LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.F. (c.f. *****), G.A. (C.F.
*****), L.A.R. (C.F. *****), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 4 3, presso l’avvocato CORVASCE FRANCESCO, rappresentati e difesi dall’avvocato FREDDI ROMOLO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
BANCO POPOLARE DELL’ADRIATICO S.P.A. (p.i. *****), per atto di fusione per concentrazione delle Banche Popolari Pesarese e Ravennate ed Abruzzese Marchigiana, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L., BISSOLATI 76, presso l’avvocato SPINELLI GIORDANO TOMMASO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RONCONI PAOLO, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 451/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/06/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato AMJTRANO MARGARETH, per delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato FASOLA ENRICA, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata che ha concluso per il rigetto eccezione preliminare, inammissibilita’ del primo motivo, assorbiti il secondo e terzo motivo, accoglimento per quanto di ragione del quarto motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 21 giugno 2004, la Corte d’appello di Ancona respinse l’appello proposto dai signori L.F., L.A. e G.A. avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro, che aveva respinto la loro opposizione al decreto ingiuntivo notificato dalla Banca Popolare Pesarese e Ravennate soc. coop. a r.l., alla quale era subentrata in corso di causa a seguito di fusione con altra banca, la Banca Popolare dell’Adriatico s.p.a Gli appellanti erano stati escussi quali fideiussori della Imex Coop. Mare a r.l., per il pagamento di L. 195.158.692, oltre agli accessori, somme imputate in parte a scoperto di conto corrente, in parte a finziamenti in moneta estera e in parte a ricevute bancarie salvo buon fine, scadute e non pagate, oppure non ancora scadute.
Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorrono i soccombenti, con atto affidato a tre motivi notificato il 19 settembre 2005, illustrato anche con memoria.
La banca resiste con controricorso notificato il 28 ottobre 2005, e con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’eccezione d’inammissibilita’ del ricorso per nullita’ della procura a margine, siccome non specifica a causa del riferimento altresi’ “ad eventuali gradi successivi” e ad “eventuali opposizioni” e’ infondata, essendo la specificita’ della procura adeguatamente assicurata dalla sua collocazione nell’atto e dal contesto (cfr.
Cass. febbraio 2006 n. 2340; 4 aprile 2002 n. 4800; 4 giugno 1999 n. 5519; 9 luglio 1983 n. 4667; 15 giugno 1981 n. 3884; 9 luglio 1980 n. 4376; 26 novembre 1979 n. 6184).
Con il primo motivo di ricorso si censura, per violazione delle norme in tema di scritture private e di efficacia delle scritture contabili contro l’imprenditore, per violazione delle norme sulla disponibilita’ e la valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.) e per vizi ci motivazione, l’affermazione della corte territoriale, che il consulente tecnico avrebbe verificato il modo in cui la banca era pervenuta alla determinazione del saldo di conto corrente per il quale aveva agito.
Con il secondo motivo si censura, per violazione degli artt. 1374 e 1375 (integrazione del contratto e ed esecuzione del medesimo in buona fede), e per vizi di motivazione, l’affermazione dell’infondatezza delle ragioni addotte dagli appellanti a sostegno dell’illegittimita’ ed arbitrarieta’ delle ragioni con le quali la banca aveva sostenuto la buona fede nel compimento delle sue operazioni credito.
I due quesiti di diritto sono svolti senza la necessaria distinzione tra pretese violazioni di norme di diritto sostanziale e processuale (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), quantunque i requisiti di ammissibilita’ delle censure siano nei due casi diversi (peraltro la violazione dell’art. 116 c.p.c., secondo la costante giurisprudenza di questa corte sarebbe apprezzabile esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione); e senza illustrazione delle ragioni per le quali singole affermazioni dell’impugnata sentenza si porrebbero in contrasto con le norme di diritto sostanziale inizialmente e genericamente invocate.
Quanto poi ai denunciati vizi di motivazione, nei motivi manca l’indicazione precisa del fatto controverso al quale il vizio di motivazione si riferisce, costituente la necessaria premessa all’illustrazione della decisivita’ del punto, richiesta dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A maggior ragione non si rinviene l’esposizione delle ragioni per le quali la motivazione, sui singoli punti di cui s’e’ detto, sarebbe omessa, o insufficiente in relazione a puntuali argomenti svolti nelle scritture difensive, richiamate con l’indicazione degli elementi di riscontro negli atti del giudizio d’appello; o ancora contraddittoria con altre affermazioni della medesima sentenza, irrilevante essendo peraltro, ai fini del mezzo d’impugnazione di legittimita’, l’allegata contraddittorieta’ con altri elementi del processo; o delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
I ricorrenti si limitano ad invocare il contenuto di documenti neppure riprodotti nel ricorso, e il cui apprezzamento e’ in ogni caso sottratto alla corte di legittimita’, oppure svolgono, in modo cumulativo e indifferenziato, argomenti attinenti alla mera valutazione delle prove – di cui s’e’ gia’ detto che possono trovare ingresso esclusivamente negli stretti limiti posti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – o ancora propongono ricostruzioni del fatto alternative a quella fatta propria dal giudice territoriale, cosi’ traducendosi in ogni caso in censure di merito inammissibili.
Con il terzo motivo si censura per violazione dell’art. 2697 c.c., e per vizi di motivazione, l’affermazione che la consulenza tecnica sarebbe stata validamente assunta, e che essa non sarebbe stata contestata tempestivamente.
La censura e’ inammissibile laddove sostiene; il carattere esplorativo del quesito, che nel ricorso non e’ riprodotto e in relazione al quale conseguentemente la tesi in questione, pur motivatamente respinta dalla corte territoriale, non e’ in alcun modo illustrata.
Inammissibile per la sua genericita’ e’ la denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., giacche’, mentre si deduce che il consulente avrebbe acquisito al di fuori del contraddittorio delle prove favorevoli alla banca, non si precisa quali prove, e specificamente quali documenti, illegittimamente acquisiti al giudizio, la corte di merito avrebbe posto a fondamento della decisione.
Erroneamente invece la censura concernente la mancata tempestiva contestazione della relazione di consulenza, diffusamente svolta dai ricorrenti, e’ posta sotto la rubrica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 invece che n. 4, dal momento che nell’esame delle violazioni delle regole del processo questa torte e’ giudice del fatto, e puo’ accedere direttamente agli atti del processo per accertare la nullita’ denunciata, sempre che la censura sia stata formulata correttamente, e quindi con l’illustrazione (qui mancante) della nullita’ del procedimento o della sentenza impugnata che ne sia derivata, per essere stata decisivamente condizionata dal vizio di procedimento.
Infine il vizio di motivazione poteva legittimamente appuntarsi esclusivamente sull’influenza che documenti illegittimamente acquisiti al processo avessero avuto sulla decisione, previa loro identificazione e con l’illustrazione della decisivita’ medesima;
cio’ che non si e’ verificato nel caso in esame.
In conclusione il ricorso e’ inammissibile. Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come in motivazione, sono a carico dei soccombenti.
P.Q.M.
LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile, e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate; in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il 17 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011