Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1062 del 18/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 4467-2010 proposto da:

C.G. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato BOLOGNA GIULIANO, rappresentata e difesa dall’avvocato CARRARA MAURIZIO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., C.G.S., entrambi elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avv. BARBANTINI GOFFREDO, rappresentati e difesi dall’avv. SILVANO MUZIO solo per il sig. C.A. e dall’avv. GIUSEPPE LA CAPRIA solo per la sig.ra C.G.S., giuste deleghe in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

C.A., C.G.S., entrambi elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avv. GOFFREDO BARBANTINI, rappresentati e difesi dall’avv. SILVANO MUZIO solo per il sig. C.A. e dall’avv. GIUSEPPE LA CAPRIA solo per la sig.ra C.G.S., giuste deleghe in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 2729/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del 14.10.09, depositata il 02/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito per i controricorrenti e ricorrenti incidentali l’Avvocato Goffredo Barbantini (delega avvocato Silvano Muzio) che si riporta agli scritti. E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che si riporta alla relazione scritta.

RILEVATO

CHE:

Avverso la decisione indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione C.G..

Ha hanno resistito gli intimati.

Nominato, ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ., il consigliere relatore ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ. ritenendo che il ricorso fosse da rigettare per manifesta infondatezza.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

OSSERVA:

Nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. si legge quanto segue:

“1. C.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano che, riformando in parte la decisione di primo grado, ha rigettato le domande con cui C.G. aveva chiesto la condanna di C.A. alla demolizione della lesena realizzata nell’atrio comune e l’accertamento della illiceità della collocazione da parte di C.G.S. di una statuetta sul davanzale di una finestra comune; ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto illecita l’occupazione dell’atrio comune da parte di essa ricorrente che vi aveva depositato pacchi di grosse dimensioni, respingendo l’impugnazione incidentale al riguardo formulata dalla medesima.

Hanno resistito gli intimati.

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., essendo manifestamente infondato.

Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ., censura la decisione gravata laddove, in contrasto con i principi dettati dalla S.C. in tema di uso della cosa comune, aveva ritenuto lecita ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. la collocazione della lesena, tenuto che per le dimensioni di questa vi era stata una oggettiva sottrazione del bene all’uso dei condomini, una illegittima limitazione della funzione di calpestio ed oltretutto l’alterazione del decoro architettonico dell’atrio, non essendo pertinente la sentenza della S.C. richiamata dai Giudici di appello.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, va premesso che l’unica questione decisa al riguardo dalla Corte di appello è quella relativa alla collocazione della lesena, essendo irrilevante l’accenno alle tubazioni e impianti preesistenti ricoperte da tale lesena.

Ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1) introdotto dalla L. n. 69 del 2009, ratione temporis applicabile, il ricorso è infondato quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.

Nella specie, la sentenza impugnata è conforme all’orientamento della Suprema Corte, secondo cui in tema di condominio, il rispetto del principio generale di cui all’art. 1102 cod. civ. impone al giudice, nel caso in cui parti del bene comune siano di fatto destinate ad uso e comodità esclusiva di singoli condomini, un’indagine diretta all’accertamento della duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione, e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti (Cass. 13752/2006; 972/2006; 1737/2005), essendo stato ritenuto che lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri e che non è riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intesa utilizzazione, ne integra un uso illegittimo in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. 17208/2008); in sintonia con tale consolidato orientamento si pongono i precedenti richiamati dalla ricorrente, i quali facevano riferimento al caso in cui la disponibilità del bene da parte del singolo comporti la sottrazione (vietata) della cosa comune al godimento degli altri condomini, che ne in tal modo sono privati: l’esame dei motivi non offre elementi per mutare tale orientamento. Orbene, i Giudici hanno escluso la violazione dell’art. 1102 cod. civ., avendo verificato che non vi era stata nè alterazione della destinazione della cosa comune nè era stato impedito il pari uso agli altri comproprietari alla stregua della ubicazione, delle dimensioni e delle caratteristiche estetiche del manufatto.

In realtà la doglianza, pur deducendo violazione di legge, si risolve nella censura dell’accertamento di fatto compiuto dalla Corte, formulando una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella compiuta dal giudice di merito, al quale è evidentemente riservata l’indagine per stabilire se in concreto vi sia stata alterazione della cosa comune e sia stato impedito il pari uso agli altri comproprietari. Va ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre il vizio di falsa applicazione delle legge riguarda la sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nella ipotesi normativa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione che nella specie è insussistente e che peraltro non è stato dedotto secondo il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dovendo qui ricordarsi che il vizio deducibile ai sensi della norma citata deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

Il secondo motivo, denunciando motivazione illogica nonchè violazione e falsa applicazione degli arti. 91 e 92 cod. proc. civ., censura la sentenza laddove aveva escluso la responsabilità di C.G.S. relativamente alla collocazione della statuetta e condannato la ricorrente alle spese a favore della predetta.

Il motivo va disatteso.

Il denunciato vizio di motivazione illogica non sussiste, posto che la Corte, dopo avere ritenuto che la collocazione era ascrivibile ad C.A. e che nessun coinvolgimento della predetta era risultato provato, ha correttamente evidenziato che il consenso o la non contestazione non potevano equipararsi a una compartecipazione, anche solo morale, nell’attività illecita. La doglianza si risolve nella censura delle risultanze processuali in ordine alla (denegata) affermazione di responsabilità di C.G.S.: devono qui ribadirsi le considerazioni svolte sopra a proposito dell’oggetto e dei limiti del sindacato di legittimità. Nella statuizione di condanna alle spese, i Giudici hanno fatto corretta applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. ponendole a carico della parte soccombente, dovendo qui ricordarsi che, in materia di regolamentazione delle spese processuali, l’unico divieto esistente per il giudice è quello di porle a carico della parte integralmente vittoriosa, mentre la compensazione è rimessa alla scelta discrezionale e motivata del giudice.

Il terzo motivo è assorbito, essendo stato formulato nel caso in cui la Cassazione avesse inteso decidere nel merito circa le domande subordinate proposte da C.A. e ritenute assorbite e non esaminate dal Giudice del gravame, essendo stata accolta la domanda di rimozione della lesena.

Il quarto motivo, lamentando violazione dell’art. 1102 cod. civ. e motivazione contraddittoria, censura la decisione gravata laddove aveva ritenuto che il deposito nell’atrio dei pacchi da parte di essa ricorrente avesse alterato la destinazione della cosa comune, impedendo agli altri comunisti di farne parimenti uso. Anche tale motivo non merita accoglimento.

La verifica della insussistenza in concreto delle condizioni richieste per il legittimo uso, anche più intenso, della cosa comune esclude evidentemente la violazione dell’art. 1102 cod. civ. che ancora una volta è stato interpretato e correttamente applicato alla luce di quanto sopra di è detto, mentre non è ravvisatile nessuna contraddittorietà per irragionevole applicazione della norma rispetto a quanto invece ritenuto per la collocazione della lesena: i Giudici hanno verificato con l’accertamento di fatto, immune da vizi logici e giuridici, che in tal caso le grosse dimensioni e la lunga permanenza dei pacchi con cui erano stai occupati rilevanti spazi dell’atrio, alteravano la destinazione della cosa comune e ne impedivano il pari uso agli altri comproprietari, mentre la ubicazione e il modesto ingombro della lesena erano indicativi di una situazione di fatto di tutto diversa”.

Vanno condivise le argomentazioni e le conclusioni di cui alla richiamata relazione, non potendo in ritenersi meritevoli di accoglimento i rilievi formulati dalla ricorrente con la memoria illustrativa.

Occorre solo rilevare: a) per quel che concerne le tubazioni che la sentenza ha accertato essere state installate in epoca anteriore alla realizzazione della lesena, la domanda proposta dall’attrice aveva riguardato esclusivamente la lesena, mentre era stato il convenuto ad invocare la illegittimità delle tubazioni con domanda subordinata che, per effetto del rigetto della domanda dell’attrice, la sentenza impugnata non ha esaminato; pertanto, non rientrava nel thema decidendum la legittimità o meno delle tubazioni sulle quali era stata collocata la lesena e certamente non può costituire oggetto di esame nella presente sede, trattandosi di questione nuova e, come tale, inammissibile in sede di legittimità;

b) le sentenze richiamate nella relazione, pur facendo riferimento a fattispecie diverse, hanno formulato (principi generali in tema di uso della cosa comune che, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., è legittimo quando non ne sia alterata la destinazione e ne sia consentita ai comproprietari la pari (che non deve peraltro essere necessariamente identica) utilizzazione: in proposito, così come affermato anche dalle decisioni richiamate dalla ricorrente, è illegittimo lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del comunista che, concretandosi nella sua appropriazione, ne comporti la sottrazione al godimento da parte degli altri e la conseguente alterazione della sua destinazione, così come statuito dalla sentenza n. 5085 del 2007 in cui – diminuita la consistenza originaria di un muro maestro – era stato inglobato il volume vuoto in una porzione di proprietà esclusiva o ancora dalla sentenza n. 21246 del 2007, in cui era rilevata la definitiva appropriazione a vantaggio della proprietà esclusiva della volumetria del corridoio che, pertanto, era sottratta alla funzione comune alla quale era destinata. Del tutto insussistenti erano nella specie in esame siffatti presupposti, avendo il giudice – con un tipico accertamento di fatto immune da vizi logici e giuridici – escluso che fosse stata alterata la destinazione dell’atrio comune e impedito il pari uso da parte degli altri condomini in considerazione della ubicazione e delle ridottissime dimensioni della lesena.

c) la sentenza ha escluso la partecipazione dei C.G. S., correttamente evidenziando come il contributo e la partecipazione morale alla commissione di un’attività illecita non possono evidentemente concretarsi nel mero consenso a detto comportamento;

4) la differenza dei presupposti di fatto accertati in sentenza ha giustificato la diversa soluzione della domanda relativa alla illegittima collocazione dei pacchi da parte della ricorrente.

Il ricorso va rigettato.

Il ricorso incidentale condizionato è assorbito Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, rigetta quello principale assorbito l’incidentale condizionato.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei resistenti in solido delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2011

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