LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – rel. Presidente –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.B.A. C.F. *****, C.A. C.F.
*****, C.F. *****, C.
L. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato FARACE MARIO;
– ricorrenti –
contro
C.M. C.F. *****, elettivamente domiciliato, in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MONTESANTO COSTANTINO ANTONIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 258/2004 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 28/04/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2010 dal Presidente Dott. LUIGI ANTONIO ROVELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 15 – 16.2.1992 la sig.ra C.M. esponeva che qualche mese prima la sig.ra C.L., per incarico del padre C.D., le aveva chiesto a titolo di cortesia la chiave della porta di accesso a due vani terranei siti a *****, per depositarvi temporaneamente della legna; dopo di che aveva sostituito il lucchetto e si era impossessata dell’immobile. Cio’ posto, la sig.ra C.M. chiedeva al competente Pretore Circondariale di Salerno sedente presso la Sezione Distaccata di Amalfi di essere reintegrata nel possesso della consistenza immobiliare di cui era stata in tal modo spogliata.
Assunte sommarie informazioni, il Pretore emetteva il chiesto interdetto possessorio. In sede d’attuazione del provvedimento interdittale si acclarava che lo spoglio aveva interessato un solo vano, che veniva compiutamente e precisamente individuato e riconsegnato alla C.L.. Dopo formale istruttoria orale e documentale, la causa – interrotta per la morte del convenuto e del suo procuratore e riassunta nei confronti degli eredi del sig. C.D. – transitava alla Sezione Stralcio del Tribunale di Salerno, dove veniva decisa con sentenza n. 624/2001.
Con tale pronuncia il G.O.A. designato accoglieva la domanda configurandola come azione di cessazione di comodato.
Il gravame dei sig.ri C.A., C.F., C. L. ed D.B.A., eredi di C.D., veniva rigettato dalla Corte d’Appello di Salerno con sentenza n. 258/2004, con la condanna degli appellanti al pagamento delle spese del grado.
Avverso quest’ultima decisione i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione notificato il 6.5.2005.
Ad esso resiste la Sig.ra C.M. con controricorso. La stessa parte ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, lamentano il “travisamento interpretativo” in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale laddove ha ravvisato nella relazione tecnica del geom. R.S., da essi stessi prodotta, l’esplicito riconoscimento dell’ultratrentennale possesso esercitato dalla C.M. sul locale in contestazione, e, parimenti, ove ha argomentato conferma di tale possesso nella citazione che fu proposta dalla Curia Arcivescovile di Amalfi contro la medesima C.M. in rivendica del medesimo locale.
Assumono i ricorrenti che dagli atti documentali predetti si ricava come il vano in contestazione non sia affatto lo stesso di cui alle citate fonti documentali.
Il motivo si palesa inammissibile. Preliminarmente va ribadito come, ad integrare il requisito dell’autosufficienza del ricorso (deducibile, prima della riforma operata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, dall’art. 369 vecchio testo c.p.c., n. 4) e’ necessario non solo che il contenuto del documento richiamato sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti specificamente indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione avvenne, e l’esatta indicazione della sede in cui nel fascicolo di parte o in quello d’ufficio, rispettivamente prodotto o acquisito nel giudizio di legittimita’, esso e’ rinvenibile. In ogni caso il vizio dedotto configura la fattispecie dell’errore di fatto, deducibile come ragione di revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4. Con esso, infatti, si assume il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza, l’altra dai documenti processuali; e l’errore denunziato non consiste cosi’ in un inesatto apprezzamento delle prove, ma in una falsa percezione di cio’ che, in modo non controvertibile, si assume emergesse dagli atti stessi.
Con il secondo motivo (che difetta di riconduzione espressa ad una delle ipotesi scrutinate all’art. 360 c.p.c.) si sostiene l’erroneita’ dell’assunto con cui il giudice di appello ha sostenuto, “sia pure incidentalmente” che i testi Br. e Ab. non erano stati indicati nella lista.
Anche tale motivo e’ inammissibile proprio perche’ la sentenza impugnata, dopo avere “incidentalmente” dato atto della non indicazione, non ha poi attribuito alcun rilievo a tale (supposta) mancata indicazione; ha, anzi, analizzato nel merito le loro deposizioni, pervenendo a formulare un giudizio (non sindacato in questa sede) di assoluta inverosimiglianza della versione fornita da detti testi.
Con il terzo motivo le parti ricorrenti si dolgono che la Corte del merito abbia omesso di esaminare le deposizioni di tutti gli informatori e testi escussi sia nella fase sommaria che di merito, nonche’ di tutta la documentazione versata in atti, limitandosi invece ad una sola circostanza riferita dal teste Br. di cui ha travisato il senso. Anche tale motivo e’ palesemente infondato. Nel caso in esame il convincimento della Corte territoriale sul possesso esercitato dalla C.M. e’ stato desunto, fondamentalmente, dal due elementi documentali di cui si e’ detto. Spetta al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, e scegliere tra le fonti processuali quelle ritenute idonee a dimostrare la verita’ dei fatti ad essi sottesi, senza obbligo di dettagliata motivazione sul contenuto di deposizioni contrarie la cui irrilevanza sia, come nella specie, desumibile per implicito dalla solidita’ degli argomenti addotti a sostegno della decisione non scalfiti dalla deposizione contraria (appunto quella del teste Br.) che la Corte ha comunque valutato dando contezza della sua ritenuta “inverosimiglianza”.
Infondato e’ il quarto motivo, relativo alla condanna al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio, condanna che e’ corretta applicazione del principio di soccombenza.
Le spese del grado, liquidate come da dispositivo, sono a carico della soccombente parte appellante.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere a controparte le spese del grado che liquida in complessivi Euro 1.500,00 di cui Euro 1.300,00 per onorari di avvocato.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011