LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17543/2006 proposto da:
S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE B. BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato D’ALESSIO Antonio, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
D.G.G. *****;
– intimato –
sul ricorso 21620/2006 proposto da:
D.G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 8, presso lo studio dell’avvocato BIASIOTTI MOGLIAZZA GIOVANNI FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAMBARDELLA DANIELA giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
contro
S.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 4743/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Sezione Prima Civile, emessa l’11/11/2005, depositata il 07/11/2005, R.G.N. 12273/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 28/09/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;
udito l’Avvocato ANTONIO D’ALESSIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 31 maggio 2006 S.G. ha proposto un motivo di ricorso per cassazione contro la sentenza 11 ottobre – 7 novembre 2005 n. 4743 della Corte di appello di Roma che, in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Roma, lo ha condannato a pagare a D.G.G. la somma di Euro 10.000,00, in risarcimento di danni conseguenti a diffamazione.
Resiste con controricorso il D.G., proponendo tre motivi di ricorso incidentale condizionato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi (art. 335 cod. proc. civ.).
2.- La vertenza trae origine dal fatto che il rag. D.G., dirigente e capo servizio dell’Agenzia centrale della s.p.a.
Assitalia, è stato licenziato dalla società, per avere ingiustificatamente favorito un procacciatore di affari (s.r.l.
Assibroker), corrispondendo provvigioni non dovute per l’importo di oltre L. 37 milioni.
La lettera di licenziamento contestava al D.G. anche la circostanza – riferita da S.G., capo ufficio contabile dell’agenzia e dipendente del D.G. – che quest’ultimo gli aveva consegnato a mano una busta chiusa, contenente L. 2.000.000, quale donativo proveniente da Assibroker: denaro che lo S. aveva rifiutato.
Il D.G. ha impugnato il licenziamento davanti al giudice del lavoro ed ha restituito ad Assitalia le provvigioni pagate in eccesso, attribuendo il pagamento ad un errore.
Nelle more del processo è sopraggiunta una transazione, tramite la quale Assitalia ha riconosciuto l’insussistenza dei motivi per il licenziamento ed il rapporto di lavoro è stato risolto consensualmente, con la corresponsione al dirigente delle indennità di fine rapporto.
Il D.G. ha querelato per diffamazione lo S. e – dichiarato estinto per amnistia il processo penale – ha proposto al Tribunale di Roma domanda di risarcimento dei danni contro lo S., attribuendo alle dichiarazioni dello stesso la causa dell’interruzione del rapporto di collaborazione con Assitalia.
Il Tribunale ha rigettato la domanda.
La Corte di appello di Roma, in riforma, ha ravvisato gli estremi della diffamazione, sul rilievo che le dichiarazioni rese dallo S. ad Assitalia – il cui tenore non è contestato – hanno di per sè valenza offensiva e che non è stata fornita alcuna prova della verità del fatto.
Ha però escluso che la vicenda abbia provocato al D.G. alcun danno patrimoniale, dovendosi la risoluzione del rapporto con Assitalia addebitare ad irregolarità commesse dal D.G. nella gestione dei rapporti con Assibroker, ed ha equitativamente quantificato in Euro 10.000,00 i danni non patrimoniali.
4.- Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione di legge (cioè degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., art. 596 cod. pen. e art. 116 cod. proc. civ.), nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia attribuito valenza diffamatoria alla dichiarazione da lui resa ad Assitalia, sebbene egli si sia limitato a riferire un fatto realmente accaduto, senza formulare alcun rilievo offensivo, e sebbene la controparte non abbia fornito alcuna prova della non veridicità dell’episodio.
Assume poi che è contraddittorio avere emesso condanna a suo carico al risarcimento dei danni, dopo avere premesso che il licenziamento del D.G. non era stato determinato dalle sue dichiarazioni, ma dalle irregolarità compiute da quest’ultimo nella gestione dei rapporti con Assibroker.
4.1.- Il motivo non è fondato.
La questione controversa concerne l’individuazione della parte su cui grava l’onere di fornire la prova della veridicità del fatto riferito dallo S. ad Assitalia, cioè che il D.G. gli aveva offerto una somma di denaro proveniente da Assibroker.
Il ricorrente, equivocando fra onere della prova della diffamazione – che grava sul danneggiato – ed onere della prova della veridicità addebitato al D.G., assume che quest’ultimo avrebbe avuto l’onere di dimostrare di non avergli mai offerto buste contenenti somme di denaro.
Correttamente ha rilevato la Corte di appello che la prova della diffamazione è stata nella specie acquisita, poichè: a) è certo ed incontestato che lo S. ha reso ad Assitalia la dichiarazione incriminata; b) l’episodio riferito ha di per sè valenza offensiva poichè, nel contesto dei rapporti in corso fra D.G., Assibroker e S., l’offerta della busta con il denaro veniva inequivocabilmente ad assumere il significato di un tentativo di corruzione, diretto a far sì che lo S. – capo contabile dell’agenzia – avallasse l’indebita erogazione di provvigioni in favore di Assibroker.
A fronte di tale oggettiva valenza offensiva e della recisa contestazione da parte dell’accusato della rispondenza a verità del fatto riferito, avrebbe dovuto lo S. dimostrare le circostanze idonee a giustificare il suo comportamento, per esimersi da responsabilità: cioè che l’episodio si è effettivamente verificato e che egli aveva il diritto di riferirlo ad Assitalia.
La seconda circostanza non è messa in dubbio e non costituisce oggetto di controversia.
La prima avrebbe dovuto essere dimostrata da chi ha formulato l’addebito, come ha deciso la sentenza impugnata.
L’opposta tesi del ricorrente porterebbe ad affermare una sorta di principio inquisitorio anche nei rapporti fra privati, per cui chiunque potrebbe impunemente addebitare ad altri comportamenti illeciti o riprovevoli, mettendo l’accusato nella condizione di doverne dimostrare la non veridicità (per di più con tutte le difficoltà inerenti alla prova di un comportamento negativo).
4.2.- Neppure è ravvisabile contraddittorietà della motivazione, quanto alla liquidazione dei danni.
La Corte di appello ha escluso che l’illecito abbia causato al danneggiato danni patrimoniali, ed ha attribuito al D.G. la somma di Euro 10.000,00 in risarcimento dei danni consistenti nella lesione dell’onore e della reputazione, facendo così inequivocabilmente (pur se implicitamente) riferimento alle conseguenze non patrimoniali dell’illecito, che nella specie sono indubbiamente configurabili, a prescindere dagli effetti patrimoniali.
5.- Il ricorso incidentale, proposto condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, risulta assorbito.
5.- Considerate la natura della controversia e le ragioni della decisione, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2011