LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – rel. Presidente –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.P. — rappresentato e difeso in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso dall’avv. Zinchi Tullio del Foro di Siena e dall’avv. Alessandro Nicoletti, presso il quale e’ elettivamente domiciliato in Roma, al Lungotevere dei Mellini, n. 24;
– ricorrente –
contro
D.L.G. – titolare della ditta Riabita – rappresentato e difeso in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso dall’avv. Pagni Riccardo del Foro di Siena e dall’avv. Gennaro Ermanno Arbia, presso il quale e’ elettivamente domiciliato in Roma, alla via di Monte Fiore, n. 34;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1328 del 29 settembre 2004 – notificata l’1 aprile 2005;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13 dicembre 2010 dal Presidente dott. Massimo Oddo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. RUSSO Rosario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 16 giugno 1994, D.L.G. convenne C.P. davanti al Tribunale di Siena e ne domando’ la condanna al pagamento della somma di L. 38.396.669, oltre interessi e rivalutazione monetaria, costituente il saldo del corrispettivo dei lavori di ristrutturazione di un appartamento in Siena a lui appaltati dal convenuto.
Il C. si oppose alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, l’annullamento del contratto per vizio di consenso sul costo dei lavori e, gradatamente, la condanna del D.L. al pagamento della penale pattuita per la ritardata esecuzione dei lavori.
Il Tribunale, con sentenza del 5 marzo 2001, accolse parzialmente le domande delle parti e, liquidato in L. 10.000.000 il danno per l’inesatto adempimento dell’appaltatore e detrattone l’ammontare dal corrispettivo ancora dovuto dal committente, condanno’ il C. a pagare al D.L. la somma di L. 22.382.966, oltre iva, rivalutazione monetaria ed interessi legali.
La decisione, gravata dal C. e, in via incidentale, dal D. L., venne parzialmente riformata il 29 settembre 2004 dalla Corte di appello di Firenze, che rigetto’ la domanda di risarcimento dei danni da inesatto adempimento e, individuata in L. 5.200.000 la penale dovuta dall’appaltatore per la ritardata ultimazione dei lavori, determino’ in L. 27.182.966 la somma ancora dovuta dal committente al D.L. al netto della penale.
Premesso che il credito dell’appaltatore era documentato dagli stati di avanzamento, con i quali “alla fine di ogni fase di lavorazione” i lavori eseguiti erano stati valutati e contabilizzati in contraddittorio con il direttore dei lavori ai prezzi concordati (secondo la previsioni del punto 2 del contratto), e dal verbale di ultimazione e consegna dei lavori sottoscritto da quest’ultimo il 20 gennaio 1993, osservo’ il giudice di secondo grado, per quello che ancora rileva, che, non essendo vincolante per le parti la revisione dei lavori e dei costi operata dal direttore dei lavori nell’ottobre 1993, perche’ successiva all’esaurimento dei poteri a lui attribuiti di verifica dell’opera e contabilizzazione del saldo, gravava sul committente la prova di un errore nella determinazione del corrispettivo dell’opera e che egli non aveva soddisfatto il relativo onere.
Il C. e’ ricorso con due motivi per la cassazione della sentenza ed il D.L. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorso lamenta che la sentenza impugnata abbia determinato il credito dell’appaltatore unicamente in base agli stati di avanzamento sottoscritti dal direttore dei lavori, nonostante il committente ne avesse contestato le risultanze e la loro approvazione durante l’esecuzione dell’appalto non fosse definitiva, sia perche’ il direttore dei lavori non ha il potere di determinare il prezzo dell’opera e sia perche’ nel del contratto di appalto era stato convenuto al punto 6 che “le misurazioni riportate dalla descrizione dei lavori sono meramente indicative” e che “al termine dei lavori avrebbe dovuto essere rimessa la contabilita’ con le quantita’ effettivamente eseguite”.
Con il secondo motivo, dolendosi dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, deduce che la sentenza ha: 1) apoditticamente ritenuto che le parti avessero conferito al direttore dei lavori il potere di rappresentare il committente e, da un lato, affermato che il direttore dei lavori ha la rappresentanza del committente solo “sotto l’aspetto meramente tecnico contabile” e, dall’altro, riconosciuto invece allo stesso il potere di impegnare il committente in via definitiva sotto il profilo economico; 2) incoerentemente attribuito efficacia probatoria agli stati di avanzamento sottoscritti dal direttore dei lavori solo “per la parte non contestata” ed accolto, per contro, totalmente la domanda dell’attore, benche’ il committente avesse contestato detti stati e la contabilita’ dell’appaltatore non fosse ne’ certa e ne’ riconosciuta o comunque accettata.
I motivi, che per connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.
E’ vero che la previsione nel contratto di appalto del diritto al pagamento di acconti sul corrispettivo e della periodica esigibilita’ di essi sulla base della constatazione, misurazione e contabilizzazione dei lavori eseguiti fatta direttamente dalle parti, od in contraddittorio con il direttore dei lavori che rappresenti una di esse, e certificata in “stati di avanzamento”, non integra ne’ sostituisce la verifica dell’opera, che, a norma dell’art. 1665 c.c. il committente ha diritto di eseguire dopo la sua ultimazione.
Gli stati di avanzamento ed il pagamento e la riscossione degli acconti non comportano, quindi, alcuna preclusione al diritto delle parti e di provare, in caso di controversia, che sono state eseguite quantita’ di lavori diverse da quelle in questi certificati e di pretendere una diversa liquidazione dei lavori in base ai prezzi convenuti. Anche quando siano stati formati con il concorso del committente o di persona da lui incaricata, gli stati di avanzamento non possono costituire percio’ prova legale, in favore dell’appaltatore e contro il committente, del fatto che il primo ha eseguito, nelle misure in essi indicate e per i prezzi liquidati, i lavori di cui si dichiara constatata l’esecuzione.
Tuttavia, pur escluso che abbiano valore confessorio, gli stati di avanzamento approvati anche mediatamente dal committente possono essere considerati prova del diritto dell’appaltatore, se il committente non dimostri che nei fatti, per quantita’ di lavori eseguiti e prezzi applicati, l’opera eseguita e’ difforme da quella che da tali atti complessivamente risulta (cfr.: cass. civ., sez. 3^, sent. 21 maggio 1999, n. 4955). Nella specie, non e’ controverso che gli stati di avanzamento sono stati formati in effettivo contraddicono con il direttore dei lavori nominato dal committente (“in qualche caso intervenne correttivamente” sulle contabilita’ parziali presentata dall’appaltatore) e risulta che lo stesso direttore attesto’ nel verbale di ultimazione e consegna dei lavori, che gli stessi erano stati “eseguiti a regola d’arte, in conformita’ al progetto, alle prescrizioni contrattuali e a quelle impartite durante lo svolgimento del lavoro”.
Anche in assenza del collaudo dell’opera, costituiva conseguentemente onere del committente provare il fondamento delle proprie contestazione dei lavori e dei prezzi certificati negli stati di avanzamento e di tale principio ha fatto corretta applicazione il giudice di merito nell’affermare che, mancando la dimostrazione che nella verifica ed approvazione degli stati di avanzamento il direttore dei lavori fosse incorso in errore, doveva essere accolta la domanda dell’appaltatore che su di essi era basata.
Nel resto i motivi sono privi di autosufficienza, atteso che, da un lato non specificano quali contestazioni fossero state rivolte agli stati di avanzamento approvati e, dall’altro, fanno riferimento al contenuto di documenti, di cui mancata testuale riproduzione non consente di valutare la rilevanza ai fini di disconoscere l’adeguatezza della motivazione censurata.
All’infondatezza od inammissibilita’ dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2700,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre spese generali, iva, cpa ed altri accessori di legge.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011