LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 23142-2007 proposto da:
L.C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 95, presso lo studio dell’avvocato PALUMBO FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ABATE ADRIANO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
INGEGNERE MARIO NUTI – IMPRESA GENERALE DI COSTRUZIONI S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 92, presso lo studio dell’avvocato SILVETTI CARLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5399/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/09/2006 R.G.N. 3633/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;
udito l’Avvocato ABATE ADRIANO;
udito l’Avvocato SILVETTI CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA MARCELLO che ha concluso per: in via principale inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, notificato il 15.7.2004, L.C.V., premesso di aver prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze della “Ing. Mario Nuti – Impresa Generale di Costruzioni s.a.s.” dal 1 marzo 1999, di essere stato licenziato con lettera del 31.1.2003 per asserita riduzione di personale, di avere impugnato il licenziamento con lettera del 6.2.2003, di aver comunicato alla società con lettera del 4.3.2003 la volontà di optare, in luogo del ripristino del rapporto di lavoro, per la corresponsione dell’indennità sostitutiva di quindici mensilità, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, esponeva che la società datoriale, la quale in esito alla sua impugnativa aveva proceduto alla revoca del disposto licenziamento, aveva frapposto un esplicito diniego alla sua richiesta di corresponsione di detta indennità sostitutiva. Ritenendo l’illegittimità di tale condotta chiedeva che il giudice adito volesse dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatogli, in quanto privo di giusta causa o giustificato motivo oggettivo, e volesse condannare la società alla erogazione della chiesta indennità.
Con sentenza in data 24/28.2.2005, il Tribunale adito accoglieva la domanda condannando la società datoriale al pagamento della somma di Euro 21.781,20, per la causale suddetta.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società “Ing. Mario Nuti – Impresa Generale di Costruzioni s.a.s.” lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 23.6/11.9.2006, accoglieva il gravame e per l’effetto rigettava le domande originariamente proposte dal lavoratore.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione L.C. V. con un motivo di impugnazione.
Resiste con controricorso la società intimata.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Col predetto motivo di ricorso si lamenta violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5; vizio di motivazione (illogica, insufficiente, contraddittoria).
In particolare rileva il ricorrente che, siccome stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 8015 del 12.6.2000, il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato ad ottenere, in luogo della reintegrazione nel luogo di lavoro, la suddetta indennità sostitutiva, configura un’obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore, che deriva dall’illegittimità del licenziamento e sorge contemporaneamente al diritto alla reintegrazione, senza necessità di un ordine giudiziale che la disponga. Di conseguenza deve ritenersi irrilevante la revoca del licenziamento e la circostanza che la stessa sia intervenuta prima dell’impugnativa giudiziale; pertanto erroneamente la Corte territoriale, pur escludendo la necessità di un ordine giudiziale di reintegra, aveva ritenuto la necessità dell’esercizio di una azione giudiziale di impugnativa del licenziamento, assumendo altresì la inammissibilità dell’esercizio del diritto di opzione per essere la revoca intervenuta prima dello spirare del termine di preavviso.
Il ricorso è fondato.
Rileva il Collegio che l’indennità prevista dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 5, nel testo modificato dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 1, è configurata come prestazione che si inserisce, in connessione con il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro che deriva dalla illegittimità del licenziamento, in un rapporto obbligatorio avente la struttura di un’obbligazione con facoltà alternativa – siccome rilevato dal ricorrente – dal lato del creditore, essendo attribuita a prestatore la facoltà insindacabile di “monetizzare” il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari a quindici mensilità di retribuzione.
Posto ciò, non può dubitarsi che, a seguito del licenziamento, il rapporto di lavoro si è risolto; e, poichè come per la costituzione, anche per la ricostituzione del rapporto è necessario il consenso del lavoratore, la revoca dell’atto non può avere, di per sè, l’effetto di ricostituire il rapporto stesso. D’altro canto, nell’ambito della predetta obbligazione con facoltà alternativa (a favore del lavoratore), la scelta (fra reintegrazione od indennità sostitutiva) non potrebbe essere esercitata dal debitore della prestazione. Da ciò la giurisprudenza deduce che la revoca del licenziamento non determina l’estinzione dell’obbligazione in esame;
la facoltà di chiedere l’indennità può essere pertanto esercitata anche ove il licenziamento sia stato revocato dal datore, purchè alla revoca non sia seguito il ripristino del rapporto (Cass. sez. lav., 13.6.2002 n. 8493; Cass. sez. lav., 12.6.2000 n. 8015; Cass. sez. lav., 5.12.1997 n. 12366).
Ed invero questa Corte ha a più riprese posto in rilievo, a sostegno di tale conclusione, che la scelta del lavoratore della monetizzazione del posto di lavoro, correlandosi ad una obbligazione con facoltà alternativa, della quale l’unico oggetto è costituito dalla reintegrazione, presuppone necessariamente l’attualità dell’obbligo di reintegrazione, per cui la richiesta stessa non può essere accolta quando il lavoratore abbia già ripreso servizio, manifestando pertanto in tal modo (e confermando con la prosecuzione dell’attività lavorativa) una volontà incompatibile con la rinunzia alla prosecuzione del rapporto implicita nel suddetto potere di scelta (Cass. sez. lav., 4.11.2000 n. 14426; Cass. sez. lav., 13.8.1997 n. 7581).
Da tale inquadramento della fattispecie emerge il principio secondo cui la “revoca” del licenziamento e l’invito a riprendere servizio (ovvero, siccome verificatosi nella fattispecie, a proseguire nel servizio) non possono sottrarre al prestatore il diritto all’indennità sostitutiva, il cui esercizio verrebbe altrimenti ad essere rimesso di fatto al datore di lavoro.
Tale principio, del resto ha trovato a più riprese espressione nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. sez. lav., 21.12.1995, n. 13047; Cass. sez. lav., 5.12.1997 n. 12366), la quale ha escluso che l’opzione possa essere esercitata nella (sola) ipotesi in cui sia venuta meno l’attualità dell’obbligo di reintegrazione per essere stata ripristinata la funzionalità di fatto del rapporto di lavoro, attraverso una manifestazione, da parte del lavoratore, di una volontà che risulti incompatibile con la rinuncia alla prosecuzione del rapporto stesso, implicita nella dichiarazione di scelta.
Deve invero rilevarsi in proposito che con la disposizione in esame il legislatore ha inteso innegabilmente attribuire all’elemento fiduciario, che connota il rapporto di lavoro, una valenza bidirezionale, nel senso che la rottura di quel vincolo può essere posto a fondamento, per un verso, del licenziamento (per giusta causa) e, per altro verso, del diritto del lavoratore, destinatario di un provvedimento di licenziamento illegittimo, all’attribuzione, in luogo del ripristino del rapporto, dell’indennità sostitutiva L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 5; donde la necessità di una accettazione, esplicita o anche implicita (attraverso – per come detto – un comportamento che sia inequivocabilmente indicativo di una volontà incompatibile con la operata rinuncia alla prosecuzione del rapporto stesso), da parte del lavoratore della suddetta revoca.
Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha evidenziato come il rapporto non si sia mai interrotto, atteso che la revoca era stata manifestata dalla società subito dopo il licenziamento “ed in costanza di rapporto”, essendo stata comunicata, per come riconosciuto dallo stesso lavoratore nella lettera del 4.3.2003, in data 28.2.2003, e quindi antecedentemente anche all’esercizio da parte del lavoratore della opzione predetta: ed è pertanto pervenuta alla conclusione che, non avendo avuto il rapporto lavorativo alcuna soluzione di continuità in considerazione dell’immediata revoca del licenziamento, non poteva trovare applicazione la disposizione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5.
L’assunto in parola non è fondato ove si osservi che la dichiarazione di volontà espressa con l’atto unilaterale di recesso produce il suo effetto con la (legale) conoscenza da parte del destinatario; ed è a questo momento che è necessario riferirsi per valutare l’atto (Cass. sez. lav., 1.9.2006 n. 18911; Cass. sez. lav., 11.6.2006 n. 15678; Cass. sez. lav., 11.6.2008 n. 15945).
Nè ciò muta per il decorso del periodo di preavviso. L’orientamento giurisprudenziale da ultimo prevalente è nel senso della natura obbligatoria e non già reale del preavviso. Questa Corte (Cass. sez. lav., 21.5.2007 n. 11740; in senso conforme, Cass. sez. lav., 5.10.2009 n. 21216) ha infatti escluso che nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso abbia una tale efficacia, che comporterebbe, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine; invece il preavviso non ha efficacia reale, bensì obbligatoria, non incidendo pertanto sull’effetto risolutorio del rapporto di lavoro, già verificatosi.
Ne consegue che a seguito del licenziamento il rapporto di lavoro si è risolto; e, poichè come per la costituzione, anche per la ricostituzione del rapporto è necessario il consenso del lavoratore, la revoca dell’atto non può avere, di per sè, l’effetto di ricostituire il rapporto stesso.
Orbene, nel caso di specie non può ravvisarsi nella condotta del lavoratore, che aveva continuato a prestare la sua attività lavorativa essendo in corso il periodo di preavviso, nessuna adesione, se pur implicita, alla suddetta revoca; anzi, la successiva comunicazione in data 4.3.2003 di volersi avvalere della facoltà di ottenere, in luogo della reintegra, l’indennità sostitutiva ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, evidenzia la volontà di non accettazione della suddetta revoca.
Si impone pertanto, in accoglimento de ricorso, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio della causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione la quale si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati, valutando altresì la legittimità o meno del licenziamento in questione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011