Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.91 del 04/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEL VIGNOLA 11, presso lo studio dell’avvocato MARANDO FRANCESCA, rappresentata e difesa dall’avvocato MIGLIACCIO BENINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI, 134, presso lo studio dell’avvocato DE MARINIS NICOLA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3092/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/07/2006 R.G.N. 1668/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per dichiarazione d’inammissibilità.

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Napoli, ritualmente notificato, F.F., assunta con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. dal 19.12.2000 al 31.1.2001 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine al contratto in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 2.4.2003 il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 4.5 – 22.7.2006, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale rilevava che l’apposizione di un termine per la stipulazione dei contratti in parola, non prevista dall’originario art. 8 del CCNL 26.11.1994, non impediva all’interprete di verificare in concreto se, al di là delle varie intese sindacali ed oltre i limiti temporali pattiziamente individuati, sussistevano comunque le esigenze eccezionali originariamente previste.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione F. F. con quattro motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la società intimata.

La stessa ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Col secondo motivo di gravame lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 57 del 1987, dell’art. 8 CCNL 26.11.1994 per i dipendenti di Poste Italiane s.p.a. e seguenti integrazioni e modificazioni.

In particolare censura la suddetta impostazione della Corte territoriale, e contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi attuativi; rileva in particolare che, essendo un termine finale per l’assunzione a termine espressamente previsto, la sua mancata osservanza determinava l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro.

Col terzo motivo di gravame contesta l’assunto dei giudici di merito secondo cui non sarebbe stato possibile il ricorso alla disposizione di cui all’art. 47 del CCNL. Col quarto motivo di gravame rileva che l’evidente ricorso ad una serie di assunzioni a tempo determinato rendeva palese l’elusione del principio di durata indeterminata del rapporto di lavoro, e quindi l’esistenza della frode e violazione dei criteri previsti dalla L. n. 230 del 1962.

Il ricorso è inammissibile.

Trattandosi di ricorso avverso una sentenza depositata il 22 luglio 2006, ad esso si applica, ratione temporis, l’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile, ex art. 27 del predetto D.Lgs., ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006). Tale articolo, successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), ma applicabile nella fattispecie in esame, dispone che “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

Nell’interpretazione di tale norma questa Corte (ex plurimis: Cass. SS.UU., 5.1.2007 n. 36; Cass., SS.UU., 28.9.2007 n. 20360; Cass. SS.UU., 12.5.2008 n. 11650; Cass. SS.UU., 17.7.2007 n. 15959) ha rilevato come la stessa ponga espressamente a carico di parte ricorrente l’onere di formulare, in maniera consapevole e diretta, rispetto a ciascuna censura, una conferente sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, sicchè dalla risposta (positiva o negativa), che al quesito medesimo deve essere data, possa derivare la soluzione della questione circa la corrispondenza delle ragioni dell’impugnazione ai canoni indefettibili della corretta applicazione della legge, restando, in tal modo, contemporaneamente soddisfatti l’interesse della parte alla decisione della lite e la funzione nomofilattica propria del giudizio di legittimità.

A siffatto onere non ha ottemperato nel caso di specie parte ricorrente, sicchè il ricorso dalla stessa proposto va dichiarato inammissibile. Segue a tale pronuncia la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 28,00, oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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