LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIVETTI Marco – Presidente –
Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –
Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 31181/2006 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA AQUILEIA 12, presso lo studio dell’avvocato MORSILLO Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LASCIOLI MAURIZIO, LUCA GIORDANO, con procura speciale notarile del Not. Dr. ARRIGO STAFFIERI in BRESCIA, dep. n. 135.388 del 21/10/2010, giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI BRESCIA *****, MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 201/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 14/11/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 01/12/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;
udito per il ricorrente l’Avvocato GIORDANO, che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il resistente l’Avvocato SANTORO, che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.S.R. propose ricorso avverso l’avviso di accertamento relativo all’Irpef ed all’Ilor per l’anno d’imposta 1990, con il quale, in applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito di cui ai D.M. 1992, era stato rettificato il reddito dichiarato in relazione alla disponibilità di un’abitazione principale ed una secondaria.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso ritenendo che i D.M. invocati dall’ufficio fossero inapplicabili per anni d’imposta anteriori al 1992.
Contro tale sentenza proponeva appello l’ufficio.
La Commissione tributaria Regionale accoglieva l’appello.
Contro tale ultima decisione ricorre per cassazione il contribuente con triplice motivo, illustrato altresì da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
L’agenzia resiste depositando controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente con il primo motivo censura l’impugnata sentenza deducendo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e vizio della motivazione, per avere ritenuto la legittimità dell’avviso impugnato che invece non ha tenuto conto e non ha motivato rispetto a tutti gli elementi che egli aveva offerto nel questionario inviatogli dall’ufficio.
La censura è inammissibile in quanto carente di autosufficienza per avere il ricorrente richiesto a questa Corte un giudizio di legittimità non ex actis ma fondato su atti estranei al presente giudizio. Ha infatti richiamato elementi di fatto offerti da esso contribuente nel questionario inviatogli ma ha omesso di riportare i passi dello stesso, quelli de ricorso originario e quelli dell’appello dell’ufficio dai quali ricavare in quali termini tale censura sia stata proposta in relazione alle norme richiamate.
Questa Corte ha invece costantemente affermato (Cass. n. 15952 del 2007) “Il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto”.
2. Con il secondo motivo il contribuente censura, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, ed il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta possibilità di applicazione retroattiva dei parametri introdotti solo con D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992.
La censura è infondata alla stregua del consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Cass. nn. 14161 del 2003, 19108 e 21445 del 2005, 13316 del 2006) secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla rettifica, con metodo sintetico, del reddito complessivo delle persone fisiche, è legittima l’applicazione agli anni anteriori dei coefficienti presuntivi di reddito adottati, con i decreti ministeriali del 1992, ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 1, posto che, rimanendo sul piano dell’accertamento e delle prove, l’applicabilità dei “redditometri” contenuti in decreti emanati successivamente al periodo d’imposta da verificare deve ritenersi insita nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, senza porre problemi di retroattività, gravando poi sul contribuente l’onere di provare che in concreto il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
Alla luce di tale principio il motivo in esame è pertanto infondato.
3. Con il terzo motivo il contribuente censura, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, dei D.M. sul redditometro ed il vizio di motivazione in ordine alla possibilità ed ai limiti della prova contraria alle presunzioni derivanti dall’applicazione dei parametri.
Anche tale motivo è inammissibile sia perchè la censura non è diretta a far valere la carente motivazione di un accertamento di fatto, ma a far valere l’erronea interpretazione applicativa delle norme che regolano il regime della prova nell’ipotesi di applicazione dei parametri, sia perchè totalmente carente di autosufficienza alla luce dei principi come sopra già richiamati.
Il ricorrente ha infatti omesso di riportare, testualmente, le contestazioni che assume svolte già nel ricorso originario (relative alla data del concesso mutuo, alla vendita e successivo acquisto dei cespiti in oggetto, alla donazione che assume esistente). Questa Corte ha costantemente affermato (Cass. n. 6542/2004). “Qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa”. Ed ancora (Cass. n. 10330/2003). “In base al principio di autosufficienza, è inammissibile il ricorso per cassazione che non consenta l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere e delle ragioni per cui si chieda la cassazione della sentenza di merito, nè permetta la valutazione della fondatezza di tali ragioni ex actis, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee al ricorso e, quindi, ad elementi ed atti attinenti al pregresso giudizio di merito”.
Il motivo è pertanto inammissibile.
Alla luce delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato. Le spese vendono regolate come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese di giudizio che liquida in Euro 2.200,00 delle quali Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e competenze come per legge.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011