Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.99 del 04/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.D., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Ciprietti Sabatino ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, alla v. Mazzini, n. 6;

– ricorrente –

contro

C.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Tatozzi Camillo, in virtu’ di procura speciale apposta in calce alla copia notificata del ricorso, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla v. Ricciotti, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Michele Sinibaldi;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello de L’Aquila n. 908/2004 depositata il 9 novembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27 ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Michele Sinibaldi per il controricorrente, per delega dell’Avv. Camillo Tatozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 7 febbraio 1995 il sig. D.D. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Chieti, il sig. C.L., esponendo che quest’ultimo lo aveva indotto dolosamente alla divisione di un terreno di proprieta’ comune in ***** (stipulata con atto pubblico del *****), tacendogli l’avvenuta acquisizione di una concessione edilizia, con asservimento ai fini urbanistici dell’intero lotto;

chiedeva, pertanto, la dichiarazione dell’annullamento dell’atto divisionale o, in alternativa, la condanna del C. al risarcimento dei danni.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito rigettava la domanda.

In virtu’ di rituale appello interposto dal D.D., la Corte di appello di L’Aquila, nella resistenza dell’appellato C.L., respingeva il gravame e disponeva la compensazione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale riconosceva la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’appellato in relazione all’art. 1442 c.c. (senza che l’appellante avesse offerto un’idonea prova in ordine alla decorrenza della prescrizione da una data posteriore, rispetto a quella di stipula del contratto, nella quale sarebbe stato scoperto il dolo), cosi’ derivandone la superfluita’ dell’esame delle ulteriori questioni di merito riproposte con il gravame e la conferma dell’impugnata decisione.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di L’Aquila ha proposto ricorso per cassazione il D.D., che risulta articolato su tre motivi, al quale ha resistito con controricorso il C.L..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, avuto riguardo alla valutazione della vicenda edilizia sottoposta all’esame della Corte territoriale alla luce della normativa concretamente applicabile, tenendo conto anche delle obiezioni e delle contestazioni mosse alla relazione del c.t.u..

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1442, 2935 c.c., dell’art. 2937 c.c., comma 3, e dell’art. 2938 c.c., nonche’ dell’art. 99 c.p.c., congiuntamente all’omessa e/o insufficiente motivazione della stessa sentenza impugnata, sostenendo, nella sostanza, che la Corte di appello aveva illegittimamente accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dal C. solo in secondo grado, malgrado si dovesse ritenere che vi aveva tacitamente rinunciato nel giudizio di primo grado.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto – sempre con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’omessa e/o insufficiente motivazione dell’impugnata decisione su punti decisivi della controversia, nonche’ l’erronea interpretazione dei principi della legge processuale in materia di prova unitamente alla supposta erronea interpretazione degli atti amministrativi e dei contratti ai sensi degli artt. 1326 e segg. c.c..

4. Nell’economia della valutazione dei riportati motivi di ricorso assume un ruolo preliminare l’esame del secondo e del terzo che, se accolti, consentirebbero di verificare anche la fondatezza del primo in relazione all’assunta decisivita’ per il giudizio del fatto controverso che aveva costituito oggetto di accertamento in sede peritale con riferimento all’assetto edilizio e alla disciplina normativa che riguardavano l’immobile che fu oggetto di divisione tra le parti.

5. Rileva il collegio che il secondo motivo e’ infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Innanzitutto, occorre evidenziare che – tenuto conto della instaurazione della controversia in questione in epoca anteriore al 30 aprile 1995 (la notificazione della citazione in primo grado risale al febbraio 1995) – la giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. Cass. 27 luglio 2001, n. 10278, e Cass. 25 agosto 2006, n. 18488) ha ritenuto che in tutti i giudizi iniziati in primo grado in tale epoca trova applicazione, quanto al giudizio di appello ed a prescindere dal periodo in cui questo si svolge, l’art. 345 c.p.c. nella formulazione anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 353 del 1990, con la conseguenza che le parti, in presenza di dette condizioni, possono proporre nuove eccezioni, produrre nuovi documenti e chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova, ma se la deduzione poteva essere proposta in primo grado si applicano per le spese del giudizio di appello le disposizioni dell’art. 92 c.p.c.. A tale principio si e’ attenuta, nella fattispecie, la Corte territoriale che ha, appunto, ritenuto l’ammissibilita’ della proposta eccezione di prescrizione da parte del C. che, nel quadro temporale appena indicato, era stata rivolta unicamente ad ottenere il rigetto della domanda avversa e, in quanto tale, era legittimamente formulabile anche in appello (cfr. Cass. 28 luglio 2000, n. 9927), disponendo, proprio in virtu’ della sua deduzione in secondo grado, la compensazione delle spese giudiziali.

Cio’ posto, si prospetta infondata anche la correlata doglianza del ricorrente circa l’intervento della supposta pregressa rinuncia alla formulazione dell’eccezione di prescrizione, siccome non avanzata in primo grado. Invero, il collegio osserva che, sul piano generale, la volonta’ di rinunciare ad un diritto si puo’ desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volonta’ di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’inerzia o il ritardo nell’esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per se’, a farne dedurre la volonta’ di rinunciare del titolare. Conseguentemente, anche la rinuncia tacita a far valere la prescrizione presuppone un comportamento processuale in cui sia necessariamente insita l’univoca volonta’ di non voler sollevare la relativa eccezione; pertanto, se la parte si difende nel giudizio di primo grado sul merito della domanda avversaria senza eccepire preliminarmente la prescrizione, non per questo tale condotta assume la valenza di un comportamento univoco, appunto incompatibile con la volonta’ di formulare l’inerente eccezione, la quale, oltretutto (come gia’ evidenziato), nella vigenza del testo originario dell’art. 345 c.p.c. (applicabile “ratione temporis” nel caso in esame), poteva essere dedotta per la prima volta in appello (v. Cass. 28 luglio 2000, n. 9927, cit.).

6. Anche il terzo motivo, come precedentemente riportato, si prospetta infondato e deve, pertanto, essere respinto.

La Corte territoriale ha dato conto, ancorche’ succintamente, nella sentenza impugnata che, nella fattispecie dedotta in giudizio, era meritevole di accoglimento l’eccezione di prescrizione quinquennale dell’azione di annullamento avanzata dall’appellato, sul presupposto, che, in difetto di una prova inequivoca della scoperta del dolo in un momento successivo alla conclusione del contratto di divisione intervenuto fra le parti, la decorrenza del termine prescrizionale avrebbe dovuto aver luogo – ai sensi della regola suppletiva contenuta nell’art. 1442 c.c., comma 3 – dal giorno della stessa conclusione dell’indicata convenzione, stipulata il *****, ragion per cui, al momento dell’introduzione del giudizio (nel 1995), il termine di prescrizione era ormai ampiamente maturato.

Il ricorrente ha contestato, peraltro in modo disorganico, la ricostruzione motivazionale del giudice di appello, ma, nell’articolare il relativo motivo (nella parte propriamente espositiva dello stesso: v. pagg. 14 – 19), non ha assolto compiutamente all’onere di autosufficienza, non avendo allegato la decisivita’ delle prove sulla diversa decorrenza della data dalla scoperta del dolo omissivo (per la cui configurazione, peraltro, non e’ sufficiente il semplice silenzio o la reticenza del contraente, occorrendo che tale comportamento passivo si inserisca in una condotta che si prospetti, nel complesso, quale malizia od astuzia volta a realizzare l’inganno che l’”animus” intende perseguire: cfr.

Cass. 11 ottobre 1994, n. 8295, e Cass. 20 aprile 2006, n. 9253), senza, peraltro, indicare specificamente le circostanze sulle quali avrebbero dovuto conferire i testimoni e il titolo in base al quale essi avrebbero potuto conoscere delle relative circostanze, cosi’ ponendo questa Corte nella condizione di valutare la legittimita’ o meno della mancata ammissione della prova in appello.

A tal proposito si rileva che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., tra le tante, Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178;

Cass. 17 maggio 2007, n. 11457, e Cass. 23 febbraio 2009, n. 4369) – Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova puo’ essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui (oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare, da ritenersi elementi necessari a valutare la decisivita’ del mezzo istruttorio richiesto: v., da ultimo, Cass. 23 aprile 2010, n. 9748) essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento.

Il ricorrente, anziche’ assolvere tali adempimenti, ha incentrato la sua attenzione sulla descrizione del carteggio intercorso tra i legali delle parti (e, specificamente, sul contenuto delle missive inviate dal suo legale, non attribuibile, percio’, direttamente al C., il cui difensore aveva, peraltro, smentito l’assunto di controparte) da cui si sarebbe dovuta desumere una diversa ricostruzione del momento di conoscenza del peso imposto sull’intero fondo oggetto di divisione (derivante dal dedotto asservimento dello stesso a fini edificatori), cosi’ deducendo una questione di fatto oggetto di valutazione di merito, come tale inammissibile nella presente sede di legittimita’.

7. In dipendenza del rigetto dei preliminari motivi dedotti come secondo e terzo, siccome inerenti specificamente l’eccezione di prescrizione accolta dalla Corte di appello di L’Aquila, diventa ultroneo l’esame del primo motivo (che resta, percio’, assorbito) in quanto afferente ad aspetti relativi alla mancata valutazione delle eccezioni avanzate nei riguardi della relazione del c.t.u. e alla contestazione della disciplina normativa applicabile, da reputarsi, appunto, superati dall’accoglimento della suddetta eccezione.

8. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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