LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –
Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –
Dott. STILE Paolo – Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2519-2007 proposto da:
Z.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. GRAMSCI 28, presso lo studio dell’avvocato FRANCHI MANILIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSELLA MICHELE, giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
COTIFA SOC. COOP. A.R.L. (Società in cui è stata fusa per incorporazione BERGAMASCHI PHARMA S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, circonvallazione CLODIA 88, presso lo studio dell’avvocato ARILLI GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRARA GIANCARLO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 211/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 02/05/2006 R.G.N. 561/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;
udito l’Avvocato MASSELLA MICHELE;
udito l’Avvocato ARILLI GIOVANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI MASSIMO che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 20.2.2003 al Tribunale di Verona Z.A. conveniva in giudizio la società Bergamaschi Pharma s.p.a. e, premesso di aver stipulato in data 14.11.1996 un contratto per l’espletamento del servizio di consegna di prodotti medicinali, chiedeva al giudice adito di accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la convenuta, di accertare l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 13.9.2001 e di condannare la società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, nonchè al pagamento delle differenze retributive, dell’indennità sostitutiva del preavviso. del TFR e del rimborso spese di manutenzione del mezzo di trasporto.
La Bergamaschi Pharma s.p.a. si costituiva e chiedeva il rigetto delle domande assumendo che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro autonomo.
Il Tribunale, espletata l’istruzione, con sentenza n. 158 del 2005, respingeva il ricorso.
L’appello proposto dal sig. Z. veniva respinto dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza depositata il 17 novembre 2006 su rilievo che gli elementi probatori raccolti (nomen iuris del contratto stipulato dalle parti, mancanza di un orario di lavoro, libertà di espletamento delle prestazioni, mancanza di esclusiva, assunzione di un rischio di impresa, compenso variabile in base ai chilometri percorsi, mancanza di significative direttive specifiche) inducevano a ritenere che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro autonomo, pur se continuativo e coordinato.
Per la cassazione di tale sentenza Z.A. ha proposto ricorso con un unico articolato motivo. La società ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 2094 c.c. e artt. 35 e 36 Cost., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che il giudice d’appello non ha fatto corretta applicazione dei criteri legali di distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo ed e incorso in vizi di motivazione nella valutazione degli elementi probatori raccolti, dai quali ha erroneamente dedotto la sussistenza degli elementi sintomatici della autonomia, quali il tipo di contratto concluso, la mancanza di esclusiva, il rischio di impresa, la flessibilità dell’orario di lavoro, la libertà delle modalità di espletamento del servizio. Sostiene per contro il ricorrente che la qualificazione giuridica data dalle parti al rapporto non è elemento sufficiente ad escludere la subordinazione, che il dipendente non aveva assunto alcun rischio di impresa, che nell’espletamento della prestazione era tenuto a consegnare i medicinali alle farmacie della zona in orari determinati e secondo le direttive della società.
La Corte osserva preliminarmente che il ricorso in esame è soggetto al disposto dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile a tutti i ricorsi avverso sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006, come disposto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2. Il citato art. 366 bis è stato abrogato dal D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 47, ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per cassazione presentati avverso sentenze pubblicate prima del 4 luglio 2009 (D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 58).
Il ricorso per cassazione in esame, in ordine alle denunciate violazioni di legge, risulta privo della formulazione dei quesiti di diritto, richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c.. Al riguardo si ricorda che le Sezioni Unite i della Corte, con sentenza n. 20360/2007, confermata dalla successiva giurisprudenza di legittimità, hanno affermato il seguente principio : “II principio di diritto che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta negativa o affermativa che ad essa si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame” (Sez. Un. 20360/2007); è stato altresì ritenuto che il quesito di diritto deve compendiare: a) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice di merito; b) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. n. 19769/2008, Cass. n. 24339/2008), restando escluso che il quesito possa essere desunto dal contenuto del motivo (Sez. Un. 6420/2008).
Inoltre, secondo l’art. 366 bis c.p.c., nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione) l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Le Sezioni Unite della Cassazione al riguardo hanno avuto modo di chiarire che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 20603/2007, n. 4646/2008, n. 16558/2008) ed hanno altresì precisato che la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o insufficiente non può essere desunta dal contenuto del motivo o integrata dai medesimi motivi, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (Sez. Un. 6420/2008). E’ di tutta evidenza, infatti, che la disposizione dell’art. 366 bis relativa all’art. 360 c.p.c., n. 5 non avrebbe alcun significato se si limitasse a prescrivere che dal complesso del motivo di ricorso siano desumibili il fatto controverso ed il vizio logico della motivazione, poichè una siffatta prescrizione è già insita nel menzionato art. 360 c.p.c., n. 5. Nel caso di specie difetta una sintesi idonea a circoscrivere i fatti controversi ed i vizi logici della motivazione, come richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. e dall’autorevole interpretazione delle Sezioni Unite, sicchè le censure non possono essere prese in esame.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per inosservanza del disposto dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
Il ricorrente, di conseguenza, deve essere condannato ai pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in 35,00 Euro per esborsi ed in Euro duemilacinquecento per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011