LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –
Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.D. (C.F. *****), nella qualità di madre esercente la patria potestà sulla figlia minore Z.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24, presso l’avvocato GRAZIANI LUCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SARTORATO GUIDO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Z.C. (C.F. *****), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA 15, presso l’avvocato VERINO MARIO ETTORE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RONFINI LUIGI, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
Z.M.G., Z.F., V.G.;
– Intimati –
avverso la sentenza n. 642/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 10/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato GRAZIANI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato VERINO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Treviso con sentenza del 24 febbraio 1992 condannò Z.P. a ridurre l’altezza di un immobile ubicato in *****, ad eliminare una parte di cornicione sporgente, nonchè a risarcire i danni alle proprietarie confinanti C.J. e Z.C..
Deceduto lo Z., l’appello degli eredi G. e Z. F., nonchè V.G., venne respinto dalla Corte di appello di Venezia con sentenza del 2 aprile 1996, divenuta definitiva.
A questo grado del giudizio rimase estranea la minore Z. V., anch’essa erede di P. perchè figlia di altro figlio premorto, la quale attraverso la madre B.D. propose opposizione di terzo contro la decisione di appello, chiamando in giudizio i coeredi Z. – V., nonchè la controparte Z.C., anche n.q. di unica erede di C.J., nelle more deceduta. La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 10 aprile 2006, ha accolto l’opposizione di terzo e dichiarato la nullità della precedente sentenza di appello, ma ha respinto nel merito l’impugnazione della B., confermando la decisione del Tribunale di Treviso.
Per la cassazione della sentenza, quest’ultima ha proposto ricorso per un motivo cui ha resistito la sola Z.C. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio deve anzitutto dare atto che il ricorso, contrariamente a quanto dedotto da Z.C. è stato notificato a tutte le parti che parteciparono al giudizio concluso dalla decisione 2 aprile 1996 della Corte di appello di Venezia: e quindi anche al coeredi Z.M.G. (in data 16 gennaio 2006), Z.F. (stessa data) e V.G. (stessa data).
Con il ricorso, la B., deducendo violazione degli art. 404, 101 e 112 cod. proc. civ. si duole che la sentenza impugnata, constatata la sua avvenuta preterraissione nel precedente giudizio in cui pur rivestiva la qualifica di litisconsorte necessaria, per essere succeduta a Z.P. nella comproprietà dell’immobile oggetto del contendere, non si sia limitata a dichiararne la nullità, ma abbia deciso nel merito la controversia : senza peraltro alcuna richiesta delle parti al riguardo, ed impedendo la nuova celebrazione del processo di appello (cui essa in precedenza non aveva partecipato), con violazione del principio del doppio grado del giudizio. Il ricorso è infondato.
Le parti concordano sulla correttezza della sentenza impugnata laddove ha dichiarato la nullità della precedente decisione della stessa Corte 2 aprile 1996 per avere confermato la riduzione dell’altezza dell’immobile già di Z.P. e la eliminazione del cornicione sporgente, disposte dal Tribunale di Treviso:riconoscendo entrambe che al suddetto giudizio di appello (e soltanto ad esso) non aveva partecipato la minore Z.V., pur essa comproprietaria dell’edificio (per essere succeduta allo Z. nelle more deceduto) e quindi litisconsorte necessaria pretermessa, in tale qualità legittimata a proporre utilmente opposizione di terzo, ai sensi dell’art. 404 cod. proc. civ., contro la decisione suddetta passata in giudicato che ha pregiudicato il suo diritto dominicale. Ritiene tuttavia la ricorrente che nel caso la Corte di appello avrebbe dovuto limitarsi a constatare la non integrità del contraddittorio ed a dichiarare la nullità della propria precedente sentenza, lasciando impregiudicato il merito della controversia che la comproprietaria si riservava di dedurre in separato giudizio.
Sennonchè detto assunto, come conferma la giurisprudenza ricordata dalla B., si riferisce all’ipotesi che può definirsi normale, più volte esaminata da questa Corte, in cui l’opposizione di terzo, a norma dell’art. 404 cod. proc. civ., venga proposta da chi deduca la qualità di litisconsorte necessario pretermesso nell’intero procedimento conclusosi con la sentenza opposta. In tale situazione (Cass. 2134/1995), infatti, nel caso di opposizione di terzo proposta da litisconsorte necessario pretermesso contro una sentenza di primo grado le due fasi rescindente e rescissoria – si svolgono innanzi allo stesso giudice il quale può, con un’unica decisione, annullare la sentenza opposta ed emettere la pronuncia sostitutiva (oppure pronunciare una prima sentenza di annullamento e quindi, all’esito dell’espletamento dei mezzi di prova ritenuti necessari, pronunciare sul merito); mentre nella ipotesi di opposizione contro una sentenza di secondo grado, il giudice dell’appello deve limitarsi ad eliminare la sentenza opposta dato che il pregiudizio del litisconsorte necessario pretermesso non scaturisce esclusivamente dall’obiettiva ingiustizia della decisione di merito e dall’incompatibilità del diritto vantato con quello deciso inter alios, ma è costituito anzitutto dalla mancata partecipazione ad un giudizio che non avrebbe potuto svolgersi senza il suo intervento, conclusosi con una sentenza che, data la natura del rapporto che ne ha formato oggetto, pregiudica la sua posizione di diritto sostanziale. E perchè d’altra parte l’accertamento del fondamento di detta deduzione implica di per sè l’ammissibilità e l’accoglimento dell’opposizione medesima, senza che si richieda una denuncia da parte dell’opponente dell’ingiustizia nel merito di quella pronuncia. Con la conseguenza che il riscontro del difetto di integrità del contraddittorio impone la declaratoria di nullità della pronuncia stessa, con rimessione delle parti davanti al giudice di primo grado, essendosi già in tale sede verificata l’omessa citazione del litisconsorte necessario, sia per il rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione, sia per l’applicabilità dell’art. 354 cod. proc. civ. (Cass. l0130/2005;
9878/1997; 4065/1990; 6722/1987). Ma nella fattispecie la sentenza impugnata ha accertato, e la ricorrente confermato, che il procedimento di primo grado davanti al Tribunale di Treviso si è regolarmente svolto alla presenza di tutti i litisconsorti allora necessari tra i quali il dante causa di Z.V., che lo aveva intrapreso; e che la sentenza 24 febbraio 1992 è stata resa allorquando quest’ultimo rivestiva la qualifica di parte ivi costituita.
La B. n.q., dunque, quale erede della parte originaria poteva avvalersi della disposizione dell’art. 110 cod. proc. civ. e proseguire il processo, come hanno fatto i coeredi, che tuttavia l’hanno pretermessa nel giudizio di appello concluso dalla menzionata decisione 2 aprile 1996 ad essi sfavorevole (divenuta definitiva) che ha pregiudicato il suo diritto dominicale. Da qui la sua legittimazione a proporre opposizione di terzo, ai sensi dell’art. 404 cod. proc. civ., contro la suddetta sentenza passata in giudicato per non avere partecipato al solo giudizio di appello; con la conseguenza che in tal caso diversamente dal precedente, non si era verificata alcuna violazione del principio del doppio grado del giudizio, avendo lo Z. partecipato al processo di primo grado e la sua avente causa a quello di opposizione ex art. 404 cod. proc. civ. alla sentenza di appello, avente come è noto una fase rescindente e quella rescissoria. Sicchè il giudice di appello, dichiarata la nullità non poteva rimettere le parti al primo giudice, non essendo tale ipotesi prevista fra quelle stabilite dagli artt. 353 e 354 c.p.c., che hanno carattere tassativo e che non sono suscettibili di estensione a casi non contemplati;e non poteva per converso arrestarsi a tale declaratoria che non arreca alcun sensibile vantaggio all’opponente, consentendo il passaggio in giudicato della decisione del Tribunale; ma doveva, come correttamente ha fatto, esaminare il merito dell’impugnazione onde accertare anche la proponibilità dell’opposizione, cioè se essa fosse fondata in base alla causa petendi fatta valere dallo Z., per poi trattare e decidere il merito stesso.
Nella fattispecie in esame, infatti, interesse a proporre opposizione e merito consistente nell’impugnazione di una decisione asseritamente erronea riprendono ad essere strettamente connessi, ed una volta constatata l’inefficacia della sola sentenza di appello opposta nei confronti del terzo, per non esser stato questo parte nel procedimento in cui è stata pronunciata, deve svolgersi la fase rescissoria comportante necessariamente il riesame della decisione di primo grado che ha costituito la ragione dell’opposizione. E trova applicazione il principio ripetutamente enunciato da questa Corte anche a sezioni unite, che l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole è ammissibile solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.; mentre nelle ipotesi in cui, il vizio denunciato non rientri in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (Cass. 2053/2010;
1199/2007; 19159/2005; sez. un. 12541/1998). Il che d’altra parte non è sfuggito alla stessa B., che contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, nell’atto di opposizione (pag. 4) ha addebitato al Tribunale di Treviso numerose violazioni dell’art. 885 cod. civ., perciò sostanzialmente insistendo nella pretesa del proprio dante causa ed escludendo il dedotto vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la decisione impugnata.
Non sussiste alcuna delle ipotesi stabilite dall’art. 96 cod. proc. civ. per la chiesta condanna della ricorrente al risarcimento dei danni previsto dalla norma.
Le spese del giudizio seguono lei soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente n.q. al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della Z. in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 2.500,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011