LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.M. ***** rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Smiroldo Antonino e Amedeo De Maio ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via U. Boccioni, n. 4;
– ricorrente –
contro
PU.Ma., P.E. e P.A., quali eredi di M.M.C., rappresentati e difesi dall’Avv. Petrosino Mario, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Marco Della Lunga in Roma, via Fogliano, n. 4;
– controricorrenti –
Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 82/2005, depositata il 14 gennaio 2005;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18 novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito l’Avv. Alfredo Di Natale per delega dei difensori costituiti nell’interesse dei controricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 7 dicembre 1996 la sig.ra M.M.C. convenne in giudizio dinanzi alla Pretura circondariale di Verona il sig. P.M. chiedendo la condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di L. 13.994.000, oltre interessi, a titolo di adempimento dell’obbligo assunto dal convenuto, in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante dell’impresa Pinto s.r.l., di corrisponderle una rendita vitalizia di importo pari al canone di locazione che ella avrebbe dovuto sostenere per procurarsi la disponibilita’ di altro immobile in sostituzione dell’unita’ immobiliare contigua a quella occupata dalla societa’ rappresentata dal P., che la stessa M. si era impegnata a rilasciare. Instauratasi la controversia, nella costituzione del convenuto, il Tribunale di Verona (subentrato alla soppressa Pretura) accolse la domanda con correlata condanna del convenuto al pagamento in favore della M. della somma dedotta in citazione.
A seguito di appello ritualmente interposto da P.M., l’adita Corte di appello di Venezia, nella resistenza degli eredi di M.M.C. (nelle more deceduta) in persona dei sigg.
Pu.Ma., P.E. e P.A., con sentenza n. 82 del 2005 (depositata il 14 gennaio 2005), respingeva la proposta impugnazione, confermando la gravata decisione, e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata sentenza la Corte di appello di Venezia, respinta in via pregiudiziale l’eccezione di difetto di legittimazione passiva degli appellati quali eredi della M. M.C., evidenziava che, dalle prove acquisite, la pretesa dedotta in giudizio dalla stessa M. trovava effettivo fondamento nel negozio intervenuto fra le parti e che l’adempimento dell’obbligazione per intero ben avrebbe potuto essere richiesto nei confronti del P. in proprio, in quanto obbligato solidale unitamente alla Pinto s.r.l., dallo stesso P.M. legalmente rappresentata. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il P.M., articolato su tre motivi, al quale hanno resistito con controricorso gli intimati Pu.
M., P.E. e P.A., nella gia’ dedotta qualita’ di eredi della M.M.C.. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 372 c.p.c. sul presupposto – ritenuto erroneo – che la Corte territoriale aveva affermato che la documentazione allegata in atti dalle controparti fosse idonea e sufficiente a comprovare la loro qualita’ di eredi della defunta M.M. C..
1.1. Il motivo e’ infondato e deve, pertanto essere rigettato.
Rileva il collegio che la supposta violazione del richiamato art. 372 c.p.c. e’ inesistente per la semplice ragione che i controricorrenti avevano comprovato, gia’ direttamente nel corso del giudizio di appello, la loro qualita’ di eredi della originaria attrice M.M.C., in sostituzione della quale si erano, percio’, costituiti, senza, pertanto, procedere alla relativa produzione di alcuna documentazione al riguardo in questa fase di legittimita’, nella quale il citato art. 372 c.p.c. consente, peraltro, il deposito di atti che concernono soltanto la nullita’ della sentenza impugnata e l’ammissibilita’ del ricorso e del controricorso. Invero, la Corte territoriale, con apprezzamento adeguatamente motivato (e, quindi, insindacabile in questa sede), ha rilevato che la documentazione versata tempestivamente agli atti del giudizio di appello dagli attuali controricorrenti (ovvero il certificato di morte della suddetta M. e la copia della denuncia di successione) costituiva prova pienamente idonea a suffragare la loro qualita’ di eredi dell’appellata (la quale, oltretutto, potrebbe, in generale, essere offerta, in ambito processuale, anche mediante la produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta’: cfr. Cass. 6 luglio 2009, n. 15803), senza che il P., nel contestare tale prospettazione, fosse stato in grado di confutare le acquisite risultanze documentali.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente o inadeguata motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nella parte in cui con la medesima era stato ritenuto che il contratto stipulato il ***** tra lo stesso ricorrente e la defunta M.P.M.C. dovesse essere considerato un contratto di rendita vitalizia, con l’insorgenza del conseguente obbligo per lo stesso P. di corrispondere i canoni di locazione dell’immobile sostitutivo fino alla cessazione del predetto rapporto locatizio, verificatosi in conseguenza dell’anticipato recesso esercitato al riguardo dalla conduttrice.
2.1. Anche questo motivo non e’ meritevole di pregio per cui deve essere respinto.
Il ricorrente, con il motivo in esame, ha, in effetti, travisato il contenuto della motivazione della sentenza impugnata con la quale, in modo logico e sufficiente, la Corte territoriale – malgrado l’impropria impostazione della clausola relativa agli obblighi assunti dal ricorrente – non ha affatto ritenuto che il contratto dedotto in giudizio fosse costitutivo di una rendita vitalizia, avendo adeguatamente spiegato che, sulla scorta dello stesso contratto, scaturiva sia a carico della Pinto s.r.l. che del P. M. personalmente un’obbligazione di rimborso dei canoni di locazione relativi all’immobile “sostitutivo” offerto alla M. in cambio dell’unita’ immobiliare contigua a quella occupata dalla societa’ rappresentata dal P., che la stessa M. si era impegnata a rilasciare. L’obbligazione assunta dal P. (nella duplice qualita’ di legale rappresentante della suddetta societa’ ed in proprio) era, quindi, da ritenersi riconducibile al pagamento dei canoni per la durata del rapporto locatizio che la M. aveva dovuto stipulare per rendere libero il precedente immobile e soddisfare le esigenze del P., per come risultanti dalla convenzione con il medesimo conclusa. E, proprio in virtu’ di questa corretta ricostruzione, la Corte veneziana ha evidenziato come la domanda originaria della M. fosse, in effetti, stata proposta per l’ottenimento dei canoni versati fino al rilascio dell’immobile “sostitutivo”, avvenuto nel 1996, per sopravvenuto recesso anticipato giustificato dal rapporto locatizio esercitato dalla stessa M. (circostanza non contestata) per la sua necessita’ di ricovero presso una casa di riposo e, di conseguenza, la Corte territoriale ha logicamente ritenuto che l’azione esercitata, relativa appunto al recupero dei canoni corrisposti dal 1994 al 1996, trovasse pieno titolo proprio nel contratto concluso tra le parti.
La deduzione formulata dal ricorrente in ordine alla mancata dimostrazione dell’effettivo pagamento dei canoni ad opera della M. (dei quali ella aveva invocato il rimborso con la formulata domanda giudiziale) configura una questione nuova ed implica un accertamento di fatto che e’ inammissibile in questa sede di legittimita’; peraltro, sulla scorta della sentenza impugnata, non si evince che tale aspetto avesse costituito oggetto di contestazione tra le parti (i controricorrenti, oltretutto, hanno riferito, sul punto, che la prova dell’avvenuto pagamento delle relative somme era stata offerta nel giudizio di primo grado con la produzione di apposta documentazione bancaria).
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha prospettato l’omessa o inadeguata motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) nella parte in cui la sentenza impugnata aveva del tutto omesso di prendere in esame – e, quindi, considerare – il certificato di chiusura del fallimento della ditta Pinto s.r.l..
3.1. Anche quest’ultima censura e’ destituita di fondamento e va, quindi, rigettata. La Corte di appello di Venezia ha, in proposito, adeguatamente rilevato che, sulla scorta del chiaro tenore della scrittura sulla quale era stata fondata la domanda, era evincibile che l’obbligazione del pagamento dei canoni dell’immobile “sostitutivo” venne assunta dal P. sia per conto della societa’ da lui rappresentata che a titolo personale, ragion per cui egli, in quest’ultima qualita’, poteva essere chiamato ad adempiere per l’intero quale obbligato in solido (non risultando diversamente disposto: v. art. 1294 c.c.), diventando, percio’, ininfluente la circostanza dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della Pinto s.r.l. . La Corte territoriale non ha, quindi, omesso di prendere in considerazione quest’ultima vicenda, avendola soltanto ritenuta irrilevante, dal momento che il P. si era obbligato, nel suddetto contratto concluso con la signora M., anche personalmente e, in quanto tale, era, comunque, tenuto all’adempimento dell’obbligazione assunta nei confronti della M. stessa.
4. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2011