LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10982/2005 proposto da:
R.B., P.V. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso lo studio dell’avvocato CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato BERTOLI Antonio;
– ricorrenti –
contro
P.F. *****, M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OTRANTO 39, presso lo studio dell’avvocato CARDILLI Raffaele, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHIARELLI PAOLO;
– controricorrenti –
e contro
P.A., B.D.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 987/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/06/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 19/10/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;
udito l’Avvocato RAFFAELE CARDILLI difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 1 ottobre 1999 il Tribunale di Padova – adito da P.F. e M.G. nei confronti di P. V., R.B., P.A. e B.D. trasferì in proprietà dai primi due convenuti agli, attori, in applicazione dell’art. 2932 c.c., la quota ideale di metà di un fondo sito in *****.
Impugnata da P.V. e R.B., la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia, che con sentenza dell’8 giugno 2004 ha rigettato il gravame, ritenendo tra l’altro (per quanto ancora rileva in questa sede) che con una scrittura privata del 21 settembre 1992, funzionalmente collegata a un rogito notarile in pari data, P.V. e R.B. si erano obbligati a trasferire a P.F. e M.G. la quota oggetto della causa; che il certificato di destinazione urbanistica del terreno era stato prodotto in secondo grado e ciò escludeva l’attuale rilevanza della questione circa la sua mancanza, sollevata dagli appellanti come motivo di impugnazione.
Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione P. V. e R.B., in base a due motivi, poi illustrati anche con memoria. P.F. e M.G. si sono costituiti con controricorso. P.A. e B.D. non hanno svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i due motivi, addotti a sostegno del ricorso – tra loro intimamente connessi e da prendere quindi in esame congiuntamente – P.V. e R.B. lamentano che la Corte d’appello ha erroneamente qualificato il contratto intercorso tra le parti come preliminare anzichè definitivo e ha conseguentemente omesso di rilevarne la nullità, dovuta alla mancanza del certificato di destinazione urbanistica del fondo in questione, che a norma della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, avrebbe dovuto essere allegato alla scrittura del ***** già al momento della sua formazione; sostengono altresì che il documento, prodotto da P. F. e M.G. soltanto in appello, non avrebbe consentito comunque l’applicazione dell’art. 2932 c.c., poichè non si riferiva alla data della conclusione del supposto preliminare, alla quale gli effetti della sentenza erano destinati a retroagire.
Nessuna di queste censure può essere accolta.
Quanto alla prima, va osservato che si verte nel campo dell’interpretazione di un negozio, che non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non sotto i profili della violazione delle regole legali di ermeneutica e dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Ma tali vizi non sono stati affatto denunciati dai ricorrenti, i quali pretendono di far derivare l’inosservanza della disposizione sopra citata da assiomatiche contestazioni, rivolte alle esaurienti e logicamente coerenti argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, a proposito della qualificazione come preliminare, anzichè definitivo, del contratto in questione.
In ordine poi alla produzione del certificato in secondo grado, è sufficiente richiamare il principio enunciato da Cass. s.u. 11 novembre 2009 n. 23825, secondo cui il documento attiene a una condizione dell’azione, sicchè la sua acquisizione in giudizio non soggiace alle preclusioni stabilite per la deduzione di nuove prove in appello.
Nè infine si può aderire alla tesi della retroattività delle sentenze di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre:
tesi che contrasta con la costante giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. 19 maggio 2005 n. 10600), la quale è orientata nel senso che si tratta di pronunce ci natura costitutiva, aventi efficacia esclusivamente ex nunc. Il ricorso deve essere pertanto rigettato,con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, stante il comune loro interesse nella causa – a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011