Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.340 del 10/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato Di Lonardo Virgilio per procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Basento n. 37, presso lo studio dell’Avvocato Pietro Gerardi;

– ricorrente –

avverso il provvedimento del Tribunale di Melfi in data 20 gennaio 2009 (proc. n. 364/08 V.G.);

Udita, la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. PETITTI Stefano;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto la rimessione in termini per la proposizione del ricorso nelle forme del rito civile.

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che l’Avvocato P.A., assumendo di avere svolto attività difensiva in favore di un imputato ammesso al Patrocinio a spese dello Stato, ha chiesto al Tribunale di Melfi la liquidazione dei compensi a lei spettanti;

che l’adito Tribunale ha liquidato la somma di Euro 993,38 oltre IVA e CPA;

che avverso detto provvedimento l’Avvocato P. ha proposto opposizione al Presidente del Tribunale di Melfi, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 84 e 170 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia);

che il giudice delegato al giudizio di opposizione, con ordinanza depositata il 20 gennaio 2009, ha rigettato il ricorso sul rilievo che la liquidazione degli onorari era analitica e dettagliata in ogni sua singola voce, mentre le ulteriori attività per le quali la ricorrente aveva richiesto la liquidazione, non risultavano provate;

che per la cassazione di detta ordinanza l’Avvocato P. ha proposto ricorso, con atto non notificato ad alcuno e depositato nella cancelleria del giudice a quo il 6 febbraio 2009;

che il ricorso è affidato a tre motivi – privi del conclusivo quesito di diritto ex art. 366-bis cod. proc. civ. (ratione temporis applicabile) – con il quale si denuncia inosservanza della legge processuale, violazione di legge e vizio di motivazione.

Considerato che l’orientamento largamente prevalente della giurisprudenza di questa Corte al momento della introduzione del presente ricorso per cassazione – formatosi sia nel vigore della L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria) e della L. 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), che dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – era basato sulla natura secondaria e collaterale del procedimento di opposizione rispetto a quello principale nel quale è emesso il provvedimento di liquidazione, con la conseguenza che, se la liquidazione era effettuata dal pubblico ministero o dal giudice penale, l’opposizione doveva essere trattata in sede penale ed il ricorso per cassazione proposto nelle forme e secondo i termini del rito penale, mentre se la liquidazione era fatta dal giudice civile l’opposizione doveva essere proposta in sede civile e decisa con provvedimento suscettibile di ricorso per cassazione da proporre in base alle regole procedurali proprie del rito civile (Cass., sez. un. pen., 26 maggio 1989-11 luglio 1989, Medea; Cass., sez. un. pen., 24 novembre 1999-6 dicembre 1999, Di Dona; Cass., sez. un. civ., 14 giugno 2000, n. 434; Cass., sez. 2 civ., 25 maggio 2001, n. 7136;

Cass., Sez. 2 civ., 26 novembre 2001, n. 14934; Cass., Sez. 1 civ., 15 novembre 2003, n. 15377; Cass., Sez. 3 civ., 28 febbraio 2008, n. 5301; Cass., sez. 4 pen., 17 febbraio 2009-7 aprile 2009, Caminiti);

che, successivamente alla proposizione della presente impugnazione, le Sezioni unite civili di questa Corte (sentenza 3 settembre 2009, n. 19161), chiamate a risolvere un contrasto di giurisprudenza in ordine alla qualificazione del vizio derivante dal mancato rispetto della sede civile della decisione dell’opposizione, hanno stabilito che qualora l’ordinanza che decide l’opposizione sia stata adottata da un giudice addetto al servizio penale, si configura una violazione delle regole di composizione dei collegi e di assegnazione degli affari, che non determina nè una questione di competenza nè una nullità, ma può giustificare esclusivamente conseguenze di natura amministrativa o disciplinare; ed hanno inoltre affermato, innovando il precedente orientamento, che (a) spetta sempre al giudice civile la competenza a decidere sulle opposizioni nei confronti dei provvedimenti di liquidazione dell’onorario del difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato (o di persone ammesse al programma di protezione), dei compensi agli ausiliari dei giudici e delle indennità ai custodi, anche quando emessi nel corso di un procedimento penale, e che (b) l’eventuale ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide sull’opposizione va proposto, nel rispetto dei termini e delle forme del codice di rito civile, dinanzi alle sezioni civili della Corte;

che, in relazione a fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto:

“Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza preclusiva l’errore della parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata, al tempo della proposizione dell’impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non richiesto al momento del deposito dell’atto di impugnazione, discenda dall’overruling; il mezzo tecnico per ovviare all’errore oggettivamente scusabile è dato dal rimedio della rimessione in termini, previsto dall’art. 184-bis cod. proc. civ. (ratione temporis applicabile), alla cui applicazione non osta la mancanza dell’istanza di parte, dato che, nella specie, la causa non imputabile è conosciuta dalla Corte di cassazione, che con la sua stessa giurisprudenza ha dato indicazioni sul rito da seguire, ex post rivelatesi non più attendibili” (Cass., ord. n. 14627 del 2010);

che, in applicazione di tale principio, che il Collegio condivide, la ricorrente va, d’ufficio, rimessa in termini, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte assegna, alla parte ricorrente:

a) il termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza per proporre e notificare ricorso per cassazione secondo le forme del codice di procedura civile;

b) il termine perentorio di giorni venti dalla notificazione per il deposito del ricorso nella cancelleria della Corte.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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