Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.719 del 13/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi nr. 15080/05 e 20282/05 reciprocamente proposti da:

C.I.N.E.S. – CONSORZIO INDUSTRIALE NORD EST SARDEGNA, in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza Mazzini 27, presso lo studio dell’avv. Giovanni Candido di Gioia, rappresentato e difeso dall’avv. ACQUARONE Lorenzo, come de procura a margine dei ricorso;

– ricorrente/controricorrente –

contro

C.L.A., elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Barnaba Tortolini 34, presso lo studio dell’avv. PAOLETTI Nicolò, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. Italo Doglio, come da procura speciale per atto notaio Giuliani di Olbia rep. 199821 del 19.7.05;

– controricorrente/ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 14/05 della Corte d’Appello di Cagliari, emessa l’1.05, depositata il 24.1.05;

udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 7.12.010 dal Consigliere Dr. Magda Cristiano;

uditi gli avv.ti Acqualone e Paletti;

udito il P.M., nella persona del Sostituto P.G. Dr. VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento del 1^ motivo di ricorso incidentale ed il rigetto del 2^ motivo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Cagliari, decidendo, in sede di rinvio dalla Cassazione, sulla domanda di opposizione alla stima proposta da C.L.A., con sentenza del 24.1.05: ha liquidato in complessivi Euro 360.521,07 l’indennità dovuta all’attrice dal Consorzio per il Nucleo di Industrializzazione di ***** (poi divenuto, per cambio di denominazione, Consorzio Industriale Nord Est Sardegna – C.I.N.E.S.) per l’occupazione legittima, intervenuta fra il *****, di un terreno sito nel territorio del comune di *****; ha ordinato il deposito presso la Cassa DD. e PP. della differenza a credito dell’avente diritto fra la somma così determinata e quella già depositata dal Consorzio per tale titolo; ha condannato quest’ultimo al pagamento delle spese di lite.

Il giudice del rinvio – premesso che erano coperte da giudicato interno le statuizioni della sentenza cassata non impugnate o non riformate dalla S.C. e che pertanto l’unica questione ancora dibattuta in giudizio riguardava la determinazione del valore venale dell’ appezzamento di terreno occupato – ha aderito sul punto alle conclusioni assunte, in una relazione integrativa, dal ctu nominato nel corso del primo giudizio, ritenendole corrette ed adeguatamente motivate.

La sentenza è stata impugnata dal C.I.N.E.S dinanzi a questa Corte con due distinti motivi di ricorso.

C.A.L. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, cui il C.I.N.E.S. ha a sua volta resistito con controricorso.

I C.I.N.E.S. ha inoltre depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., nella quale ha per la prima volta eccepito il difetto di legittimazione ad agire della C..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va disposta la riunione del ricorso principale e del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1) Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione ad causam della C., sollevata dal Consorzio nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. (sul rilievo che il Tribunale di Tempio Pausania, con sentenza del 22.4.08 passata in giudicato, ha accertato che i terreni oggetto di occupazione sono stati usucapiti da C.O..

L’eccezione è infondata.

Nel giudizio di opposizione alla stima la legittimazione ad agire, che va intesa come giusta titolarità del diritto sostanziale azionato secondo la legge che regola il rapporto controverso, spetta al soggetto che, come nel caso di specie la C., risulti intestatario catastale degli immobili occupati dalla P.A. ai fini dell’esproprio (Cass. n. 6980/07).

Tale legittimazione non può venir meno – con effetto retroattivo – nel corso dei giudizio per il fatto che una sentenza, intervenuta successivamente a suo inizio, accerti che gli immobili in questione sono di proprietà di terzi: appare infatti evidente che l’eventuale conflitto fra intestatario catastale e terzo è estraneo all’accertamento demandato al giudice dell’opposizione, che attiene esclusivamente alla determinazione dell’esatta indennità di esproprio, e non può pregiudicare in alcun modo l’ente espropriante, tenuto a versare l’indennità non già all’opponente, ma presso la Cassa DD.PP..

La posizione del terzo che vanti diritti reali sui beni è, d’altro canto, pienamente tutelata proprio dalle disposizioni (L. n. 2359 del 1865, artt. 48 e 55, L. n. 865 del 1971, art. 19, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 26) che prevedono che le somme riconosciute a titolo di indennità devono essere depositate presso la Cassa DD. e PP. ed, in caso di conflitto, svincolate solo all’esito della pronuncia dell’A.G. che accerti chi ne sia l’effettivo beneficiario.

2) Con il primo motivo di ricorso il C.I.N.E.S., denunciando violazione e falsa applicazione dell’arti. 394 c.p.c., lamenta che la Corte territoriale, nonostante l’annullamento per difetto di motivazione della pronuncia emessa all’esito del primo giudizio, abbia infondatamente ritenuto, sulla premessa del carattere “chiuso” del giudizio di rinvio, che le fosse precluso lo svolgimento di nuova attività istruttoria e si sia limitata a condividere l’indagine svolta dal ctu nominato nel corso di quel giudizio ed a fare proprie le conclusioni da questi raggiunte in ordine al valore del terreno occupato, senza disporre una nuova ctu e senza considerare nè la diversa valutazione compiuta dall’UTE nè il disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, che impone di tener conto, ai fini della determinazione dell’indennità, del valore dell’immobile dichiarato dal proprietario ai fini ICI. Il motivo si risolve in una duplice censura, l’una (propriamente svolta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) concernente l’erronea applicazione da parte della Corte di merito dei principi che, nei giudizio di rinvio, regolano l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova e l’altra (in realtà inquadrabile sotto il disposto del n. 5 della norma) inerente l’omesso rinnovo della ctu e la mancata valutazione di circostanze decisive per il giudizio.

2.1.) Sotto il primo profilo la censura è infondata, dovendosi escludere (posto, fra l’altro, che la ctu non è un mezzo di prova) che attraverso l’enunciazione de principio (tratto da Cass. n. 3109/04) secondo cui nel giudizio di rinvio “è preclusa la proposizione di nuove domande od eccezioni e la richiesta di nuove prove”, la Corte territoriale abbia inteso motivare le ragioni del mancato espletamento di una nuova ctu. Al contrario, poichè la massima è stata riportata in sentenza (insieme a numerose altre di questa Corte in tema di art. 394 c.p.c.) subito dopo l’esposizione della richiesta del Consorzio di commisurare l’indennità al valore del terreno dichiarato ai fini ICI ed all’interno di un paragrafo che esordiva con la frase “Si osserva subito, a tal ultimo riguardo..”, appare evidente che, richiamando il principio, il giudice a quo intendeva sottolineare l’inammissibilità di nuove eccezioni e non già di nuovi mezzi di prova, peraltro neppure dedotti dalle parti.

In ogni caso, poichè il giudice non ha alcun obbligo di disporre una ctu, la cui ammissione rientra nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, l’eventuale error in iudicando compiuto dalla Corte d’Appello risulterebbe ininfluente sulla decisione.

2.2) Sotto il secondo profilo la censura va dichiarata inammissibile per difetto del requisito della specificità, non avendo il ricorrente nè precisato in quale atto processuale abbia avanzato l’istanza di ammissione di una nuova ctu nè illustrato i motivi che rendevano quella già espletata inidonea a fornire supporto probatorio alla decisione adottata, mentre, per contro, la Corte territoriale ha diffusamente illustrato gli elementi sui quali ha fondato il suo convincimento e spiegato perchè reputava inattendibile la stima dell’UTE e non applicabile il disposto del D.Lgs. n. 540 del 1992, art. 16.

2) Con il secondo motivo, denunciando ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, il Consorzio censura la sentenza impugnata per aver ritenuto non rilevabile d’ufficio e non proponibile per la prima volta in sede di giudizio di rinvio l’eccezione concernente la dovuta riduzione dell’indennità in conseguenza del minor valore dell’immobile occupato dichiarato dalla C. ai fini ICI. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che ne giudizio promosso dall’espropriato di area edificabile per la determinazione dell’indennità di espropriazione, l’ammontare discendente dai criteri di legge è suscettibile di riduzione, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1, solo su eccezione dell’espropriante, il quale provi che l’espropriato ha presentato denuncia ai fini dell’imposta comunale sugli immobili, mentre deve escludersi che la relativa questione possa essere rilevata d’ufficio, atteso che si verte in tema di diritti patrimoniali e rileva il principio dispositivo (Cass. nn. 18844/08, 24509/06, 10682/06, 8594/05). Ne consegue che l’eccezione non può essere sollevata per la prima volta nel giudizio di rinvio.

3) E’ fondato, e deve essere accolto, il motivo di ricorso incidentale con il quale la C., denunciando la violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali nonchè il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che, ai fini del calcolo dell’indennità virtuale di esproprio, sulla quale va determinata l’indennità di occupazione, la Corte abbia applicato i criteri di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma predetta (sentenza della Corte Costituzionale n. 348/07) consegue infatti la cessazione della sua efficacia “erga omnes”, con effetto retroattivo su tutti i rapporti o situazioni giuridiche pendenti (Cass. nn. 28431/08, 26275/07).

Caduto il criterio d’indennizzo stabilito dall’art. 5 bis cit., ed essendo nella specie la procedura espropriativa soggetta al regime giuridico anteriore all’entrata in vigore del cit. T.U. n. 327 del 2001, ai fini della determinazione della virtuale indennità di esproprio, sulla quale deve essere calcolata l’indennità di occupazione, fa fatta applicazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che commisura tale indennità al valore di mercato del bene (Cass. SS.UU. n. 5265/08).

L’accoglimento del motivo di ricorso incidentale comporta la cassazione sul punto dell’impugnata sentenza.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito.

Il valore venale del terreno (corrispondente all’indennità di esproprio virtuale) è stato stabilito in sentenza in L. 2.787.181.500, corrispondenti ad Euro 1.439.459,11.

L’indennità di occupazione è stata calcolata, per il periodo 22.2.91/22.2.96, nella percentuale annua del 10%, secondo il tasso degli interessi legali all’epoca vigente.

Applicando tale percentuale sul valore pieno del bene si ottengono Euro 143.945,911 all’anno, da moltiplicare per 5 anni (10 mesi del 91, 12 mesi del 92, 93, 94 e 95 e 2 mesi del 96). L’indennità ammonta, pertanto, a complessivi Euro 719,725,55.

4) Col secondo motivo di ricorso incidentale la C., denunciando ancora violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali nonchè vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, si duole che la Corte di merito abbia respinto la sua domanda di riconoscimento della rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di indennità.

4.1) La prima delle due distinte censure nelle quali si articola il motivo – con la quale la controricorrente lamenta il mancato recepimento sul punto della giurisprudenza della CEDU, secondo cui l’indennità di occupazione, specie quando venga determinata con grande ritardo, deve essere sempre rivalutata – è infondata.

Le pronunce della CEDU, infatti, allorchè contrastino con norme interne, non sono vincolanti per il giudice nazionale: questi è perciò tenuto ad applicare la norma interna in maniera conforme alla norma EDU, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, solo nei limiti in cui ciò sia consentito dal testo della norma medesima (Cass. nn. 8780/010, 5894/09, 6898/08).

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (fra molte, Cass. nn. 19590/08, 10929/08, 25662/06, 6186/03, 4070/03) l’indennità di occupazione legittima, espressa ab origine in valori monetari, costituisce debito di valuta.

Ne consegue che il riconoscimento in via automatica della rivalutazione monetaria su tale debito costituirebbe violazione del disposto dell’art. 1224 c.c., comma 2, secondo cui il maggior danno causato dalla mora del debitore spetta soltanto al creditore che ne dimostri la sussistenza.

E, proprio perchè la norma interna non nega tout court il risarcimento del maggior danno, ma si limita a porre a carico del creditore un onere probatorio, non si pone alcuna questione di legittimità costituzionale della stessa – in quanto in contrasto con la norma internazionale nell’interpretazione datane dalla CEDU – per violazione dell’art. 117 Cost..

4.2) La seconda censura – con la quale la C. lamenta che la Corte di merito, nell’escludere che ella abbia dato prova della sussistenza del maggior danno, non abbia tenuto conto che, data l’entità della somma ed il notevole lasso di tempo trascorso, esisteva una presunzione grave, precisa e concordante che le somme a lei dovute sarebbero state destinate ad investimenti finanziari – va invece dichiarata inammissibile, non avendo la controricorrente indicato in quale dei propri scritti difensivi, ed in quali esatti termini, ha invocato la prova presuntiva.

In definitiva, accolto il primo e respinto il secondo motivo del ricorso incidentale, va ordinato al Consorzio Industriale Nord Est Sardegna di depositare presso la Cassa DD.PP. una somma pari alla differenza fra quella di Euro 719.725,55, liquidata a titolo di indennità di occupazione, e la somma eventualmente già depositata per il medesimo titolo, maggiorata degli interessi legali dalla data di scadenza di ciascuna annualità sino all’effettivo deposito.

Le spese del primo giudizio di merito vanno poste interamente a carico del Consorzio e si liquidano in Euro 1.032,00 per esborsi, Euro 1.808,00 per diritti ed Euro 7.489,00 per onorari, oltre accessori dovuti per legge (rimborso delle spese generali, IVA e CPA). Le spese del primo giudizio di cassazione, tenuto conto dell’accoglimento parziale del ricorso principale proposto dal Consorzio e di quello incidentale proposto dalla C., vanno compensate per un terzo e poste a carico del C.I.N.E.S., per i rimanenti due terzi, che si liquidano in Euro 6.800,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.

Il Consorzio va altresì condannato a pagare integralmente alla C. le spese del giudizio di rinvio, che si liquidano in Euro 16.000,00 per onorari, Euro 2.352,00 per diritti ed Euro 970,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge, ed, attesa la sua sostanziale soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 12.000,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi;

rigetta il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e rigetta il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ordina al Consorzio Industriale Nord Est Sardegna di depositare presso la Cassa DD.PP. una somma pari alla differenza fra quella di Euro 719.725,55, liquidata a titolo di indennità di occupazione, e la somma eventualmente già depositata per il medesimo titolo, maggiorata degli interessi legali dalla data di scadenza di ciascuna annualità sino all’effettivo deposito;

condanna i Consorzio a pagare alla C. le spese del primo giudizio di merito, che liquidano in Euro 1.032,00 per esborsi, Euro 1.808,00 per diritti ed Euro 7.489,00 per onorari, oltre accessori dovuti per legge;

dichiara compensate fra le parti le spese del primo giudizio di cassazione nella misura di un terzo e condanna il C.I.N.E.S. a pagare alla C. i rimanenti due terzi, che liquida in Euro 6.800,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge;

condanna altresì il ricorrente a pagare alla C. le spese del giudizio di rinvio, che liquida in Euro 16.000,00 per onorari, Euro 2.352,00 per diritti ed Euro 970,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge, e le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 12.000,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011

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