Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.20 del 03/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.F., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Gonzaga 37, presso Salvatore Battaglia, rappresentata e difesa dall’avv. Di Francesco Olindo giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia in persona del Ministro, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta n. 24/08 R.D. del 22.2.2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16.11.2010 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Con decreto del 22.2.2008 la Corte di Appello di Caltanissetta, giudicando in sede di rinvio, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento di Euro 1.500,00 in favore di A.F., con riferimento all’eccessiva durata di un giudizio avente ad oggetto il riconoscimento di un assegno di invalidita’ civile, iniziato in primo grado l’8.11.1993 e conclusosi in appello il 16.10.2001.

In particolare la Corte territoriale riteneva che per il primo grado il periodo di durata irragionevole dovesse essere apprezzato nella misura di un anno e sei mesi mentre, per il secondo, la durata fosse congrua e ragionevole.

Di qui la liquidazione dell’indennizzo nei termini sopra precisati, sulla base di un riconoscimento di Euro 1.000,00 per ogni anno di eccessiva durata. Avverso la decisione A. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva il Ministero con controricorso, con i quali rispettivamente denunciava: 1) violazione di legge, con riferimento all’apprezzamento del periodo di durata irragionevole, rispetto al quale non si sarebbe tenuto debito conto che il processo – di natura previdenziale – si era protratto dall’8.11.1993 al 16.10.2001, e quindi per otto anni. Per di piu’ la Corte territoriale non si sarebbe attenuta alle indicazioni di questo giudice di legittimita’, che avrebbe invitato il giudice di rinvio a considerare il processo “nella sua unitaria articolazione”, invito che sarebbe rimasto senza esito; 2) vizio di motivazione sul medesimo punto; 3) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’entita’ dell’indennizzo liquidato, asseritamente inferiore a quanto normativamente stabilito.

Va innanzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso, che sarebbe stato proposto decorsi 60 gg. dalla notifica del decreto, considerato che questa era stata eseguita a cura della cancelleria e non della parte.

Nel merito il ricorso e’ infondato.

Ed infatti la doglianza relativa all’entita’ dell’indennizzo (sub 3) e’ priva di pregio, poiche’ la relativa determinazione e’ conforme ai parametri CEDU e quello adottato nella specie (contrariamente a quanto sostenuto) e’ stato esplicitamente indicato.

Analogamente deve dirsi per la censura concernente la durata (secondo motivo) poiche’ la Corte di Appello ha reso sufficiente motivazione sul punto.

Ad identiche conclusioni si perviene poi con riferimento al primo motivo, rispetto al quale va considerato, per il grado di appello, che questo si e’ protratto per 3 anni e 3 mesi, ma il ritardo e’ stato addebitato ai rinvii richiesti dalle parti e, per il primo grado (8.11.93 – 24.3.97) che il ritardo a stato prevalentemente determinato dal mancato deposito della consulenza tecnica oltre che dall’adesione delle parti all’astensione degli avvocati, anziche’ a fatti addebitabili all’ufficio. Si tratta dunque di valutazione di merito, per di piu’ non ben censurato poiche’ contrastata con doglianza generica e non calibrata sulle argomentazioni (e cio’ indipendentemente dal merito delle stesse) svolte dalla Corte di Appello. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 700,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011

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