LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo – Presidente –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –
Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4743/2005 proposto da:
COMUNE DI CITTA’ DI CASTELLO (c.f. *****), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIA CRISTINA 8, presso l’avvocato GOBBI Goffredo, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati TONELLI ENRICO, PEDETTA MAURIZIO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
P.R. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 97, presso l’avvocato GIANNI GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLIERI Francesco, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
P.G.E., P.F.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 364/2004 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 23/11/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 01/12/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato ENRICO TONELLI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato FRANCESCO PAOLIERI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto e inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 5.02.2003, il Comune di Città di Castello, premesso che aveva assoggettato a procedimenti di espropriazione e di occupazione d’urgenza alcuni terreni di proprietà di P.R., P.F. e P. G.E. inseriti nel Piano per l’Edilizia Economica e Popolare, proponeva, dinanzi alla la Corte di appello di Perugia, opposizione alla stima delle indennità di espropriazione e di asservimento, stabilite dall’UTE. Con sentenza del 29.09-23.11.2004, l’adita Corte di appello, non definitivamente pronunciando, nella contumacia di P.F. e P.G.E., respingeva l’opposizione del Comune, riteneva ammissibile l’opposizione svolta in via riconvenzionale da P.R. e rimetteva la causa sul ruolo per l’ulteriore corso. La Corte territoriale, premesso anche che i terreni erano d’indole edificabile e che mentre la determinazione dell’indennizzo per esproprio doveva seguire i criteri di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, quella per l’asservimento doveva essere effettuata in conformità del criterio applicato dall’UTE ma in riferimento all’emerso maggior valore dell’area asservita, riteneva tra l’altro:
che il prezzo di mercato dei terreni in questione doveva essere determinato assumendo la valutazione del CTU, da questi espressa considerando i prezzi che per aree analoghe, lo stesso Comune aveva realizzato in vendite all’asta, avvenute nell’anno successivo a quello del decreto di espropriazione (n. 552 del 16.11.1988 del PGR);
– che recepite le indicazioni del CTU, l’entità di entrambi gli indennizzi superava quella fissata dall’UTE che, conseguentemente, l’opposizione del Comune doveva essere respinta;
che, peraltro, questa conclusione non esauriva il thema decidendum dal momento che P.R., costituendosi in giudizio, aveva chiesto, oltre al rigetto dell’opposizione del Comune, che l’indennità fosse calcolata secondo la valutazione resa dal CTU, così anche formalmente svolgendo una domanda riconvenzionale di eventuale maggiorazione del dovuto indennizzo che la tempestiva proposizione dell’opposizione da parte di uno dei soggetti del rapporto espropriativo faceva venire meno l’efficacia vincolante della stima nei confronti degli altri, con la conseguenza che l’espropriato poteva legittimamente svolgere le sue difese in ordine all’accertamento dell’indennità di esproprio, sia pure nell’ipotesi in cui l’opposizione era stata proposta dall’altra parte.
Avverso questa sentenza il Comune di Città di Castello ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, notificato il 14.02.2005 a P.R. ed il 14-17.02.2005 a P. F., P.G.E.. P.R. ha resistito con controricorso notificato il 3.03.2005. P.F. e G.E. non hanno svolto attività difensiva. Il Comune ed il controricorrente hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A sostegno del ricorso il Comune di Città di Castello denunzia:
1. “Difetto e comunque, insufficiente motivazione su di un punto essenziale della controversia”. Il Comune impugna per vizi motivazionali il rigetto della opposizione alla stima da lui proposta, contestando il recepimento da parte dei giudici di merito delle conclusioni del CTU circa il valore dei beni, determinato con metodo comparativo, conclusioni che assume illogiche e irragionevoli.
Il motivo non ha pregio. Il Comune ricorrente avversa la statuizione di rigetto, logicamente e puntualmente argomentata, con censure che si risolvono in generici, apodittici ed in parte anche carenti sotto il profilo dell’autosufficienza, rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi assunti, da cui non è dato desumere illogicità o carenze motivazionali decisive e che essenzialmente appaiono volti ad un non consentito in questa sede di legittimità, più favorevole ed aderente alla sua tesi apprezzamento dei medesimi dati (cfr, ex plurimis, Cass. 200520332; 200700828; 20072972).
2. “Violazione e falsa o errata applicazione di norme di diritto in relazione alla L. 22 ottobre 1972, n. 865, art. 19. Violazione del principio del contraddittorio e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”.
Si duole che la domanda riconvenzionale del P.R. non sia stata ritenuta inammissibile per tardività rispetto al termine prescritto dalla L. n. 865 del 1971, art. 19, per l’opposizione alla stima definitiva.
3. “Violazione e falsa o errata applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 167 e 359 c.p.c.; omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia”.
Si duole che la domanda riconvenzionale del P.R. non sia stata ritenuta inammissibile per tardività rispetto al termine decadenziale prescritto per la relativa proposizione, dal momento che il medesimo P. l’aveva proposta solo all’udienza del 20.05.2004, fissata per la precisazione delle conclusioni, costituendosi in giudizio dopo l’esaurimento dell’istruttoria ed un rinvio disposto ai sensi dell’art. 309 c.p.c..
In linea preliminare di rito, va ritenuta l’ammissibilità del secondo e del terzo motivo di ricorso, essendo stati gli stessi proposti non già, come eccepito dal controricorrente, avverso l’ordinanza di riapertura dell’istruttoria, priva dei connotati di decisorietà e definitività e, dunque, non ricorribile per cassazione, ma avverso la statuizione decisoria contenuta nell’impugnata sentenza (cui consequenzialmente accede il provvedimento ordinatorio) di ammissibilità dell’opposizione proposta in via riconvenzionale dal P., con riguardo al termine stabilito dalla L. n. 865 del 1971, art. 19, la quale a sua volta presuppone ed implica la positiva verifica anche della tempestività della riconvenzionale in questione, rispetto al termine decadenziale prescritto dall’art. 167 c.p.c. (trattandosi di ordinario giudizio di cognizione in unico grado) per la relativa introduzione, diversamente nemmeno giustificandosi la disposta prosecuzione del processo.
Ciò premesso, il secondo motivo di ricorso è infondato mentre merita favorevole apprezzamento il terzo.
In materia di espropriazione per pubblica utilità, il principio per cui il giudizio di opposizione alla stima dell’indennità non si configura come un giudizio di impugnazione dell’atto amministrativo ma introduce un ordinario giudizio sul rapporto, che non si esaurisce nel mero controllo delle determinazioni adottate in sede amministrativa, ma è diretto a stabilire il “quantum” dell’indennità, effettivamente dovuto, nel quale il giudice compie la valutazione in piena autonomia, va coordinato con quello della domanda; di conseguenza, la tempestiva opposizione alla stima da parte di uno dei soggetti legittimati fa venir meno l’efficacia vincolante della stessa per tutti i soggetti del rapporto espropriativo, sicchè sia l’espropriato (nel caso che l’opposizione sia stata proposta dall’espropriante), sia l’espropriante (nella normale ipotesi contraria) possono avanzare richieste in ordine all’accertamento dell’indennità, senza che nessuna delle parti sia vincolata al termine per l’opposizione (cfr. tra le altre, Cass. 198402260; 199503902; 199800483; 200405106) ma sebbene il convenuto in giudizio possa proporre a sua volta opposizione pure a termine scaduto, ciò tuttavia deve fare nel rispetto di forma e termini per la riconvenzionale, in quanto aziona una contropretesa che va oltre il rigetto della domanda principale (cfr. Cass. 200103048; 200604388;
200817022).
Nella specie, dunque, una volta qualificata la domanda del P. come opposizione alla stima, i giudici di merito avrebbero dovuto verificarne l’ammissibilità oltre che in relazione al termine di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 19, con riferimento all’art. 166 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 2. Al riguardo appare incontroverso che la riconvenzionale in argomento non sia stata tempestivamente introdotta, risultando proposta nel giudizio di merito, solo all’udienza di precisazione delle conclusioni.
Conclusivamente si devono respingere i primi due motivi del ricorso, si deve accogliere il terzo motivo e con decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., stante la non necessità di ulteriori accertamenti di fatto, dichiarare inammissibile per tardività l’opposizione alla stima proposta in via riconvenzionale dal P. R.. Le peculiarità della controversia ed il relativo esito, implicante reciproca soccombenza, giustificano la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie il terzo, cassa in parte qua la sentenza impugnata e decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale formulata da P.R.. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011