LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2106-2008 proposto da:
P.R. (C.F. *****), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANGELO EMO 106, presso l’avvocato MATTA MAFALDA, rappresentata e difesa dagli avvocati QUATTROMINI GIULIANA, QUATTROMINI PAOLA, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA depositato il 23/04/2007, n. 57102/05 R.G.A.D.;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2010 dal Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte:
FATTO E DIRITTO
Rilevato:
che P.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Roma, depositato in data 23.4.07, con cui veniva rigettato il ricorso ex L. n. 89 del 2001 per l’eccessiva durata di un procedimento in materia di lavoro svoltosi in primo grado per la durata di circa 6 anni;
che il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso;
OSSERVA:
Il decreto impugnato, rilevato che il giudizio presupposto era durato circa sei anni, ha ritenuto che sulla base di una durata ragionevole di anni tre lo stesso avesse avuto in astratto un ritardo non giustificato,salvo ritenere che da detto ritardo dovessero detrarsi 32 mesi addebitargli alla parte, in particolare per la mancata comparizione dei testi nonostante la loro citazione. Residuavano pertanto solo quattro mesi di ritardo che la Corte ha ritenuto non avessero dato luogo ad alcun patimento morale. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente contesta l’avvenuta detrazione del periodo di 32 mesi dalla durata eccessiva del processo, sostenendo che tale lasso di tempo non è ad essa addebitabile, essendo stati chiesti i rinvii, giustificati dalla mancata comparizione dei testi ovvero dall’esigenza di disporre il loro accompagnamento coattivo e dalla necessità di disporre ricerche anagrafiche.
Il motivo è fondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che dalla durata del processo sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando addebitagli gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducigli alla fisiologia del processo.
(Cass 11307/10).
Nel caso di specie non si rinviene nel decreto impugnato alcuna adeguata motivazione nel senso indicato di un comportamento dilatorio delle parti. In particolare,,non basta che la parte richieda un rinvio perchè questo sia reputato a fini dilatori. Molti rinvii possono essere, infatti, richiesti per esigenze processuali ed istruttorie del tutto necessarie e giustificate ovvero per l’impossibilità di effettuare alcune attività od incombenti richiesti. Nel caso di specie non è dubbio che i rinvii chiesti per l’espletamento della prova testimoniale non potuta espletare a causa della mancata comparizione dei testi, nonostante che questi fossero stati regolarmente citati, non siano addebitabili ad un comportamento dilatorio della parte essendo pienamente giustificati da esigenze istruttorie. Il motivo va pertanto accolto.
Va, invece, rigettato il secondo motivo, con cui si contesta il calcolo della durata ritenuta ragionevole in anni tre, essendosi la Corte d’appello attenuta ai parametri Cedu.
E’,infatti,noto che i termini stabiliti dalla Cedu non sono rigidi ma costituiscono dei criteri di riferimento che possono quindi essere, entro certi limiti, adattati con valutazione del giudice al caso concreto, e che la natura previdenziale o di lavoro di una causa non comporta di per sè l’applicazione di un termine di durata ragionevole ridotto, dipendendo tale determinazione pur sempre dalla valutazione della complessità della causa rimessa al giudice.
Pertanto il ricorso va accolto per quanto di ragione con conseguente cassazione del decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con la condanna del Ministero al pagamento dell’equo indennizzo liquidato in Euro 2900,00 in favore della ricorrente sulla base di un ritardo di anni 3 e mesi otto e di una liquidazione di Euro 750 per i primi tre anni di ritardo ed Euro mille per i successivi, oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo e con distrazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione,cassa il decreto impugnato in ragione della censura accolta e, recidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 2900,00 in favore della ricorrente oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 600,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito liquidate in Euro 378,00 per diritti, in Euro 445,00 per onorari ed Euro 50,00 per spese oltre spese generali ed accessori di legge. Spese tutte da distrarsi in favore degli avv.ti Giuliana e Paolo Quattromini.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011