Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.198 del 05/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1566-2006 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.A., nella qualità di tutrice della interdetta giudiziale M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 2, presso lo studio dell’avvocato BLASI PAOLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6906/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/01/2005 r.g.n. 7947/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2010 dal Consigliere Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma, accogliendo, in riforma della decisione di primo grado, la domanda di M.A., ha dichiarato illegittima la richiesta di restituzione di somme rivoltale dall’INPS a titolo di prestazioni pensionistiche indebitamente percepite, sul rilievo che il provvedimento emesso dall’ente in via amministrativa non consentiva in alcun modo di individuare gli estremi dell’obbligazione restitutoria e che neppure in corso di giudizio l’INPS aveva fornito indicazioni idonee ad evidenziare gli elementi costitutivi della sua pretesa.

Per la cassazione di questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso fondato su un unico motivo. Resiste l’assicurata con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nell’unico motivo, con deduzione di violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c. nonchè di vizio di motivazione, l’INPS censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la genericità della richiesta restitutoria elemento idoneo a rovesciare il principio dell’onere della prova, erroneamente non considerando che, nelle azioni, come quella di specie, volte all’accertamento negativo della sussistenza del debito pensionistico, grava sul soggetto che tale azione ha promosso fornire la prova del possesso dei requisiti cui la legge riconnette il riconoscimento del diritto alla prestazione.

2. Il ricorso non è fondato.

3. Premette la Corte che la questione relativa all’onere probatorio nel giudizio promosso dall’assicurato nei confronti dell’ente previdenziale per contrastare la pretesa di quest’ultimo alla restituzione di somme erogate a titolo pensionistico è stata recentemente decisa dalle Sezioni unite con la sentenza n. 18046 del 2010, che ha composto il contrasto di giurisprudenza sorto al riguardo nella Sezione lavoro, nei sensi di cui al seguente principio di diritto: “In tema di indebito, anche previdenziale, ove l’accipiens chieda l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, egli deduce necessariamente in giudizio il diritto alla prestazione già ricevuta, ossia un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli dal convenuto, sicchè egli ha l’onere di provare i fatti costitutivi di tale diritto”.

4. Ritiene, tuttavia, che in tanto il suddetto principio, pur condivisibile e, peraltro, condiviso anche dalla sentenza impugnata – trovi applicazione in quanto, come correttamente rileva la Corte d’appello, nel provvedimento di recupero emesso in via amministrativa dall’ente previdenziale siano richiamati i tratti essenziali della richiesta di restituzione, quali gli estremi del pagamento e l’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate. in modo da consentire al pensionato, presunto debitore, di effettuare il necessario controllo sulla sua correttezza.

5. Nella specie la sentenza impugnata ha accertato che del tutto incomprensibili erano le ragioni della pretesa restitutoria, non emergendo dalla richiesta dell’INPS indicazioni adeguate a porre in grado la pensionata di verificare se si trattasse di un trattamento attribuito sine titulo ovvero di una erogazione conseguente a un calcolo errato da parte dell’ente, stante, al riguardo, la mancanza di dati e parametri contabili chiari e inequivoci.

6. L’accertamento in parola, doveroso per il giudice rispondendo a imprescindibili esigenze di garanzia del destinatario dell’atto di soppressione (ovvero di riduzione) del trattamento pensionistico in godimento, non è contestato nel suo contenuto dall’Istituto ricorrente, che si limita in questa sede a sostenere la tesi per cui anche la (eventuale) assoluta genericità della contestazione di indebito non esonera il pensionato dall’onere di fornire la prova del diritto alla prestazione, de quale rivendica in giudizio la titolarità.

7. In conclusione il ricorso va rigettato.

8. Si compensano tra le parti le spese del presente giudizio in ragione dell’esito complessivo della lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2011

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