LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Primo Presidente f.f. –
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente di sezione –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –
Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSSOMANDO ANTONIO, per delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 99/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 15/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12 febbraio 2010 la sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura ha inflitto la sanzione della censura alla dott. M.P., in servizio presso il Tribunale di Ancona come giudice dell’udienza preliminare, dichiarandola responsabile “dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a) e g) perche’, per negligenza e con grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, arrecava un ingiusto danno all’imputato G.T.; in particolare, nell’ambito del procedimento (…), disponeva la scarcerazione del G. solo in data 29 dicembre 2007, nonostante il termine massimo di custodia cautelare fosse scaduto sin dal 9 novembre 2007”.
Contro tale sentenza la dott. M.P. ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. Il Ministro della giustizia non ha svolto attivita’ difensive nel giudizio di legittimita’.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i due motivi, addotti a sostegno del ricorso la dott. M. P. rivolge alla sentenza impugnata essenzialmente una stessa censura, articolata sotto i profili della “erronea applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. g), art. 606 c.p.p., lett. b)” e della “mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione risultanti dal testo della sentenza e dagli atti del processo”, lamentando che il giudice a quo ha ingiustificatamente considerato il ritardo nel disporre la scarcerazione di G.T. quale conseguenza di una inescusabile negligenza, anziche’ di una mera dimenticanza di fatto, derivata dalla mancata annotazione della data del termine finale della custodia cautelare nell’agenda personale che il magistrato aveva dovuto adottare come scadenziario, in assenza di un registro tenuto dall’ufficio.
La doglianza va disattesa, poiche’ la circostanza segnalata dalla ricorrente e’ del tutto inconferente, al fine di esimerla dalla responsabilita’ per l’illecito disciplinare addebitatole, consistito nell’essersi resa conto dell’avvenuto esaurimento del termine suddetto dopo ben cinquantuno giorni, nonostante che in particolare proprio G.T., secondo la dott. M.P., fosse “sempre nei suoi pensieri”, come peraltro era senz’antro doveroso, trattandosi di un imputato detenuto. In effetti, e’ compito precipuo del magistrato, nei procedimenti di cui e’ investito, diuturnamente vigilare circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della liberta’ personale di chi e’ sottoposto alle indagini o imputato. E’ nell’adempimento di tale inderogabile compito che la dott. M.P. e’ stata gravemente negligente, sicche’ e’ indifferente che cio’ sia dipeso da quella “mera dimenticanza di fatto”, del resto a lei addebitabile, che impropriamente accampa come scusante dell’”increscioso errore” in cui comunque lei stessa ammette di essere incorsa. Ugualmente ininfluente, d’altra parte, e’ che in quegli anni la ricorrente – come ha tenuto a porre in evidenza – fosse stata sottoposta a un gravoso carico di lavoro e vi avesse fatto fronte dimostrando notevole produttivita’ anche in rapporto a quella dei colleghi e nonostante la sussistenza di difficolta’ personali e famigliari: si tratta di elementi inidonei a impedire alla dott. M.P. di prestare la dovuta attenzione al procedimento in questione e di disporre quindi tempestivamente la scarcerazione dell’imputato, sicche’ non consentono di giustificare la trascuratezza da cui la condotta del magistrato e’ stata in quella occasione caratterizzata.
Di tutto cio’ la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha dato adeguatamente ragione, in maniera esauriente, logicamente coerente e giuridicamente corretta, sicche’ la sentenza impugnata risulta del tutto immune dai vizi che la ricorrente le attribuisce.
Il ricorso viene pertanto rigettato.
Non vi e’ da provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’, nel quale il Ministro della giustizia non ha svelto attivita’ difensive.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011