Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.145 del 04/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15362-2009 proposto da:

I.C. (*****), P.A.

(*****) P.S. (*****) quali eredi di P.P., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il Decreto n. 2318 del 2008 V.G. della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del 19/09/08, depositata il 29/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. DIDONE Antonio;

è presente il P.G. in persona del Dott. FUCCI Costantino.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO Par. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- I.C., P.A. e P. S., quali eredi di P.P., hanno adito la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania dal loro dante causa con ricorso del luglio 1994, pendente al momento della domanda “Pinto”.

La Corte d’appello, con decreto del 29.10.2008, ha fissato la durata ragionevole del giudizio di primo grado in anni tre, ha ritenuto estinto per prescrizione decennale il diritto all’indennizzo e ha liquidato per il periodo successivo al decennio, pari ad anni dieci e mesi sei, la somma complessiva di Euro 8.400,00, con il favore delle spese.

Per la cassazione di questo decreto gli attori, nella spiegata qualità, hanno proposto ricorso affidato a 10 motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze.

2. – Con i primi otto motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6 Par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

a) la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU ? (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno.

Se il periodo da considerare ai fini dell’equa riparazione sia soltanto quello eccedente il termine di ragionevole durata, ovvero debba aversi riguardo all’intera durata del giudizio (secondo e quarto motivo) e sul mancato riferimento all’intera durata del giudizio il decreto sarebbe carente e viziato nella motivazione (terzo motivo);

una volta accertato il diritto all’equo indennizzo, lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00 – 1.500,00 ? (quinto motivo) e sulla mancata applicazione di detto parametro il decreto sarebbe carente nella motivazione (sesto motivo);

spetterebbe un’ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) trattandosi di materia previdenziale, come stabilito dalla CEDU e su questa domanda la Corte d’appello non si è pronunciata (settimo motivo), incorrendo in difetto di motivazione (ottavo motivo).

2.1.- I motivi 9 e 10 denunciano violazione degli artt. 91 e 92 e 132 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

può il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa, liquidando spese, diritti ed onorari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune voci tariffarie indicate nella nota spese ? (motivo 9) e la Corte non avrebbe motivato in ordine alla disposta riduzione degli importi richiesti (motivo 10).

3. – I motivi indicati nel Par. 2 possono essere esaminati congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sembrerebbero manifestamente infondati.

ai Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent. n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme; alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 e, qualora ciò non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, Cost.. Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

b) Relativamente alla quantificazione del danno, va affermato:

secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuità, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo;

per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 4572 del 2009;

n. 11566 del 2008 e n. 1354 del 2008);

i criteri di determinazione del guaritimi della riparazione applicati dalla Corte Europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo;

resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia. Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici Europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008). Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore -anche il succitato bonus- qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 3812 del 2009; n. 18012 del 2008);

il danno non patrimoniale deve essere quantificato in applicazione di detto parametro, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 3812 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 6898 del 2008).

In questi termini sono i principi che possono essere formulati in relazione ai quesiti in esame ed a quelli riferibili alla quantificazione del danno, anche alla luce del parametro della Corte EDU, che sembrano confortare la manifesta infondatezza delle censure, poichè il decreto ha liquidato, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, una somma pari ad Euro 1.000,00 per anno di ritardo, in considerazione della mancata proposizione di istanze sollecitatorie, condotta non illogicamente assunta come sintomatica del non rilevante interesse per la causa. A fronte di tale congrua e sufficiente motivazione, il ricorrente si è limitato a svolgere argomenti standardizzati e stereotipati, non in grado di dimostrare la sussistenza dei presupposti per liquidare un importo più elevato, omettendo di indicare quali elementi specifici e concreti-, dedotti nella fase di merito, avessero indicato a tal fine (in punto, tra l’altro, della sua situazione economico-patrimoniale).

4.- I motivi indicati nel Par. 2.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrerebbero manifestamente inammissibili, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., posto che i quesiti prescindono del tutto dalla concreta fattispecie e si limitano a ripetere il contenuto delle norme di cui è denunciata la violazione. Ciò anche tenuto conto di ciò che sono stati liquidati Euro 480,00 per diritti e Euro 535,00 per onorario e non sono specificamente indicate le voci per le quali sarebbe stato violato il minimo tariffario.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

Par. 2.- Il Collegio – corretto l’errore materiale contenuto nella relazione quanto all’indennità annua liquidata (Euro 800,00 per anno e non Euro 1.000,00) – condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso. Invero, relativamente alla quantificazione dell’equa riparazione, va tenuto conto della più recente giurisprudenza di questa Sezione e dei criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI C. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI c. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi e, in particolare, del principio enunciato da Sez. 1, Sentenza n. 13 019 del 2 010, secondo cui deve ritenersi congrua, anche in base a quanto afferma la Corte d’appello in ordine alla esiguità della posta in gioco per l’esiguità del trattamento pensionistico chiesto e denegato dalla Corte dei Conti, la riparazione per la somma indicata di meno di Euro 500,00 annui, anche maggiore di quella recentemente determinata dalla C.E.D.U. per il danno non patrimoniale di un processo amministrativo italiano (Sez. 2, 16 marzo 2010, Volta et autres c. Italie, Ric. 43674/02).

Nella concreta fattispecie il giudizio amministrativo presupposto ha avuto una durata di circa undici anni e la Corte di merito ha liquidato la somma superiore a quella di Euro 5.500,00, risultante dall’applicazione dei criteri innanzi richiamati, fermo restando che non risulta impugnata la dichiarazione di estinzione per prescrizione decennale. Sussistono, peraltro, giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità e ciò alla luce del mutato quadro giurisprudenziale relativo al quantum.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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