LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente Sezione –
Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27850-2009 proposto da;
INPDAP – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. CROCE IN GERUSALEMME 55, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto stesso, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSAFRA PAOLA, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
S.E. (*****), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA VITE 7, presso lo studio dell’avvocato MASINI MARIA STEFANIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NESPOR STEFANO, per delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1316/2008 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il. 10/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/2010 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;
udito l’Avvocato Paola MASSAFRA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordina AGO, rimessione a sezione semplice per le altre questioni.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda proposta da S. E. nei confronti dell’Inpdap, diretta ad accertare il diritto all’inquadramento – a tutti gli effetti economici e normativi – nell’area C, posizione economica C1, del c.c.n.l. enti pubblici non economici, a decorrere dalla data del i gennaio 2001, con conseguente riconoscimento delle differenze retributive maturate. Dichiarava invece il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri.
A seguito di appello dell’Inpdap, il S. resisteva al gravame, proponendo altresì appello incidentale al fine di ottenere la disapplicazione o l’annullamento del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, qualora ritenuto determinante nell’attribuzione dell’inquadramento contestato, nella parte in cui aveva equiparato la ex 6^ qualifica funzionale dell’ente Poste all’area B posizione economica B2 dell’Inpdap. La Presidenza del Consiglio, invece, chiedeva la riforma della sentenza salvo che per la dichiarazione del suo difetto di legittimazione passiva. La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 10.12.2008, confermava la sentenza di primo grado, salvo che per la condanna dell’Inpdap anche al pagamento della rivalutazione monetaria, che riteneva non dovuta.
Quanto alla riproposizione da parte dell’Inpdap dell’eccezione di difetto di giurisdizione, in relazione alla dedotta natura autoritativa del decreto 7 novembre 2000, relativo al trasferimento e all’inquadramento di dipendenti e alla conseguente configurabilità solo di posizioni di interesse legittimo, osservava che si era presenza di una controversia inerente alla materia del lavoro pubblico privatizzato, rispetto alla quale una questione di giurisdizione poteva porsi esclusivamente qualora risultasse coinvolta un’attività autoritativa della pubblica amministrazione, non configurabile nella specie. Infatti con il richiamato decreto 7.11.2000 della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Funzione pubblica, adottato di concerto con il Ministero del tesoro, si era disposto, in attuazione del D.L. n. 163 del 1995, art. 4, comma 2, convertito con L. n. 273 del 1995, il trasferimento all’Inpdap di dipendenti dell’ente Poste già in posizione di comando presso lo stesso, nonchè il relativo inquadramento; successivamente, con Delib. Consiglio d’amministrazione dell’Inpdap 28 dicembre 2000, esecutiva del predetto provvedimento, aveva avuto luogo l’immissione in ruolo dei lavoratori. Quest’ultima attività dell’amministrazione, sebbene rivolta ad una molteplicità di soggetti, non risultava destinata all’organizzazione generale degli uffici, ma alla mera collocazione dei lavoratori nei diversi livelli contrattuali; essa non era pertanto suscettibile di essere ricondotta nella sfera degli atti organizzativi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1, ma andava compresa nell’ambito degli atti adottati iure privatorum ex art. 5, comma 2, D.Lgs. citato. Di conseguenza le situazioni giuridiche soggettive coinvolte si configuravano non come interessi legittimi ma come diritti soggettivi, tutelabili davanti al giudice ordinario.
Neanche ostava all’appartenenza della controversia alla giurisdizione ordinaria il coinvolgimento delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio in tema di trasferimento all’Inpdap e d’inquadramento dei lavoratori, visto che la pretesa fatta valere in giudizio non aveva quale oggetto principale la declaratoria d’illegittimità di tale atto, ma il riconoscimento del diritto al corretto inquadramento, previa disapplicazione del decreto; con la conseguenza che dovevano ritenersi estranee al tema della giurisdizione, e attinenti al merito, le problematiche relative all’interpretazione ed all’efficacia, vincolante o meno, delle suddette disposizioni, salvo il potere del giudice ordinario di disapplicare, ove ritenuto illegittimo, il provvedimento amministrativo presupposto dell’atto di gestione dei rapporti di lavoro, come previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1.
In ordine al merito della controversia, osservava che di fatto era ravvisabile l’illegittimità del richiamato decreto della Presidenza del Consiglio, in presenza di elementi riconducibili alle figure sintomatiche del vizio di eccesso di potere, in relazione ad ipotesi di violazione dei principi di completezza e veridicità dell’istruttoria nonchè di giustizia sostanziale. Il decreto della Presidenza del Consiglio in questione prevedeva l’applicazione delle disposizioni in materia di mobilità volontaria o concordata e di passaggio diretto tra amministrazioni D.Lgs. n. 29 del 1993, ex art. 33 (poi recepito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30), e si configuravano come principi vigenti di tale istituto quello dell’inquadramento in posizione corrispondente per contenuto a quella precedentemente posseduta, desumibile dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 e dall’art. 27 del c.c.n.l. Comparto enti pubblici non economici 1998/2001, nonchè quello del vincolo della conservazione della qualifica rivestita, dell’anzianità e del trattamento economico goduto dai lavoratori (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1). Al fine di garantire il mantenimento di tali elementi oggettivi, risultava dunque necessario un previo raffronto tra il trattamento giuridico-economico applicato presso l’ente di provenienza e quello vigente nel comparto dell’amministrazione di destinazione, così da stabilire un quadro di effettiva corrispondenza tra essi, in applicazione di un criterio sostanziale e non meramente formale, come ritenuto anche dalla giurisprudenza amministrativa.
Nel caso in esame il D.P.C.M. 7 novembre 2000 – consistente in un elenco nominativo dei lavoratori dell’Ente Poste da trasferire all’Inpdap, con le rispettive qualifiche di provenienza e quelle, asseritamene corrispondenti, di nuova assegnazione – aveva disposto il passaggio definitivo tra le amministrazioni, secondo le precise indicazioni provenienti dall’Istituto medesimo, basate su un criterio – meccanico e formale – di mantenimento della qualifica originaria e di sua trasposizione orizzontale nell’area e nel livello retributivo corrispondenti, senza alcuna specifica verifica in ordine all’effettiva corrispondenza tra le diverse categorie professionali.
In ogni caso, era ravvisabile un travisamento della situazione reale a causa del riferimento alle qualifiche funzionali rivestite dai lavoratori, visto che tale criterio d’inquadramento era stato superato al tempo del passaggio alle dipendenze dell’Inpdap, quando ormai i lavoratori erano inquadrati secondo il diverso sistema delle aree professionali (con previsione, all’interno di queste, di differenti posizioni e livelli economici), sulla base del contratto collettivo 26.11.1994, che in realtà era quello che avrebbe dovuto essere preso in considerazione ai fini di una corretta procedura di trasferimento dei dipendenti. Peraltro le qualifiche funzionali all’epoca non erano più esistenti neanche presso l’ente di destinazione (c.c.n.l. parastato 1998/2001, art. 13).
Ulteriore ragione di illegittimità del decreto amministrativo era individuata dalla Corte d’appello in un errore di apprezzamento dei presupposti nell’ambito del procedimento di classificazione, consistente nell’erronea valutazione delle declaratorie contrattuali relative alle qualifiche funzionali e della loro corrispondenza. Al riguardo il Tribunale di Milano con la sentenza impugnata aveva affermato che gli specifici elementi caratterizzanti la 6^ categoria delle Poste trovavano riscontro nella 7^ categoria del c.c.n.l del Comparto enti pubblici (e, secondo la nuova classificazione contrattuale, nell’area C, livello retributivo C1). La Corte affermava di concordare pienamente con l’analisi comparativa iva svolta dalla quale risultava che il personale ricompreso nella 6^ categoria Poste era dotato di una conoscenza e di una preparazione professionale superiori, di un’autonomia operativa e di un grado di responsabilità maggiori rispetto a quelle della corrispondente qualifica funzionale del parastato, sicchè le funzioni previste nella 6^ categoria Poste dovevano ricondursi alla 7^ qualifica funzionale Inpdap, nonchè – secondo la classificazione c.c.n.l. di comparto 1998-2001 – all’area C, posizione Ci (in cui era inquadrato il personale dotato di una cultura d’impresa; di un’approfondita conoscenza del ruolo dell’ente, delle norme e regole organizzative;
di capacità di gestione dei processi di produzione; di attitudini al problem solving rapportate al particolare livello di responsabilità).
La Corte non riteneva rilevanti le deduzioni dell’appellante, secondo cui i lavoratori in questione – peraltro prescelti da Poste Italiane in relazione alla richiesta di personale da parte dell’Istituto – erano stati inquadrati sulla base della qualifica funzionale posseduta durante il periodo di comando.
Quanto alla tesi che il lavoratore, stipulando il contratto di assunzione, avrebbe manifestato il proprio consenso all’inquadramento nel livello B, posizione B2, di cui al decreto presidenziale 7 novembre 2000, accettando cosi espressamente e consapevolmente la disposta corrispondenza delle qualifiche, la Corte osservava che il contratto individuale non poteva configurarsi come un atto di rinuncia e transazione – che solo potrebbe avere rilievo ex art. 2113 c.c. e che la sua sottoscrizione non poteva comportare l’accettazione di un’erronea collocazione professionale, stante il diritto del lavoratore ad essere assunto in un inquadramento equivalente a quello di provenienza e l’obbligo dell’Inpdap – risultante anche dal contratto individuale dedotto in causa – di procedere all’assunzione nella qualifica corrispondente.
Infine la Corte riteneva infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’Inpdap sulla base del rilievo che oggetto della domanda erano il diritto all’esatto inquadramento presso di esso e gli obblighi connessi, aventi come destinatario detto ente e non le Poste italiane o la Presidenza del consiglio. Relativamente a quest’ultima era viceversa fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, visto che la domanda dell’attore concerneva solo l’Inpdap e considerato il rilievo meramente incidentale della illegittimità dell’atto amministrativo dalla stessa emanata.
L’Inpdap ricorre per cassazione con cinque motivi. Il S. resiste con controricorso, preliminarmente eccependo la tardività del ricorso, e propone ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo, a cui l’Inpdap resiste con controricorso. La Presidenza del Consiglio dei ministri non si è costituita. Memorie delle parti costituite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali, e specificamente del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 sostiene che nella specie deve in ipotesi ritenersi lesivo della posizione giuridica del lavoratore il decreto del Presidente del Consiglio e non la delibera del consiglio di amministrazione dell’Inpdap o il contratto individuale di lavoro, costituenti atti consequenziali.
Pertanto la posizione soggettiva rilevante, stante il carattere autoritativo del D.P.C.M., da ritenersi oggetto diretto e immediato della cognizione, è qualificabile come di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
1.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali, e specificamente del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E, della L. n. 1034 del 1971, art. 3 e dell’art. 112 c.p.c.. La doglianza, come si evince dal conclusivo principio di diritto, è focalizzata sulla tesi secondo cui il giudice di appello è incorso nel vizio di ultrapetizione per avere proceduto d’ufficio alla individuazione di taluni specifici vizi di illegittimità del decreto del presidente del consiglio in questione, in relazione alla sua asserita qualificabilità come atto amministrativo presupposto, mentre nel ricorso introduttivo del giudizio era stata solo genericamente chiesta la disapplicazione o l’annullamento, ove necessario, di tale atto, così come degli altri atti amministrativi connessi, nella parte in cui equiparano la 6^ qualifica funzionale dell’Ente Poste italiane all’area B, posizione economica B2, dell’Inpdap. Nella esposizione del motivo si sostiene anche la non riconducibilità dei vizi riscontrati, peraltro insussistenti, a figure riconosciute di eccesso di potere, e che comunque si era interferito con il merito amministrativo.
1.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali, e specificamente dell’art. 102 c.p.c., anche con riferimento all’art. 107 e all’art. 420 c.p.c., comma 9. In relazione al ritenuto difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri e di Poste italiane s.p.a. (quest’ultima in effetti non partecipante al processo per non essere stata autorizzata la sua chiamata in giudizio dal giudice di primo grado), si lamenta la violazione del principio secondo cui sussiste inscindibilità di cause quando il convenuto, chiamato a rispondere dei danni sofferti dall’attore, chiama a sua volta in causa un terzo per ottenere la declaratoria della sua esclusiva responsabilità e la propria liberazione dalla pretesa dell’attore.
1.4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali, e specificamente degli artt. 1321 e segg. c.c. – anche con riferimento al D.P.C.M. 18 ottobre 2000, al D.P.C.M. 7 novembre 2000 ed all’art. 13 del c.c.n.l. enti pubblici non economici 1998-2001, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 1, 6 e 8 e della L. n. 449 del 1997, att. 53, comma 10. Come si evince dal conclusivo quesito di diritto, la complessiva doglianza è focalizzata sulla tesi secondo cui, anche nell’ipotesi di disapplicazione per illegittimità del D.P.C.M. di trasferimento del lavoratore nella parte prevedente la corrispondenza tra le categorie o livelli di inquadramento prima e dopo il trasferimento, avrebbe dovuto comunque ritenersi sussistente l’equivalenza tra la 6^ categoria del c.c.n.l. Ente Poste italiane e la 6^ qualifica funzionale (poi Area B/posizione B2) del c.c.n.l.
enti pubblici non economici.
Si sottolinea che nella specie non era applicabile il quadro di equiparazione emanato in relazione al passaggio di una parte dei dipendenti dell’ex amministrazione delle Poste nell’istituito Ministero delle comunicazioni, visto che invece per il passaggio all’Inpdap, avvenuto in forza della L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10, era prevista espressamente l’applicazione delle disposizioni vigenti sulla mobilità volontaria o concordata.
Circa il merito della corrispondenza tra i livelli di inquadramento dei due settori, si sostiene che sia l’inquadramento di origine che quello attribuito riguardano in sostanza attività esecutive di supporto del processo produttivo; che in ogni caso non sono ravvisatali nella 6^ categoria dei dipendenti postali gli elencati elementi qualificanti della nuova area C, posizione C1; che non deve trascurarsi che le categorie ex postali 4^, 5^ e 6^ sono state raggruppate in un’unica declaratoria dell’area operativa di cui al c.c.n.l. dell’ente Poste, sicchè quest’ultima non poteva essere considerata particolarmente significativa ai fini di una comparazione particolareggiata di mansioni.
1.5. Il quinto motivo denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, con riferimento al rilievo d’ufficio dei vizi dell’atto amministrativo da disapplicare e alle modalità di individuazione delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere.
2. Il motivo del ricorso incidentale condizionato, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 273 del 1995, art. 4, comma 2, ripropone la tesi secondo cui in effetti la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva il solo compito di operare il trasferimento, sicchè l’indicazione nello stesso dell’inquadramento del controricorrente – se ritenuto non meramente riproduttivo delle informazioni ricevute dall’Inpdap – doveva ritenersi ultroneo e illegittimo per tale ragione.
3. Deve preliminarmente disporsi la riunione del ricorso principale e di quello incidentale in quanto proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
Deve anche rilevarsi che non sussiste la prospettata tardività del ricorso principale, tenuto presente raffermatosi indirizzo giurisprudenziale sulla rilevanza, ai fini del rispetto dei termini di decadenza da parte del notificante, della data di richiesta della notificazione (cfr. ex plurimis Cass. S.U. n. 24702/2006 e 17352/2009), in quanto il ricorso risulta presentato per la notificazione al competente ufficio notifiche il 10.12.2009 e quindi esattamente l’ultimo giorno utile per il rispetto del termine “lungo” annuale di impugnazione, anche se la notificazione si è perfezionata nello stesso giorno solo nei confronti della Presidenza del Consiglio.
4. Deve ora esaminarsi il primo motivo del ricorso principale, che ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Il motivo non merita accoglimento.
Queste Sezioni unite hanno già ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario relativamente ad analoghe controversie proposte da ex dipendenti delle Poste passati alle dipendenze dell’Inpdap o di altre amministrazioni pubbliche per trasferimento disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nel quadro della mobilità disciplinata dal D.L. n. 163 del 1995, art. 4, comma 2, (convertito con modificazioni dalla L. n. 273 del 1995), sulla base della previsione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10, prevedente l’applicazione delle vigenti norme sulla mobilità volontaria o concordata al personale dell’Ente Poste che alla data di entrata in vigore della legge erano in posizione di comando o di fuori ruolo presso amministrazioni pubbliche (Cass. S.U. n. 5921/2008, 22268/2007, 12103/2009). Si è rilevato che si tratta di controversie relative all’inquadramento dei lavoratori, in quanto tali riconducibili non all’ambito di quelle relative ad atti organizzativi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1, ma di quelle inerenti alla gestione del rapporto di lavoro in base ad un’attività non autoritativa, espletata con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato, ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 165, art. 5, comma 2.
Si è anche rilevato che non incide sull’appartenenza della controversia alla giurisdizione ordinaria il coinvolgimento di disposizioni contenute nei decreti del Presidente del Consiglio, in quanto sono attinenti al merito le questioni sull’interpretazione ed efficacia di tali atti e, se gli stessi fossero ritenuti vincolanti per l’amministrazione di destinazione dei lavoratori, verrebbe in rilievo soltanto il potere del giudice ordinario di disapplicare provvedimenti amministrativi presupposti dell’atto di gestione del rapporto di lavoro (sentenza n. 5921/2008 cit.).
5. L’ordine logico-giuridico delle questioni richiede ora l’esame del terzo motivo del ricorso principale, con cui si censura il capo della sentenza dichiarativo del difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il motivo è infondato. Benchè nella relativa parte espositiva si faccia riferimento alla tesi che la fattispecie per cui è causa (relativa all’inquadramento del lavoratore) sarebbe a formazione progressiva e coinvolgerebbe anche la parte chiamata in causa, il motivo, alla stregua del conclusivo quesito di diritto, è efficacemente basato solo sul richiamo della tesi giuridica relativa alla inscindibilità delle cause quando il convenuto chiamato a rispondere di danni sofferti dall’attore chiami in causa un terzo sostenendone l’esclusiva responsabilità e chiedendogli di essere manlevato. Deve allora rilevarsi, a prescindere anche da valutazioni sulla plausibilità di tale prospettazione, che il giudice di appello non ha preso in considerazione la medesima e al riguardo non sono state proposte censure nella presente sede. Ne consegue la non rilevanza dei principi di diritto ora fatti valere.
6. Le questioni relative al merito proposte con il secondo e il quarto motivo del ricorso principale devono essere esaminate unitariamente, stante la loro connessione.
6.1. Ha rilievo preliminare e centrale la questione relativa al valore delle indicazioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri statuente il trasferimento dei lavoratori riguardo all’inquadramento dei medesimi. Tale questione è già stata esaminata alcune volte dalla Corte secondo prospettive non del tutto coincidenti. Infatti, secondo un primo orientamento, la determinazione del futuro inquadramento contenuto nel decreto statuente il trasferimento è vincolante per il nuovo datore di lavoro, anche in funzione di un’adeguata determinazione dei costi, e la previsione del provvedimento amministrativo può essere messa in discussione dal lavoratore solo mediante la deduzione di una ragione di illegittimità dello stesso e della sua disapplicabilità (Cass. sez. lav. n. 15931/2006, 24045/2008,17874/2009, nonchè n. 10721/2010 che da anche rilievo ostativo all’assenso del lavoratore; Cass. S.U. n. 12103/2009). Un altro orientamento, pur non contraddicendo la tesi della pertinenza al decreto di trasferimento anche dell’indicazione dell’inquadramento del lavoratore presso l’amministrazione di destinazione, in sostanza ritiene punto decisivo (sia pure sotto il profilo qualificatorio conclusivo della sussistenza o meno di un travisamento del fatto) quello della effettiva corretta identificazione dell’inquadramento spettante al lavoratore dopo il trasferimento, in applicazione del principio, ritenuto applicabile anche in caso di passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, secondo cui il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta l’applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (Cass. sez. lav. n. 28710/2008 e 10628/2009; cfr.
anche Cass. S.U. n. 22268/2007 che analogamente pare ammettere senza particolari limiti la verifica circa la correttezza della comparazione tra la qualifica di provenienza e quella di destinazione).
Conviene rilevare che non vi è motivo di dubitare della qualificabilità come atto amministrativo del decreto emanato dal Presidente del Consiglio (di concerto con il Ministro del tesoro) a norma del D.L. n. 163 del 1995, art. 4, comma 2, per dare attuazione alla possibilità di mobilità (cd. volontaria) tra pubbliche amministrazioni, visto che si tratta di provvedimento di un’autorità esterna al rapporto di lavoro (non parte del medesimo) che determina la modificazione soggettiva del rapporto stesso dal lato del datore di lavoro, sia pure in esito ad un procedimento che richiede l’assenso del lavoratore. E’ opportuno preliminarmente anche chiarire, anticipando una considerazione che dovrà essere ripresa più avanti, che la L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10, prevedendo l’applicabilità delle disposizioni sulla mobilità volontaria o concordata tra pubbliche amministrazioni al personale dell’Ente poste italiane (ente pubblico economico, in quanto tale equiparato ai datori di lavoro privati) in posizione di comando o fuori ruolo presso pubbliche amministrazioni, ha inteso evidentemente valorizzare ai fini in esame la precedente posizione di dipendenti da una pubblica amministrazione dei lavoratori postali in questione, configurando una sorta di transitoria ultrattività di tale posizione (cfr. al riguardo Cass. S.U. n. 22800/2010).
Tanto premesso, deve osservarsi che non è rinvenibile un fondamento normativo all’esercizio da parte del Presidente del Consiglio (subentrato nell’esercizio di una funzione che il D.L. n. 163 del 1995 attribuiva al Ministro della funzione pubblica) non solo del potere di determinare il trasferimento del lavoratore ma anche di quello di determinare la concreta disciplina del rapporto di lavoro, sostituendosi a quanto di competenza dell’amministrazione datrice di lavoro, la quale a sua volta in ipotesi del genere – così come già rilevato da queste Sezioni unite con riferimento a vicenda analoga per quanto ora rileva, valorizzando un orientamento già emerso nell’ambito dalla Sezione lavoro -, deve tenere presente che si è in presenza di un fenomeno di modificazione soggettiva del rapporto di lavoro assimilabile alle ipotesi di cessione del contratto e quindi deve procedere all’inquadramento del lavoratore sulla base della posizione dal medesimo posseduta nell’ambito della precedente fase del rapporto e dell’individuazione della posizione ad essa maggiormente corrispondente nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nella amministrazione di destinazione (Cass. S.U. 22800/2010 cit.).
Ne consegue, con riferimento alle specifiche questioni della presente causa, che non rileva valutare se nel D.P.C.M. 7 novembre 2000 si fosse inteso attribuire valore meramente descrittivo o vincolante alle specificazioni relative all’inquadramento dei dipendenti presso l’Inpdap, dato che in ogni caso le specificazioni al riguardo non potevano avere efficacia vincolante, per la (radicale) mancanza di un potere al riguardo.
6.2. Ne consegue anche che, al fine di contestare la correttezza dell’inquadramento attribuitogli dall’Inpdap, il S. non avrebbe avuto bisogno di dedurre specifici vizi dell’atto amministrativo riconducibili alle ipotesi dell’incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, e ottenerne la disapplicazione in senso tecnico, mentre era sufficiente la deduzione della erroneità dell’inquadramento in relazione alla posizione ricoperta nella precedente fase del rapporto di lavoro e alla corretta individuazione della posizione corrispondente secondo la disciplina applicabile nell’ambito dell’amministrazione di destinazione.
Ne deriva che risulta giuridicamente giustificata la verifica compiuta dal giudice di merito della correttezza nel merito dell’inquadramento riconosciuto dall’Inpdap al S., mentre la censura di ultrapetizione formulata in riferimento alla ricerca da parte della Corte d’appello di specifici vizi di illegittimità dell’atto amministrativo risulta non fondata in ragione della non pertinenza e superfluità di tale passaggio motivazionale.
6.3.1. Deve passarsi quindi all’esame delle censure relative all’individuazione in concreto da parte del giudice a quo dell’inquadramento spettante al S. presso l’Inpdap. Come si è già detto, si doveva procedere all’inquadramento del lavoratore sulla base della posizione dal medesimo posseduta nell’ambito della precedente fase del rapporto e dell’individuazione della posizione ad essa maggiormente corrispondente nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nella amministrazione di destinazione.
Doveva tenersi presente però anche la particolarità della vicenda relativa al trasferimento di lavoratori ormai formalmente alle dipendenze di un ente pubblico economico ad una pubblica amministrazione (cioè di un soggetto alle cui dipendenze si accede normalmente per concorso e che fruisce di una disciplina dei rapporti di lavoro influenzata da elementi pubblicistici, nonostante la loro tendenziale assimilazione ai rapporti di lavoro privati), vicenda che, come si è già accennato, può trovare spiegazione solo nell’implicita attribuzione ai fini in esame di un’ultrattività dello status di pubblici dipendenti posseduto dai lavoratori prima della trasformazione dell’amministrazione delle poste in ente pubblico economico. Ne consegue che correttamente l’Inpdap ha fatto riferimento all’inquadramento rivestito nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico dai dipendenti postali transitati alle sue dipendenze.
Tale criterio, al quale peraltro si è attenuto di fatto anche il giudice a quo, trova ulteriore giustificazione anche nella maggiore omogeneità tra i criteri di inquadramento in vigore nell’ambito delle due amministrazioni pubbliche e nella circostanza della minore idoneità specificativa delle dilatate e meno numerose categorie di inquadramento introdotte dalla contrattazione collettiva dopo la privatizzazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti postali.
L’ente ricorrente sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, doveva ritenersi sussistente una corrispondenza di livello di mansioni tra la 6^ categoria della classificazione delle Poste e il 6^ qualifica funzionale degli enti pubblici economici.
6.3.2. Considerato anche che ai fini dell’inquadramento nell’ambito dei rapporti con le pubbliche amministrazioni rileva solo, anche dopo la loro relativa privatizzazione, quanto risulta dai riconoscimenti formali al riguardo, poichè non sussiste, come nell’impiego privato, il diritto alla promozione per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, la questione ora all’esame deve essere risolta sulla base di una valutazione delle fonti normative degli inquadramenti in questione, costituite per i dipendenti dell’amministrazione postale dalla L. 22 dicembre 1981, n. 797, art. 3 e per i dipendenti degli enti pubblici non economici dal D.P.R. 1 marzo 1988, n. 285, ed entrambe fondamentalmente ispirate, anche nelle declaratorie delle varie categorie o qualifiche funzionali, ai criteri della classificazione per qualifiche funzionali dei dipendenti dei ministeri (legge n. 312/1980).
La declaratoria della categoria 6^ dei postelegrafonici recita:
“Attività con conoscenze professionali e responsabilità di unità operative.
Attività amministrativo-contabili o tecniche, nell’ambito di prescrizioni di massima riferite a procedure o prassi generali, richiedenti qualificata preparazione professionale di settore e apporto di competenze ed esperienze specifiche nelle operazioni da eseguire, con autonomia di disimpegno, su apparati, attrezzature e impianti complessi. Sono caratterizzate da responsabilità di direzione, coordinamento e controllo di uffici di minore entità e di settori o impianti o gruppi di piccole unità operative costituite all’interno di uffici complessi, nonchè da responsabilità dei risultati conseguiti dalle unità operative sottordinate.
Può essere prevista altresì attività di ispezione contabile, nonchè qualificata collaborazione amministrativo-contabile o tecnica nell’attività di studio e ricerca, di progettazione, di collaudo e di controllo ispettivo”.
La 6^ qualifica funzionale degli enti pubblici economici prevede:
“Attività istruttoria di tipo amministrativo, contabile e tecnico anche di natura professionale che, nell’ambito di prescrizioni di massima e di procedure predeterminate, presuppone un’applicazione concettuale ed una valutazione di merito dei casi concreti, nonchè interpretazione di istruzioni operative e conoscenze professionali.
Raccolta, organizzazione ed elaborazione di dati nonchè informazione di natura complessa secondo fasi operative definite.
Utilizza apparecchiature e sistemi che richiedono conoscenze particolari delle relative tecnologie.
Attività di lavoro ad alta specializzazione con assunzione di piena responsabilità del risultato”. Segue l’indicazione e descrizione di alcuni profili professionali, tra cui quello di assistente tecnico (che si prende in particolare esame visto che nel controricorso si richiama una qualifica di “perito” attribuita al S. presso l’amministrazione postale), “dipendente che segue autonomamente, ovvero in collaborazione con le altre professionalità, le attività proprie della specifica professionalità tecnica posseduta osservando, ove previste, le disposizioni stabilite dalla legge per l’esercizio della medesima professione”.
La 7^ categoria dei postelegrafonici prevede: “Attività con preparazione professionale ed eventuale responsabilità di unità organiche.
Attività amministrativo-contabili o tecniche, richiedenti preparazione professionale specializzata, comportante ampi margini di valutazione per il perseguimento dei risultati da conseguire, con facoltà di iniziativa, proposta e decisione nell’ambito di direttive generali; comportano collaborazione istruttoria o di studio e ricerca, nel campo amministrativo, di progettazione, direzione di lavori, collaudo ed analisi in quello tecnico implicante qualificato apporto professionale, nonchè controllo ispettivo, qualificata ispezione contabile e direzione di uffici e impianti costituenti unità organiche di media entità o grandi ripartizioni interne di unità organiche di rilevante entità.
La preposizione alle unità organiche o alle grandi ripartizioni interne delle unità organiche di rilevante entità comporta la piena responsabilità perle direttive o istruzioni impartite e per i risultati conseguiti”.
La 7^ qualifica funzionale degli enti pubblici economici recita:
“Attività di collaborazione istruttoria, di iniziativa promozionale, studio di addestramento, qualificazione ed aggiornamento del personale, elaborazione e progettazione di natura amministrativo- contabile e tecnica che – nell’ambito di prescrizioni generali contenute in norme o procedure definite o in direttive di massima – presuppongono specializzazione e preparazione professionale nelle attribuzioni di settore o di modulo organizzativo interdisciplinare, capacità di valutazione e perseguimento dei risultati, nonchè capacità di decisione, di proposta e di individuazione dei procedimenti necessari alla soluzione dei casi esaminati e delle concrete situazioni di lavoro.
Attività specializzate finalizzate alla predisposizione e realizzazione tecnica dei programmi, archivi e procedure dei programmi per i centri elettronici ed alla gestione di unità e procedimenti complessi.
Svolge attività ispettiva di vigilanza.
Svolge attività di analisi di laboratorio specializzata nel settore di ematologia ed immunoematologia.
Svolge le proprie attribuzioni anche mediante la utilizzazione di apparecchiature specializzate, macchinari e/o sistemi autonomi ed impianti gestibili con programmi variabili entro procedure generali determinate.
Può essere preposto a settore comportante lo svolgimento di attività semplici”. Segue l’indicazione e descrizione di alcuni profili professionali, tra cui quello di collaboratore professionale che si distingue dall’assistente tecnico per la richiesta, oltre che del diploma di scuola secondaria, dell’iscrizione all’albo professionale e per l’attribuzione anche di più qualificate funzioni in autonomia.
6.3.3. Dall’esame comparativo complessivo di tali declaratorie risulta chiaro che sussiste una sostanziale equivalenza tra i corrispondenti livelli delle due normative, come evidenziato, in particolare, dalla previsione per il 7^ livello delle Poste di una preparazione professionale specializzata comportante ampi margini di valutazione per il perseguimento dei risultati da perseguire e per il 7^ degli enti pubblici non economici dalla previsione di specializzazione e preparazione professionale, capacità di valutazione e perseguimento dei risultati, nonchè capacità di decisione, di proposta e di individuazione dei procedimenti necessari alla soluzione dei casi esaminati. Questi ultimi requisiti, d’altra parte, si pongono chiaramente su un livello più elevato rispetto alla previsione, per la 6^ categoria delle Poste, di una qualificata preparazione professionale di settore e apporto di competenze ed esperienze specifiche nelle operazioni da eseguire, con autonomia di disimpegno, su apparati, attrezzature e impianti complessi. Nè può attribuirsi sufficiente rilievo alla più evidenziata previsione nell’ambito della 6^ categoria delle Poste dell’affidamento di responsabilità di unità operative, spiegabile (così come pure la possibilità di mansioni ispettive) con l’esistenza nel settore di unità operative di minime dimensioni. Peraltro, riguardo al profilo professionale dell’assistente tecnico della 6^ qualifica funzionale degli enti pubblici, sono stati previsti con l’integrazione disposta dal D.P.R. 13 gennaio 1990, n. 43, art. 11, comma 1, e dall’allegato 1, n. 2), il coordinamento di risorse umane o strumentali e la “responsabilità di squadra addetta, in piena autonomia, ad attività di costruzione, modifica o manutenzione di impianti”.
Può anche ricordarsi che in alcune sentenze della Sezione lavoro pronunciate in precedenti analoghe controversie si è data per scontata la sostanziale corrispondenza tra gli omologhi livelli di inquadramento delle normative dei due settori in questione (Cass. n. 28710/2008 e 10628/2009, citt.).
6.3.4. Una volta individuato nella 6^ qualifica il livello di inquadramento congruo secondo il sistema delle qualifiche funzionali già vigente per gli enti pubblici non economici, consegue, come è pacifico, l’inquadramento nell’area B, posizione B2, della disciplina introdotta dal c.c.n.l. per il quadriennio 1998-2001, in base alla tabella per il primo inquadramento del personale in servizio. D’altra parte il ricorso a tale procedimento di previa individuazione della corrispondenza dell’inquadramento di provenienza con quello delle qualifiche funzionali è giustificato dal fatto che quest’ultimo è quello che era applicabile al tempo della vigenza dell’inquadramento costituente il primo termine di paragone ed è di tipo più omogeneo con lo stesso, e quindi consente una più precisa valutazione di corrispondenza, oltre ad assicurare parità di trattamento con il personale già in servizio presso l’ente di destinazione. Peraltro la esattezza del risultato finale è confermata dal rilievo che nella posizione B2 sono espressamente indicati gli stessi profili di assistente amministrativo e di assistente tecnico precedentemente previsti nella 6^ qualifica funzionale.
7. In conclusione, fermo restando il rigetto del primo motivo e la conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario, i motivi da ultimo esaminati – secondo e quarto del ricorso principale – vanno accolti nei limiti di quanto sopra evidenziato, mentre il quinto rimane assorbito.
Il motivo del ricorso incidentale condizionato deve essere rigettato, nonostante la plausibilità dei suoi rilievi, perchè non idoneo ad incidere sul concreto esito della controversia.
L’accoglimento, nei termini indicati, del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la pronuncia nel merito nel senso del rigetto della domanda proposta dal S.E. nei confronti dell’Inpdap. 8. La ripetuta proposizione da parte dell’Inpdap dell’infondata eccezione di difetto di giurisdizione e la complessità delle altre questioni, che non risultavano del tutto chiarite dalla giurisprudenza, giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ricorso principale e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario;
accoglie come in motivazione il secondo e il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il terzo, assorbito il quinto, e rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da S.E. contro l’Inpdap. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011