LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –
Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in carica, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma in via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrenti –
contro
M.M.L., rappresentata e difesa dall’avv. Cicognani Antonio e dall’avv. D’Ayala Valva Francesco, presso il quale e’
elettivamente domiciliata in Roma in viale Parioli n. 43;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 57/44/07, depositata il 6 giugno 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 settembre 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per i ricorrenti e l’avv. Francesco D’Ayala Valva per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze e per il rigetto del ricorso dell’Agenzia delle entrate.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia indicata in epigrafe con la quale, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano *****, e’ stato confermato l’annullamento di due avvisi di irrogazione di sanzioni in materia di IVA per gli anni 1998 e 1999 emessi a carico di M.M.L..
All’origine degli atti era la verifica dei rapporti fra la contribuente e la spa Cave San Bartolo, e segnatamente il contratto con il quale la prima cedeva alla seconda tutto il materiale estraibile contenuto nel terreno di sua proprieta’ in *****:
l’amministrazione finanziaria riteneva che la M. rivestisse la qualifica di imprenditore commerciale e che il contratto posto in essere fosse un contratto di appalto.
Secondo il giudice d’appello doveva escludersi che nel detto negozio potesse essere ravvisata la natura di contratto d’appalto, e nessun fondamento giuridico aveva la pretesa “cessione di materiale lapideo e non lapideo estraibile” conferita dagli stipulanti, essendo invece determinante la funzione e la natura della transazione, diretta ad istituire un diritto di sfruttamento della cava, come attestato con oggettivita’ “dalle clausole che regolano un siffatto diritto, chiaramente di sfruttamento del bene immobile posseduto dalla M.”, la quale non aveva agito investe di imprenditore commerciale, bensi’ come persona fisica, titolare di un diritto reale, la proprieta’ del terreno, che aveva inteso mettere a reddito.
L’attivita’ non aveva carattere sistematico e continuativo, ne’ in essa poteva ravvisarsi alcuno specifico elemento strutturale organizzativo, con conseguente insussistenza dell’obbligo di autofatturazione contestato.
La M. resiste con controricorso illustrato con successiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze per difetto di legittimazione processuale, dal momento che il Ministero, cui e’ succeduta l’Agenzia delle entrate a far data dal 1 gennaio 2001, anteriore a quella di deposito dell’appello, s’intende tacitamente estromesso dal relativo giudizio, svoltosi nei soli confronti dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano ***** (Cass. n. 9004 del 2007).
Ancora in via preliminare, va esaminata l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla controricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
In particolare, si deduce che, con ordinanze nn. 23206, 23368 e 23369 del 2008, questa Corte, nell’ambito di controversie tra la spa Cave San Bartolo e l’Agenzia delle entrate aventi ad oggetto avvisi di accertamento derivati dal medesimo contratto stipulato nel luglio 1995 tra la detta societa’ e la M., sopra menzionato, ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dall’Agenzia, con conseguente passaggio in giudicato delle relative sentenze di appello, con le quali tale contratto era stato qualificato come vendita di genere del materiale lapideo da estrarre, ai sensi dell’art. 1378 cod. civ., con esclusione della qualita’ di imprenditore commerciale della venditrice M..
L’eccezione deve essere disattesa.
In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, premesso che dal principio stabilito dall’art. 2909 cod. civ. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti, e non e’ vincolante, rispetto ai terzi (Cass., sez. un., n. 9631 del 1996), il giudicato puo’, tuttavia, quale affermazione obiettiva di verita’, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale. Ma tali effetti riflessi del giudicato, oltre gli ordinari limiti soggettivi, sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo e indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile ne’ che egli ne possa ricevere un pregiudizio giuridico, ne’ che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa (salvo che tale facolta’ sia espressamente prevista dalla legge, come nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c., comma 2) (cfr., ex plurimis, Cass. n. 250 del 1996, n. 5320 del 2003, n. 5381 e n. 11677 del 2005, n. 7523 del 2007).
Nella specie, la controricorrente e’ parte di un distinto ed indipendente rapporto obbligatorio con l’amministrazione finanziaria, rispetto a quello intercorrente tra questa e la societa’ Cave San Bartolo, con la conseguenza che il giudicato intervenuto nella controversia tra queste ultime non ha alcuna efficacia vincolante nel presente giudizio.
Con l’unico motivo l’amministrazione ricorrente, denunciando “omessa motivazione su fatti controversi e decisivi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, censura la sentenza in quanto, a fronte di una pluralita’ di elementi, il cui valore presuntivo sarebbe emerso dal reciproco collegamento, l’affermazione secondo cui la contribuente aveva solo sottoscritto un contratto e percepito i corrispettivi stabiliti nello stesso, si’ da non ravvisarsi in cio’ alcuno specifico elemento strutturale organizzativo, appariva completamente priva di supporto motivazionale rispetto ai fatti dedotti in causa e descritti nel p.v..
Il motivo e’ inammissibile, alla luce del disposto dell’art. 366-bis cod. proc. civ., per la mancanza di una chiara indicazione riassuntiva, sintetica ed autonoma, del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o insufficiente e delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (ex plurimis, Cass. n. 2652 e n. 8897 del 2008, n. 27680 del 2009).
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
PQM
LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze e quello dell’Agenzia delle entrate.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi.
Cosi’ deciso in Roma, il 23 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011