LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.S. C.F. *****, C.M. C.F.
*****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato DI PIERRO NICOLA, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati SANTELLI SANDRO, FORLATI ZENO;
– ricorrenti –
contro
D.R.E. C. F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato FERRANTI ALESSANDRA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 146/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/01/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;
udito l’Avvocato Forlati Zeno difensore del ricorrente che ha chiesto di riportarsi agli scritti depositati, anche alla memoria;
udito l’Avv. Ferranti Alessandra difensore del resistente che ha chiesto di riportarsi anch’essa;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 25.7.1991 D.R.E. esponeva di aver venduto a D.S. e C.M., con atto ***** per notaio Polizzi di Venezia, un appartamento facente parte del complesso condominiale sito in *****. Per errore nel contratto, che doveva dare esecuzione alla precedente promessa di vendita, era stata inclusa la vendita anche del mappale 1739 del foglio 15 che non era previsto nel preliminare e veniva indicato in contratto, contrariamente al vero, come area scoperta.
Verificato l’errore, i compratori, pur riconoscendolo ed impegnandosi a correggerlo, si erano riservati di farlo temendo conseguenze negative circa l’agevolazione “buono casa” ottenuta dal Comune.
L’attore aveva accettato di rinviare la formalizzazione anche dopo la scadenza del mutuo, a quindici anni dalla vendita, purche’ si stipulasse una convenzione privata ma, in mancanza di tale impegno, aveva chiesto giudizialmente l’annullamento della vendita o la rettifica dell’errore.
I convenuti resistevano deducendo l’indeterminatezza della domanda subordinata e, riconvenzionalmente, chiedevano il risarcimento del danno per l’esistenza di una ipoteca.
Con sentenza 13.2.1997 il Tribunale rigettava sia la domanda principale che la riconvenzionale, condannando l’attore alle spese.
Proponeva appello il D.R., resistevano le controparti, chiedendo la conferma della decisione e la Corte di appello di Venezia, con sentenza 146/05, accoglieva l’appello, rigettava l’appello incidentale condizionato, dichiarava la nullita’ dell’atto ***** limitatamente alla parte in cui risultava comprendere il terreno mappale n. 1739 foglio 15, sez. *****, di are 120, con condanna alle spese, rilevando che l’attore aveva fornito la prova della discrasia esistente tra la comune volonta’ delle parti che stipularono la compravendita ed il contenuto del contratto, risultando trasferita per errore una unita’ che non si intendeva trasferire.
La Corte faceva riferimento al preliminare, al fatto che la striscia di terreno non era area scoperta, alla precisa deposizione dell’avv. Manildo circa il riconoscimento dell’errore e l’impegno a rettificarlo.
Ricorrono D. e C. con cinque motivi, resiste D. R..
Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il D.R. chiesto in appello il parziale annullamento ex art. 1419 c.c. della compravendita ed in subordine la correzione dell’errore mentre la Corte veneziana dichiaro’ la nullita’. Col secondo motivo si lamentano violazione dell’art. 1427 c.c. e segg. ed omesso esame di punto decisivo per avere la Corte violato le norme in tema di errore. La fattispecie rientra nello schema del vizio della volonta’ rimediabile non con l’azione di nullita’ ma di annullamento.
Col terzo motivo si deducono violazione delle norme sui rapporti tra preliminare e definitivo ed omessa motivazione per avere la Corte territoriale affermato che la mancanza della volonta’ di trasferire risulta dal preliminare, dal rogito e dall’incontro presso l’avv. Manildo.
Col quarto motivo si deducono violazione dell’art. 1362 c.c. e motivazione illogica e contraddittoria con riferimento alla mancanza di volonta’ di trasferire.
Col quinto motivo si denunziano violazione degli artt. 2721, 2722, 2725 c.c., omesso esame di eccezione decisiva e vizi di motivazione per essere state ammesse le prove nonostante l’opposizione.
Le censure non meritano accoglimento, avendo la sentenza fatto riferimento alla circostanza che il D.R. ha fornito la prova della discrasia esistente tra la comune volonta’ delle parti ed il contenuto del contratto, risultando trasferita una unita’ immobiliare (mappale 1739 fog. 15) che, invece, le parti non intendevano trasferire.
In ordine alla prima, gli stessi ricorrenti danno atto che il D. R. chiese l’annullamento e riconoscono si tratti dell’azione esperibile ma lamentano la dichiarazione di nullita’ parziale senza chiarire l’interesse alla censura rispetto ad una decisione sostanzialmente producente lo stesso effetto.
Tra l’altro, la sentenza, a pagina otto, riferisce di una citazione per chiedere l’annullamento, di una modifica della domanda per chiedere in subordine la nullita’ parziale, escludendo trattarsi di domanda nuova e, comunque, deducendo l’implicita accettazione del contraddittorio.
Il secondo motivo e’ assorbito dal rigetto del precedente.
Circa il terzo motivo, e’ ben vero che la giurisprudenza di questa Corte propende per la prevalenza del definitivo sul preliminare.
E’ principio consolidato che il definitivo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni e che, nell’interpretazione del contratto, il ricorso a criteri interpretativi sussidiari puo’ farsi solo quando quelli principali, letterale e del collegamento logico, siano inadeguati all’accertamento della comune volonta’ delle parti.
La disciplina del contratto definitivo puo’ anche non conformarsi a quella del preliminare.
Questa suprema Corte non ignora il diverso orientamento di parte della dottrina che, sulla scorta della teoria procedimentale, valorizza il momento del preliminare, in quanto regolativo dei futuri assetti contrattuali ma rileva che la propria giurisprudenza e’ in senso diverso.
In sede di interpretazione del contratto definitivo non vi e’ alcun obbligo per il giudice di merito di valutare il comportamento delle parti ex art. 1362 c.c., comma 2, e di prendere in considerazione il testo del contratto preliminare (Cass. 18 aprile 2002 n. 5635).
Tuttavia, nella fattispecie dall’esame degli atti, come dedotto, e’ stata raggiunta la prova della discrasia esistente tra la comune volonta’ delle parti ed il contenuto del contratto, risultando trasferita per errore una unita’ immobiliare – contraddistinta dal mappale 1739 fog. 15 di are 120 – che, invece, le parti non intendevano trasferire; peraltro risultava ceduto anche il terreno scoperto comune anche al fabbricato adiacente identificato con i mappali 1739 e 1740 mentre il terreno identificato col mappale 1739 non poteva qualificarsi come terreno scoperto e l’errore era stato riconosciuto (pagine nove e dieci della sentenza). Il che consente di rigettare anche il quarto motivo.
Sul quinto motivo la sentenza alle pagine dieci e seguenti ha esaminato tutte le eccezioni proposte escludendo l’esistenza di patti aggiunti o contrari ma la necessita’ di accertare la comune volonta’ delle parti.
In definitiva il ricorso va rigettato con la condanna alle spese, atteso che non va accolta l’eccezione di inammissibilita’ del controricorso che, non proponendo ricorso incidentale, non necessitava di particolare articolazione, essendo sufficiente la deduzione che tutti e cinque i mezzi si fondavano su una distorta lettura degli atti ed una altrettanto distorta interpretazione delle norme che si assumevano violate.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 2700,00, di cui 2500,00 per compensi, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011