Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1075 del 18/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5821/2007 proposto da:

SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 12, presso lo studio dell’avvocato BONACCORSI DI PATTI DOMENICO, rappresentata e difesa dall’avvocato ZIINO Diego, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO ANTONELLI 4, presso lo studio dell’avvocato CGSTANZO ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato INFANTINO Lorenzo Salvatore, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 338/2006 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 12/10/2006 r.g.n. 113/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/10/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato GIOVANNI PALMIERI per delega ZIINO OIEGO;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI per delega INFANTINO LORENZO SALVATORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Dopo due gradi di giudizio di merito, questa Corte, cassando con sentenza del 5 febbraio 1988 n. 1235, la decisione del giudice di appello confermativa di quella di primo grado, aveva dichiarato la nullità di quest’ultima del pretore di Enna per violazione del principio del contraddittorio nel giudizio promosso da N. S., dipendente della s.p.a. Sicilcassa col grado di primo segretario, per ottenere la promozione al grado di funzionario di terza categoria, oggetto di tre diverse tornate concorsuali concluse con delib. 1 luglio 1977, Delib 15-16 ottobre 1978 e Delib. 5 gennaio 1980, lamentando l’errata attribuzione dei punteggi secondo parametri prestabiliti, rispetto ad altri candidati (con le conseguenti differenze retributive).

Riassunto il giudizio da parte del N. il 25 maggio 1988, con integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri concorrenti interessati alle indicate tornate concorsuali, il Pretore di Enna, con sentenza dell’8 luglio – 19 dicembre 1997, aveva riconosciuto al ricorrente la qualifica richiesta a far data dal 1 gennaio 1979, condannando la società a risarcirgli i danni pari alle conseguenti differenze retributive fino al 31 dicembre 1993, con rivalutazione e interessi fino al soddisfo.

Su appello della società, il Tribunale di Enna aveva dichiarato l’improcedibilità delle domande formulate dal N., in ragione del fatto che con decreto ministeriale del 5 settembre 1997, la Sicilcassa era stata posta in liquidazione coatta amministrativa.

Con sentenza del 22 ottobre 2003 n. 15821, questa Corte, adita nuovamente con ricorso del N., aveva cassato con rinvio la sentenza di appello, argomentando, ai sensi della L. fall., art. 95, comma 3, allora vigente, dal fatto che la sentenza di primo grado era intervenuta prima del provvedimento di liquidazione coatta, per cui il giudizio doveva proseguire con l’appello.

Il N., con ricorso depositato il 15 aprile 2004, aveva riassunto il processo nei confronti di Sicilcassa in liquidazione coatta amministrativa, in persona dei commissari liquidatori, avanti alla Corte d’appello di Caltanissetta, chiedendo il pagamento delle ulteriori differenze retributive non liquidate e relative al periodo dal 1 gennaio 1994 al 30 ottobre 1996, oltre differenze del t.f.r. e nel relativo giudizio si era costituita la Cassa, richiamando le difese di merito già svolte in sede di appello avanti al Tribunale di Enna.

La Corte territoriale di Caltanisetta, con sentenza depositata il 12 ottobre 2006 e notificata il successivo 20 dicembre, in parziale riforma della sentenza del Pretore di Enna del 1997:

– ha dichiarato dovuti gli interessi legali sulle differenze retributive, già calcolate, sulle somme via via rivalutate, confermando nel resto la sentenza di primo grado (che sul capo riformato si era viceversa espressa in termini di cumulo di interessi e rivalutazione);

– ha condannato la società a pagare le differenze retributive conseguenti al riconoscimento del grado di funzionario di terzo livello dall’1 gennaio 1994 al 30 ottobre 1996 e delle conseguenti differenze di t.f.r., con gli accessori, determinandone l’ammontare fino alla data della sentenza;

– ha confermato nel resto la sentenza del Pretore.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione la Sicilcassa s.p.a., con sette motivi.

Resiste alle domande N.S. con proprio controricorso. Ambedue le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo, la società ricorrente denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 102 e 331 c.p.c..

La censura riguarda il fatto che, nel riassumere il giudizio avanti al giudice di rinvio, il N. non aveva notificato il relativo atto ai controinteressati, da ritenere litisconsorti necessari, come a suo tempo stabilito da questa Corte con la sentenza del 1988.

2 – Col secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 80 e 83 e della L. Fall., artt. 95 e 201, nonchè la nullità della sentenza per violazione di un giudicato interno.

La censura riguarda le statuizioni di ulteriore condanna pronunciate dalla Corte territoriale.

Se è vero che, come affermato da questa Corte nella sentenza di annullamento con rinvio, il giudizio di appello prosegue se la sentenza di primo grado è intervenuta prima della liquidazione coatta amministrativa, sarebbero però possibili solo accertamenti strumentali alla ammissione de passivo della procedura e non condanne.

3 – Col terzo motivo, la società ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 80 e 83 e della L. Fall., artt. 55, 95 e 201, e la nullità della sentenza.

La sentenza impugnata avrebbe illegittimamente accertato resistenza di presunti crediti del N. maturati successivamente al 5 settembre 1997 (si tratterebbe degli accessori del credito maturati successivamente a tale data), di messa in liquidazione coatta della Cassa.

il relativo accertamento sarebbe infatti riservato alla procedura e inoltre nel caso di LCA ricorrerebbe anche una ipotesi di difetto di giurisdizione fino alla formazione del passivo.

4 – Col quarto motivo di ricorso la società denuncia il vizio di motivazione della sentenza, laddove la Corte territoriale aveva accertato, in contrasto con le risultanze documentali e con la C.T.U. disposta dai giudici, che con un punteggio di 34,25 punti fissi, il N. si sarebbe già collocato (prima dell’applicazione del punteggio variabile) al 47 posto della graduatoria (i posti erano 85 con 432 aspiranti).

In realtà, dalla documentazione indicata risulterebbe che da parte del consulente tecnico non era stata redatta una graduatoria sulla base del punteggio fisso e comunque, a volerla redigere sulla base dell’analisi dei punteggi fissi attribuiti, emergerebbe che il N. era collocabile al 213 posto.

Infatti dagli elaborati del C.T.U. risulterebbe che 212 candidati avevano avuto un punteggio fisso superiore a quello del N., che altri 27 ne avevano avuto uno eguale e solo 176 un punteggio inferiore.

Del resto, secondo quanto riferito dal CTU, il N. nel corso del processo non avrebbe contestato i punteggi fissi e solo da un allegato alle note difensive in appello risulterebbe la sua affermazione di essere 47 in base ai punteggi fissi.

5 – Col quinto motivo viene denunciato un ulteriore vizio di motivazione della sentenza, laddove, esaminando l’attribuzione al N. dei punteggi variabili da un minimo ad un massimo, ha affermato che vi sarebbe stata una retrocessione, evidentemente facendo riferimento all’erronea posizione nella graduatoria fissa.

L’argomento riguarda i punteggi per attitudine a svolgere compiti più impegnativi nonchè per i gradi e gli uffici ricoperti, per i quali la sentenza ha rilevato che la Banca non aveva giustificato il basso punteggio attribuito al N..

Tale affermazione non corrisponderebbe a realtà perchè in sede di C.T.U., il consulente della Banca aveva indicato un calo di utili e una relazione ispettiva negativa negli anni in cui il N. aveva gestito una succursale.

Ulteriori motivazioni in ordine ai punteggi attribuiti sarebbero riportate nel rapporto ispettivo 14 novembre 1979 e nelle note riservate trascritte nelle note difensive autorizzate della Cassa del 15 aprile 2005.

6 – 7 – Con gli ultimi due motivi, la società ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. nonchè dell’art. 41 Cost., laddove la Corte ha affermato che la banca avrebbe violato gli obblighi di buona fede e correttezza nell’attribuzione dei punteggi discrezionali al N..

A tale conclusione la Corte d’appello sarebbe infatti giunta comparando la posizione del N. con quella di soli quattro candidati promossi e ciò, nella situazione descritta prima (432 concorrenti, lui 190 su 85 posti, 212 con punteggio fisso superiore al suo, 27 come il suo), non avrebbe potuto condurre a ritenere provato il suo diritto alla promozione.

Infine, la ricorrente lamenta che i giudici si sarebbero sostituiti alla Banca nella individuazione dei criteri di valutazione, il che non sarebbe consentito, trattandosi di criteri di tipo discrezionale, pertanto incensurabili.

La ricorrente conclude pertanto chiedendo la cassazione della sentenza impugnata, con le conseguenti statuizioni.

Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Costituisce infatti orientamento giurisprudenziale consolidato di questa Corte (cfr.. per tutte, Cass. nn. 1536/00 e 3795/94), che qui si ribadisce come principio di diritto, il rilievo secondo cui nel giudizio di rinvio da questa Corte non può essere eccepita o rilevata d’ufficio la non integrità del contraddittorio a causa di una esigenza originaria di litisconsorzio, quando tale questione non sia stata dedotta in sede di cassazione e rilevata dal giudice di legittimità, dovendosi presumere, in mancanza di diversa esplicita statuizione, che il contraddittorio sia stato da questo ritenuto integro.

Del resto, nel caso in esame, il giudizio di cassazione che ha dato luogo al rinvio alla Corte d’appello di Caltanisetta (e nel quale non risulta che sia stato posto dalle parti il problema della integrità del contraddittorio) si è svolto quando il rapporto di lavoro era cessato da tempo, per cui residuavano unicamente domande risarcitorie da parte del N., in ordine alle quali evidentemente questa Corte non ha ritenuto necessaria una integrazione del contraddittorio.

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Col relativo quesito di diritto, che, ancorchè non necessario, riassume comunque il contenuto fondamentale del motivo, la ricorrente chiede.

“Nel caso in cui un giudizio di appello prosegue in sede ordinaria ai sensi della L. Fall., art. 95, comma 3 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) contro un debitore sottoposto a liquidazione coatta amministrativa ai sensi della legge bancaria (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385), la relativa sentenza non può avere contenuto condannatorio, in quanto una condanna sarebbe in contrasto con il divieto di azioni esecutive individuali e con la esclusività dell’accertamento del passivo”.

La censura così formulata (che accantona la deduzione di difetto di giurisdizione, del resto non sviluppata ulteriormente nel corpo del motivo) non appare pertinente al caso in esame.

Anzitutto va rilevato che, quanto al capo relativo agli interessi da calcolare sul capitale via via rivalutato, la sentenza impugnata non pronuncia una condanna, ma “dichiara dovuti gli interessi legali sulle differenze retributive, già calcolate, ” (quelle cioè fino al 31.12.93) “sulle somme via via rivalutate…”.

In secondo luogo, non risulta dalla sentenza impugnata che la censura in esame sia stata proposta in sede di rinvio ove, secondo la Corte territoriale, la appellante avrebbe unicamente eccepito la novità della domanda (novità che la Corte territoriale ha escluso, accertando che la relativa proposizione in termini di “risarcimento danni, parametrato alle differenze retributive maturate dal 1977 in per era stata effettuata nel ricorso introduttivo del giudizio).

Per ottenere da questa Corte l’esame di tale censura, la ricorrente avrebbe pertanto dovuto dedurre di averla proposta nella sede naturale del giudizio di rinvio, cosa che non risulta dal ricorso.

Col quesito formulato a conclusione del terzo motivo, la ricorrente chiede l’affermazione secondo cui “nel caso in cui un giudizio di appello prosegue in sede ordinaria ai sensi della L. Fall., art. 95, comma 3 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) contro un debitore sottoposto a liquidazione coatta amministrativa ai sensi della legge bancaria (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385), la relativa sentenza non può avere ad oggetto il riconoscimento di accessori sul credito maturati nel periodo successivo all’inizio della procedura concorsuale, in quanto la relativa cognizione è riservata agli organi della procedura concorsuale. Nel caso di liquidazione coatta ricorre una ipotesi di difetto di giurisdizione, fino al momento del deposito dello stato passivo, ferma restando, dopo il deposito dello stato passivo, la opposizione davanti al tribunali fallimentare ove ha sede l’impresa”.

Anche tale quesito e il relativo motivo non sono pertinenti rispetto al caso in esame, in cui fin da ricorso introduttivo, come risulta dalla sentenza impugnata, il N. aveva chiesto gli accessori lino al soddisfo relativamente ad un credito anch’esso parametrato sulle differenze retributive dal 1977 in poi.

Avendo il giudice del 1997 limitato la condanna alle differenze retributive maturale fino al 31 dicembre 1993 coi relativi accessori “sino all’effettivo soddisfo”, il N. è stato necessitato, ai sensi della L. Fall., art. 93, comma 3, a ribadire la propria richiesta relativa alle differenze retributive successive al 31.12.1993 e fino alla cessazione del rapporto di lavoro avvenuta il 30 ottobre 1996, coi relativi accessori fino al soddisfo, comprensivi pertanto di quelli maturati successivamente al 5 settembre 1997.

Il quarto motivo di ricorso prospetta un errore effettivamente commesso dalla Corte territoriale nella valutazione della possibile collocazione in graduatoria del N. dopo l’attribuzione dei soli punteggi fissi previsti dal relativo bando.

Il controricorrente deduce l’inammissibilità di tali censure, perchè avrebbero dovuto essere tempestivamente svolte nel corso del giudizio di rinvio e perchè la ricorrente non ha indicato i nominativi dei concorrenti collocati prima di lui in graduatoria.

La deduzione è infondata: quanto al primo profilo, in ragione del fatto che tali censure non avrebbero potuto essere svolte prima, riguardando la valutazione finale della Corte territoriale di dati incontestabilmente risultanti dagli atti; quanto al secondo profilo, in quanto gli elementi indicati in ricorso sono sufficienti al fine della precisa individuazione e illustrazione della censura, senza necessità delle ulteriori specificazioni indicate dal controricorrente.

La censura è peraltro di per sè irrilevante, quello che conta essendo il reale punteggio fisso attribuito al N. (che viene indicato in maniera esatta dalla Corte territoriale) e il punteggio finale attribuito nonchè quello attribuibile secondo la Corte, sulla base della corretta applicazione dei criteri a punteggio variabile stabiliti.

Gli ulteriori motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, avendo ad oggetto censure rivolte alla valutazione della correttezza dei punteggi variabili attribuiti alla posizione del N. nel concorso concluso con la delibera dell’ottobre 1978.

In proposito, relativamente alle possibilità di controllo giudiziale in ordine alla attribuzione di tali punteggi nell’ambito di un concorso interno per il riconoscimento di una qualifica superiore, è opportuno richiamare la giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, secondo cui nel caso di attribuzione di una qualifica superiore che debba avvenire, a norma di contratto collettivo applicabile o per disciplina unilaterale del datore di lavoro, sulla base di un concorso e mediante l’attribuzione di punteggi legati a determinate caratteristiche professionali dei concorrenti, incombe ad datore di lavoro l’obbligo di osservare, nell’espletamento della procedura concorsuale, criteri di correttezza e buona fede, rispettando altresì il principio di obiettività e di trasparenza e la par candido fra tutti gli aspiranti (cfr. al riguardo, recentemente, Cass. 2 febbraio 2009 n. 2581).

In proposito, la Corte territoriale ha desunto un primo indizio della arbitrarietà nell’attribuzione al N. dei punteggi variabili (da un minimo ad un massimo) per le voci “attitudine a svolgere compiti più impegnativi” (per la quale era previsto un punteggio da 1 a 1,5) e “gradi e uffici ricoperti” (punteggio fino a 4) anzitutto dalla circostanza che il legale rappresentante della società, in udienza, “non ha saputo spiegare le ragioni di tale diversa attribuzione di punteggi discrezionali, limitandosi ad affermare di dovere difendere la posizione degli altri concorrenti utilmente collocati in graduatoria, senza spiegare il perchè dell’attribuzione di punteggi più alti rispetto al N..

Inoltre i giudici hanno individuato ulteriori decisivi indizi della arbitrarietà e comunque della non conformità ai canoni di correttezza e buona fede nell’attribuzione al N. dei punteggi sulle voci indicate, attraverso il confronto, operato, utilizzando criteri uniformi e con l’ausilio di una consulenza tecnica d’ufficio, tra la posizione del N. e quella di quattro concorrenti risultati vincitori del concorso, concludendo nel senso che se fossero stati attribuiti all’originario ricorrente i punti assegnati agli altri quattro in relazione a situazioni valutate come omogenee, il N. avrebbe acquisito il punteggio aggiuntivo sufficiente a superare quello dell’ultimo dipendente collocato nella graduatoria dei vincitori.

Una tale valutazione è contestata dalla ricorrente, con riferimento al primo indizio, col rilievo che il consulente della Banca in sede di C.T.U. avrebbe evidenziato un calo di utili nella agenzia diretta dal N. e menzionato un verbale di ispezione negativa che sarebbe in atti unitamente a note riservate.

Il primo dato non esclude comunque, ai sensi dell’art. 420 c.p.c., comma 2, la ritenuta significatività, sul piano indiziario, del “silenzio” del legale rappresentante della società ed è comunque contrastato nel contenuto dai giudici di merito, che ne ridimensionano la rilevanza sulla base di una analisi completa della situazione operativa e patrimoniale della agenzia indicata, conducente all’accertamento di un risultato positivo della gestione economica (sempre rapportato a quello delle quattro succursali omogenee).

Quanto al secondo, esso è rimasto sostanzialmente inespresso, per la mancata piena specificazione e illustrazione de contenuto del verbale di ispezione e delle note riservate, in violazione della regola di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione (cu cui cfr., per tutte, recentemente, Cass. nn. 4201/10, 6937/10, 10605/10 e 11477/10).

il giudizio finale della Corte territoriale appare ragionevolmente tratto da tali dati e valutazioni, senza che assuma rilievo, ai fini della sostenibilità dello stesso, il fatto che la correttezza dei punteggi attribuiti al N. sia stata verificata in rapporto alla situazione di soli quattro candidati, in quanto si è trattato di candidati promossi la cui situazione oggetto di valutazione è stata giudicata omogenea rispetto a quella del resistente.

Nè convince l’accusa che in tal modo la Corte territoriale si sarebbe sostituita alla società nell’attribuzione di punteggi discrezionali, in quanto si è viceversa trattato, come illustrato, della verifica del rispetto di obblighi di buona fede e correttezza da parte della società in tale sede procedurale, cui è sortito l’accertamento che la corretta applicazione di tali punteggi avrebbe comportato l’inserimento del N. nella rosa dei vincitori, con conseguente accoglimento della sua domanda risarcitoria.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con la conseguente condanna della ricorrente a rimborsare al N. le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2011

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