Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.46 del 03/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15463/2007 proposto da:

L.M.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARZA’ CARMELO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.R.I.A.S. – CASSA REGIONALE PER IL CREDITO ALLE IMPRESE ARTIGIANE SICILIANE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MUSCARA’

SALVATORE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 91/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 22/02/2007 r.g.n. 1612/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/11/2010 dal Consigliere Dott. MELIADO’ Giuseppe;

udito l’Avvocato MUSCARA’ SALVO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 8.2/22.2.2007 la Corte di appello di Catania confermava la sentenza resa dal Tribunale di Catania il 16.11.2004, che aveva rigettato la domanda proposta da L.M.G. per far dichiarare l’inadempimento della Cassa Regionale per il Credito alle Imprese Artigiane (CRIAS) all’obbligo di iscrizione ad un fondo pensione complementare e per l’effetto di condannarsi la stessa ad assolvere a tale obbligo mediante l’iscrizione ad un fondo da individuarsi fra quelli costituiti da intermediari abilitati ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993, con la condanna al risarcimento dei danni, in misura corrispondente all’omissione dei versamenti CRIAS sul Fondo pensione e/o alla perdita di iscrizione al fondo con decorrenza dalla data di assunzione e sino alla effettiva attuazione della tutela previdenziale complementare.

Osservava in sintesi la corte territoriale che la previsione contenuta nel contratto di assunzione a tempo indeterminato di “iscrizione al Fondo pensione CRIAS” riguardava non qualsiasi fondo complementare, ma solo quello al momento in essere e, quindi, restava soggetta alla nuova disciplina normativa sulla previdenza complementare introdotta dal D.Lgs. n. 124 del 1993, che risultava incompatibile con la regolamentazione del fondo CRIAS, tanto che la Cassa aveva provveduto a cancellare i lavoratori, quale il ricorrente, già assunti con contratto di formazione, in quanto “la iscrizione al fondo non assicura(va) l’effettività del trattamento pensionistico integrativo, essendo richiesto un tetto massimo non pensionabile”, ed aveva disposto, con il consenso degli stessi, la restituzione delle somme accumulate presso il fondo cancellato.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso L.M.G. con sei motivi. La CRIAS resiste con controricorso,illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) rilevando che la norma del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 3 risultava perfettamente compatibile con il riconoscimento del diritto dei dipendenti CRIAS assunti con contratto di formazione al trattamento previdenziale complementare, sicchè illegittimamente la Cassa aveva provveduto alla cancellazione dal fondo pensione dei lavoratori iscritti successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina, in luogo che apportare le modifiche da quest’ultima imposte, istituendo per gli stessi un regime a contribuzione definita.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 3, nonchè vizio di motivazione, ed, al riguardo, osserva che il regolamento organico del personale, costituendo la fonte esclusiva di disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti della Cassa, doveva ritenersi inserito fra le fonti istitutive dei fondi complementari, come previsto dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 3, lett. c).

Con il terzo motivo il ricorrente prospetta vizio di motivazione, osservando che la corte territoriale aveva escluso che il diritto alla tutela complementare potesse discendere dalla Delib. del c.d.a.

del 12.5.1997, erroneamente interpretata come una mera dichiarazione di intenti, e non come atto impegnativo.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta ancora vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) osservando che la corte territoriale, con motivazione lacunosa ed erronea, aveva ritenuto che, benchè fosse stata dichiarata, con sentenza passata in giudicato, la nullità del contratto di formazione già instauratosi con la CRIAS, ciò non poteva anche determinare la retrodatazione dell’iscrizione al fondo pensione. Con il quinto motivo prospetta analogo vizio con riferimento alla statuizione relativa al regolamento delle spese, essendo stato applicato il principio della soccombenza, “senza motivarne la ratio”.

Con l’ultimo mezzo, infine, svolto anch’esso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente si duole per l’omessa pronuncia sul motivo di gravame relativo al risarcimento dei danni.

2. Il ricorso è inammissibile poichè, pur trattandosi di sentenza per la quale trova applicazione, ratione temporis, la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l’illustrazione delle censure non si conclude con le formulazioni e le indicazioni prescritte dall’art. 366-bis c.p.c..

Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che il quesito di diritto deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; il che vale quanto dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (cfr., ex plurimis, Cass., sez. un., n. 18759 del 2008; id, n. 3519 del 2008, e altre successive conformi).

3. Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto all’onere della proposizione di una valida impugnazione, in coerenza con i contenuti sopra specificati, poichè, tanto con riguardo al primo che al secondo motivo, i quesiti formulati a conclusione delle censure (rispettivamente del seguente tenore: “La decisione del giudice di merito che ritiene illegittima l’iscrizione al Fondo Pensione complementare avvenuta successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, opera in violazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 8?”; “Se la negazione del Regolamento Organico del Personale (ROP) quale fonte primaria rispetto a quelle di natura contrattuale e la negazione del Regolamento organico quale fonte istitutiva di forme pensionistiche complementari implichi o meno violazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 3”) non chiariscono, per la loro evidente astrattezza e genericità, attraverso una formula che sintetizzi la questione controversa nei suoi termini logici, giuridici e fattuali, il contenuto delle contestazioni mosse alla decisione impugnata, l’errore di diritto alla stessa ascrivibile e la diversa ipotesi ricostruttiva in tesi conforme al diritto che si prospetta.

Con la conseguenza che, in difetto, la formulazione dei motivi di ricorso – come le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato – equivale ad un’omessa formulazione, dal momento che la norma, se detta una prescrizione di ordine formale, incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire, con il quesito e con l’indicazione specifica di cui all’art. 366 bis c.p.c., l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie; e, peraltro, alla carente indicazione non si può sopperire integrando il quesito con le deduzioni articolate nella trattazione del motivo; nè viene in alcun modo specificato e chiarito il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, pure indicato, promiscuamente, nella intitolazione di tali motivi.

4. Con riguardo, poi, ai restanti motivi, che denunciano vizio di motivazione, deve osservarsi che gli stessi risultano del tutto privi di quel necessario momento di sintesi che, anche per quanto concerne il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve accompagnare l’illustrazione del motivo, sì da circoscriverne puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, con riguardo alla indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, nonchè delle ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr. Cass., sez. un., n. 16528 del 2008; id., n. 2652 del 2008, ed altre successive conformi).

5. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e la parte ricorrente condannata, secondo il criterio della soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 38,00 per esborsi e in Euro duemila per onorario, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011

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