LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
D.P.A., con domicilio eletto in Roma, via G. Spontini n. 22, presso l’Avv. Brasca Leonardo, rappresentato e difeso dall’Avv. Di Marco Loreta come da procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;
– intimato –
per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli rep. 2953/08 depositato il 9 giugno 2008;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. ZANICHELLI Vittorio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D.P.A. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania a far tempo dal luglio 1997 e definito in data 7.2.2008.
L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.
La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso con cui si deduce violazione di legge per avere la Corte d’appello ritenuto necessaria la presentazione dell’istanza di prelievo ai fini della sussistenza del diritto al risarcimento per l’irragionevole durata del processo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi, avendo la Corte rigettato la domanda non per la ritenuta necessità dell’istanza ma in base alla diversa considerazione in fatto secondo cui la mancata presentazione di istanze sollecitatorie avrebbe dimostrato la consapevolezza dell’infondatezza della domanda e quindi l’assenza di un patema d’animo connesso alla pendenza del giudizio.
Manifestamente fondato è invece l’ulteriore motivo con il quale si denuncia l’illogicità della motivazione del provvedimento di rigetto laddove ha fondato il riconoscimento della pretesa consapevolezza dell’originaria consapevolezza dell’infondatezza della domanda dalla sola circostanza consistente nella mancata presentazione di istanze di prelievo, posto che tale comportamento può comportare, semmai, una minor quantificazione dell’indennizzo (ex aliis Sez. 1, Sentenza n. 24438 del 16/11/2006) quale indice di limitata sofferenza ma non può essere assunto come elemento da solo sufficiente a dimostrare la consapevolezza dell’infondatezza della domanda, potendo appunto spiegarsi anche con il limitato interesse al sollecito svolgimento del giudizio.
Il ricorso deve dunque essere accolto e cassato il decreto impugnato.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (sentenza n. 14753/2010) a mente della quale, in fattispecie in cui non sia applicabile il disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, l’importo dell’indennizzo per giudizi avanti al giudice amministrativo protrattisi per lungo tempo in assenza di iniziative sollecitatorie l’indennizzo può essere liquidato in via forfettaria, il Ministero deve essere condannato al pagamento della somma di Euro 6.000, tenuto conto della durata di circa dieci anni e mezzo del giudizio di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.000, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 1.140, di cui Euro 600 per diritti, Euro 490 per onorari e Euro 50 per spese, oltre spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 900 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011