LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –
Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –
Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18189-2007 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VIGNA PIA 60, presso lo studio dell’avvocato PUPETTI IVAN, rappresentato e difeso dall’avvocato MORGANTI ALESSANDRA, giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COOPERATIVA DI SOLIDARIETA’ SOCIALE AMA – AQUILONE A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO CASTELNUOVO 60, presso lo studio dell’avvocato ALFIERI UMBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORI ANTONIO, giusta delega in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 69/2007 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 26/03/2007 R.G.N. 346/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;
udito l’Avvocato ALFIERI UMBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI COSTANTINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
A.A. chiede la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 27 marzo 2007, che ha respinto l’appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Ascoli Piceno aveva respinto il ricorso dell’ A. nei confronti della Cooperativa AMA Aquilone coop. Sociale arl onlus.
La domanda era volta ad ottenere: 1) la condanna della cooperativa al pagamento delle differenze retributive conseguenti al riconoscimento di una qualifica superiore di educatore; 2) la declaratoria di illegittimità del licenziamento a seguito di contestazione disciplinare del 2 luglio 2002 con il conseguente ripristino del rapporto di lavoro, nonchè 3) la declaratoria di illegittimità della esclusione da socio con condanna al relativo risarcimento del danno.
La Corte ha confermato il rigetto di tutti e tre i capi della domanda.
Il ricorso per cassazione dell’ A. è articolato in quattro motivi. La cooperativa si difende con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso si denunzia un vizio di motivazione “contraddittoria” in ordine al rigetto della domanda relativa alle differenze retributive conseguenti alle pretese mansioni superiori.
Nella esposizione della censura ci si limita formulare critiche alla valutazione del giudice sulla ammissibilità della prova testimoniale, senza spiegare nè qual è il fatto controverso, nè il perchè della sua decisività e soprattutto senza spiegare in cosa consiste la contraddittorietà di una motivazione che, invece, risulta coerente e priva di incongruenze. Ci si limita ad adombrare che la prova sul punto ritenuta dal giudice generica in realtà non lo fosse, ma non si va al di là di una diversa valutazione di merito della questione e di una censura ancora una volta generica.
Il secondo motivo riguarda ancora un vizio di motivazione contraddittoria, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto fondato l’addebito del comportamento scorretto nell’ambito dei rapporti bancari, addebito che è alla base del licenziamento disciplinare. La contraddizione sarebbe tra la tesi sostenuta dalla Corte e la motivazione della sentenza di primo grado.
Anche questo motivo è inammissibile, perchè non si spiega qual è il fatto controverso, ma si censura una valutazione della Corte e perchè la contraddizione indicata non è interna alla sentenza impugnata, ma riguarda il rapporto tra sentenza di primo e di secondo grado.
Infine, si critica la decisione per non aver tenuto conto di una comunicazione della banca, che però non viene indicata nei suoi estremi.
In un secondo paragrafo (lett. b) del motivo si sostiene che il giudice avrebbe errato nel ritenere, nonostante l’ambiguità dell’episodio del passaggio di denaro da un paziente al ricorrente, che la sanzione del licenziamento fosse comunque da convalidare.
Anche sul punto la motivazione della Corte, che si assume errata, non concerne l’esistenza di un fatto, ma la sua valutazione e quindi attiene al merito della decisione, nè vengono segnalati specifiche incongruenze nel ragionamento della Corte.
Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 421 c.p.c., in quanto la Corte ha ritenuto inammissibile un documento depositato solo in sede di discussione nel giudizio di appello.
Anche questo motivo è infondato perchè la Corte ha motivato con precisione il perchè della tardività della produzione documentale, della insussistenza di elementi che potessero indurre ad acquisire comunque il documento e, quindi, della scelta di non acquisirlo nell’esercizio dei poteri officiosi; mentre imprecisi e generici sono le osservazioni critiche del ricorrente.
Con il quarto motivo si sostiene che il giudice di merito avrebbe omesso l’applicazione dell’art. 19 del regolamento interno, ai fini della valutazione della legittimità dell’atto di esclusione del socio, il tutto con affermazione apodittica, affidata a sei righe del ricorso a fronte della estrema complessità del tema, affrontato dalla decisione impugnata con una motivazione articolata e complessa.
Il ricorso, pertanto, deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della controparte, liquidandole in 35,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011