Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.100 del 04/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PRATI MARINA;

– ricorrente –

contro

B.R. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAZIO 20-C, presso lo studio dell’avvocato COGGIATTI CLAUDIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANTOVANI ANDREA;

– controricorrente –

e contro

R.S., R.D., D.L., BETA SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del legale rappresentante pro tempore (P.I. *****);

– intimati –

avverso la sentenza n. 434/2004 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 24/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/10/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato ANTONINI GIUSEPPE per delega dell’Avvocato PRATI MARINA che ha chiesto di riportarsi agli atti depositati;

udito l’Avvocato COGGIATTI CLAUDIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 29 novembre 1993 R.A. e R.R. citarono davanti al Tribunale di Trento la s.r.l. Be.ta e B. R., formulando questa domanda: “accertato che alla societa’ Be.ta srl e’ stata trasferita una parte della p.f. 107 C.C. ***** di superficie maggiore di quella pattuita, annullarsi la compravendita, per errore o dolo, con ogni conseguenza di legge; in ogni caso, annullarsi per errore o dolo i contratti nella parte in cui risulta ceduta una maggiore superficie rispetto ai 1400 mq concordati, con ogni conseguenza di legge e condannarsi, conseguentemente, la soc. Be.ta srl, in persona del legale rappresentante B.M., a restituire ai venditori la parte eccedente i 1400 mq concordati e risultanti dall’atto di vendita; in ulteriore subordine condannarsi la societa’ Be.ta srl. in persona del legale rappresentante B.M., a corrispondere agli attori il valore reale della superficie acquisita, oltre quella contrattualmente pattuita anche a titolo di risarcimento del danno contrattuale e/o extracontrattuale; accertato che B.R., quale procuratrice dei fratelli R., si e’ resa inadempiente al mandato conferitole e comunque non ha agito nell’interesse dei suoi mandanti, condannarsi la stessa a risarcire tutti i danni subiti dagli attori, danni che verranno quantificati in corso di causa o da liquidarsi in via equitativa e condannarsi comunque la stessa a tenere indenni gli attori da ogni spesa ed onere che venisse loro richiesto per l’operazione; in ogni caso col risarcimento di ogni e qualsiasi danno, eventualmente anche morale, e col favore delle spese di giudizio”. Si costituirono in giudizio sia la s.r.l. Be.ta sia B.R., entrambe instando per il rigetto delle domande proposte nei loro confronti e la prima chiedendo altresi’, in via riconvenzionale, la condanna degli attori in solido al rimborso, per la quota di loro pertinenza, delle spese che aveva sostenuto per oneri di urbanizzazione.

All’esito dell’istruzione della causa, con sentenza del 5 novembre 2001 il Tribunale condanno’ B.R. al risarcimento dei danni, da liquidare in un separato giudizio, in favore di R. A. e R.R.; respinse tutte le altre domande proposte dalle parti.

Impugnata in via principale da B.R., in via incidentale da R.A. e R.R., nonche’ separatamente dalla s.r.l. Be.ta, la decisione e’ stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Trento, che con sentenza del 24 dicembre 2004 ha respinto anche l’unica domanda che il Tribunale aveva accolto e ha dichiarato estinto il processo di secondo grado, con riferimento al gravame proposto dalla s.r.l. Be.ta.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione R. A. in base a quattro motivi, poi illustrati anche con memoria.

B.R. si e’ costituita con controricorso e ha presentato a sua volta una memoria. Non hanno svolto attivita’ difensive in questa sede ne’ la s.r.l. Be.ta ne’ R.S., R.D. e D.L., eredi di R. R..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel corso del giudizio di secondo grado il procuratore di R. R. ha notificato alle altre parti la morte del proprio rappresentato. E’ stata quindi dichiarata l’interruzione del processo. Alla riassunzione ha provveduto B.R., con un atto del quale R.A. ha contestato la regolarita’.

L’eccezione e’ stata respinta dalla Corte d’appello, che pertanto ha dichiarato estinto il processo limitatamente al gravame proposto dalla s.r.l. Be.ta, la quale aveva omesso di riattivare a sua volta il rapporto processuale che essa aveva instaurato, scindibile da quelli dedotti in causa dalle altre parti.

A tale decisione si riferisce il primo motivo del ricorso per cassazione, con il quale R.A. sostiene che l’atto di riassunzione di B.R., contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d’appello, era privo del requisito – richiesto dall’art. 303 c.p.c. – della indicazione degli estremi della domanda.

A questa deduzione la resistente ha replicato osservando, tra l’altro, che avrebbe potuto essere utilmente essere formulata soltanto dagli eredi di R.A.. L’obiezione risulta fondata, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “poiche’ l’eccezione di estinzione del giudizio (…) puo’ essere sollevata, ai sensi dell’art. 307 c.p.c., u.c., soltanto dalla parte interessata, nel caso di unico processo con pluralita’ di parti non puo’ essere fatta valere da una parte diversa rispetto a quella nei cui confronti l’ipotesi di estinzione si’ e’ verificata” (Cass. 19 marzo 2007 n. 6361). R.A. ha bensi’ proposto il ricorso per cassazione “per se’ e quale erede di R. R.”, ma non ha documentato – come era suo onere (Cass. 25 giugno 2010 n. 15352) -tale asserita sua qualita’, di cui neppure aveva affermato di essere dotato, nel costituirsi di nuovo in appello, dopo l’interruzione del processo.

Il motivo di impugnazione in esame va dunque disatteso, per la decisiva e assorbente ragione che R.A. non e’ legittimato a porre la questione di cui si tratta.

Gli altri motivi di ricorso attengono al merito della controversia, la quale e’ insorta tra le parti con riferimento a una vicenda ricostruita nella sentenza impugnata in questi essenziali termini:

nel 1991 R.A. e R.R. vendettero a B.R., per se’ o per persona da nominare (poi indicata nella s.r.l. Be.ta) la quota ideale di 580/1000 di una loro area edificabile di mq. 2412; rilasciarono inoltre alla stessa B. R. una procura con ampi poteri, comprendenti quello di dare luogo allo scioglimento della comunione; il contratto di divisione fu poi stipulato dalla mandataria con la s.r.l. Be.ta, con l’assegnazione ad R.A. e R.R. di una porzione di terreno di 825 mq. La tesi degli originari attori, ribadita ora dal ricorrente, e’ che avrebbero dovuto essere loro attribuiti, invece, 1012 mq., corrispondenti a 420/1000 di 2412 mq., sicche’ i negozi in questione sono affetti da errore o dolo e B.R. e’ responsabile dei danni derivati dall’inadempimento dell’incarico conferitole.

Sostiene R.A., con il secondo e il terzo motivo di ricorso, che la Corte d’appello ha erroneamente disconosciuto il giudicato formatosi sulla affermazione del Tribunale, secondo cui la volonta’ dei venditori era di alienare 1400 mq. dei 2412 mq. di loro proprieta’; ha inoltre accolto il gravame di B.R. per una ragione diversa da quella fatta valere con l’atto introduttivo del giudizio di appello, nel quale la sentenza di primo grado era stata censurata soltanto sotto il profilo della ritenuta inosservanza dell’obbligo di informare i mandanti circa le modalita’ della lottizzazione.

Nessuna di queste doglianze puo’ essere accolta.

Correttamente la Corte d’appello, sulla scorta della giurisprudenza di legittimita’ (v., oltre ai precedenti citati dal giudice a quo, tra le piu’ recenti, Cass. 17 aprile 2007 n. 9141), ha rilevato che un’acquiescenza parziale e’ ravvisabile soltanto in relazione a capi diversi e autonomi da quelli investiti dal gravame. Nell’impugnare in toto la pronuncia con cui era stata condannata al risarcimento dei danni, B.R. non era quindi tenuta a contestare ognuno degli argomenti esposti dal Tribunale (come l’affermazione che “volonta’ dei signori R. era quella di vendere 1400 mq.”), ne’ a confutare ragioni ulteriori rispetto a quella (il non avere “resi edotti i suoi mandanti circa le modalita’ della lottizzazione”) che era stata posta a base, sul punto, della sentenza di primo grado.

Con il quarto motivo di ricorso R.A., nel presupposto che intento suo e di R.R. fosse di alienare soltanto 1400 mq. del fondo in questione, deduce che ingiustificatamente la Corte d’appello ha disconosciuto che in sede di scioglimento della comunione avrebbe dovuto essere loro assegnata una porzione di 1012 mq. invece che di 825 mq., come era avvenuto.

Anche questa censura va disattesa.

Si risolve, infatti, in assiomatiche negazioni, inconferenti rispetto alle ragioni che motivatamente, con esaurienti e logicamente coerenti argomentazioni, il giudice di secondo grado ha posto a base della decisione sul punto: la vendita aveva avuto per oggetto non gia’ un terreno di area determinata, ma una quota ideale del fondo, pari a 580/1000; con la divisione non doveva essere necessariamente assegnato ad A. e R.R. un appezzamento della superficie di 1012 mq., corrispondente alla frazione di 420/1000 di cui erano rimasti titolari; occorreva infatti tenere conto dei suoli che si sarebbe dovuto cedere al comune in vista della futura lottizzazione, come gli alienanti ben sapevano, avendo rilasciato a B.R. una procura che le attribuiva appunto la facolta’, tra l’altro, di dare corso a tali cessioni (sicche’ nessun particolare obbligo di fornire informazioni in proposito gravava sulla mandataria); si doveva quindi considerare l’incidenza delle infrastrutture, che in effetti era maggiore sull’area assegnata alla s.r.l. Be.ta, con conseguente suo minore valore unitario per mq.; in definitiva ad A. e R.R., come evidenziato dal consulente tecnico di ufficio, era stata assegnata un’area di estensione minore dei 420/1000 di 2412 mq., ma di valore anzi superiore a quello che sarebbe stato proporzionato a tale frazione.

Quest’ultimo decisivo argomento, gia’ di per se’ sufficiente a giustificare la decisione, non e’ stato in alcun modo specificamente contrastato dal ricorrente.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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