LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9349-2005 proposto da:
L.M.M. *****, C.A.
*****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, rappresentati e difesi dagli avvocati OTTONELLO EMANUELE, BOTTELLI CLAUDIO;
– ricorrenti –
contro
IMMOBILIARE SANTA CATERINA DITTA SRL, ***** in persona del legale rappresentante F.A.; elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNO FRANCESCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1336/2004 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 16/11/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/11/2010 dal Consigliere Dott. BUCCIANTE Ettore;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 30 marzo 1999 il Tribunale di Savona nel provvedere anche su altri punti, che non formano più oggetto della materia del contendere – condannò i convenuti L.M.M. e C. A. a demolire alcune porzioni di un loro fabbricato in *****, nei presupposto che si trovassero a distanza inferiore a quella legale dal confine con un limitrofo fondo appartenente all’attrice società Immobiliare Santa Caterina.
Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Genova, che con sentenza del 16 novembre 2004 ha limitato alle opere realizzate al primo piano dell’edificio la condanna alla riduzione in pristino, escludendola per quelle del piano terreno.
L.M.M. e C.A. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a un motivo. La società Immobiliare Santa Caterina si è costituita con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il motivo addotto a sostegno del ricorso L.M.M. e C.A. lamentano che erroneamente la Corte d’appello ha disconosciuto che nella specie fosse applicabile il principio della prevenzione, il quale invece avrebbe dovuto essere ritenuto operante, in quanto la sopraelevazione era stata attuata nei limiti del perimetro del fabbricato preesistente ed era comunque legittima alla stregua di una sopravvenuta variante parziale del piano regolatore generale di *****, che consente le costruzioni in aderenza.
La censura va disattesa, poichè il giudice di secondo grado si è conformato alla costante giurisprudenza di questa Corre (v., tra le più recenti, Cass. 11 giugno 2008 n. 15572), secondo cui “in tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, è qualificabile come nuova costruzione; ne consegue l’applicazione della normativa vigente al momento della modifica e l’inoperatività del criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata, al momento della sopraelevazione”.
Pertanto L.M.M. e C.A., nel trasformare in vano chiuso e coperto il terrazzo a livello posto al primo piano del loro fabbricato, che è posto sul confine con il fondo della società Immobiliare Santa Caterina, avrebbero dovuto comunque rispettare la distanza prescritta dallo strumento urbanistico vigente, anche se il nuovo manufatto era stato contenuto entro l’ingombro orizzontale del piano inferiore. D’altra parte, trattandosi di distacco stabilito con riferimento al confine, neppure rileva la circostanza – su cui i ricorrenti particolarmente insistono – che il loro edificio si trovi a più di dieci metri da quello della resistente. Infine, a proposito della variante parziale al piano regolatore generale, va osservato che i ricorrenti stessi deducono soltanto che essa è stata “già deliberata dal Consiglio Comunale”; perchè la nuova disciplina più favorevole potesse ritenersi in vigore – con conseguente legittimazione, sia pure a posteriori, dell’operato di L.M. M. e C.A. (Cass. 15 giugno 2010 n. 14446) – sarebbe stato necessario l’esaurimento del successivo iter sia di approvazione da parte dell’organo di controllo sia di pubblicazione (Cass. 2 luglio 2004 n. 12127).
Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, stante il comune loro interesse nella causa, a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011