfugge, dunque, a qualsiasi censura la affermazione conclusiva della Corte Territoriale, secondo la quale sarebbe stato preciso onere degli originari attori fornire la prova della data di inizio del rapporto di affitto e che tale prova non era stata fornita dagli stessi.
Appare, infine, del tutto corretta la osservazione, formulata anche essa dai giudici di appello, che l’accettazione – da parte dei giudici – di una domanda del tutto nuova, di risoluzione del rapporto di affitto per una data diversa, ed anteriore, rispetto a quella indicata (rilevato che in sede di ricorso si era dedotta la detenzione abusiva del terreno da parte dei due convenuti) avrebbe consentito la introduzione di un “petitum” diverso da quello iniziale, tra l’altro neppure preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di questo giudizio sono compensate, in considerazione delle questioni trattate e dell’alterno esito della controversia.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010