L'art. 36 Cost., comma 1, garantisce due diritti distinti, che, tuttavia, nella concreta determinazione della retribuzione, si integrano a vicenda: quello ad una retribuzione "proporzionata" garantisce ai lavoratori "una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell'attività prestata"; mentre quello ad una retribuzione "sufficiente" dà diritto ad "una retribuzione non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d'uomo", ovvero ad "una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Cassazione civile, sez. lav., sentenza 30/11/2016, (ud. 13/09/2016) n. 24449
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di Salerno con la sentenza n. 1243 del 2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, condannava la Banca Carime s.p.a. a corrispondere a R.C., a titolo di differenze retributive per il rapporto di lavoro intercorso dal 15/10/1974 al 31/12/2004, nel corso del quale la R. aveva svolto le mansioni di operaia addetta alle pulizie degli uffici, la complessiva somma di Euro 9.750, oltre agli accessori di legge ed al rimborso delle spese di giudizio.
La Corte territoriale argomentava che la retribuzione oraria, corrisposta nella misura di Lire 7000 fino al 31/5/1995 e di Lire 12.000 per il periodo successivo, non era proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato ex art. 36 Cost., tenuto conto, pur nella pacifica inapplicabilità del contratto collettivo, del mancato adeguamento all'aumentato costo della vita. L'importo delle differenze retributive veniva quantificato in via equitativa ai sensi dell'art. 432 c.p.c. nella somma di Euro 25 al mese, in considerazione dell'orario di lavoro giornaliero osservato e dell'entità dei minimi retributivi contrattualmente previsti. La Corte territoriale disattendeva inoltre l'eccezione di prescrizione delle differenze retributive sollevata dalla banca, in difetto di allegazione e prova dell'assoggettabilità del rapporto di lavoro al regime di stabilità reale, dal che conseguiva che la prescrizione non potesse decorrere che dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Per la cassazione della sentenza la Banca Carime s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso R.C..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. A fondamento del primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 36 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento a circostanza controversa e decisiva per il giudizio. Lamenta che la Corte d'appello, nel riconoscere la violazione del richiamato parametro costituzionale per l'inadeguatezza della retribuzione corrisposta, non abbia considerato nè la qualità nè la quantità del lavoro prestato, nè abbia valutato se la retribuzione corrisposta avesse assicurato alla dipendente un'esistenza libera e dignitosa.
2. Come secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2948 c.c., n. 4, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento a circostanza controversa e decisiva per il giudizio. Riferisce di avere proposto sin dal primo grado di giudizio l'eccezione di prescrizione estintiva quinquennale delle pretese azionate, evidenziando che il primo atto interruttivo era rappresentato dalla notifica del ricorso introduttivo, avvenuta in data 9.5.2006. Lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato il fatto notorio costituito dall'essere Banca Carime s.p.a. la Cassa di Risparmio più diffusa nel meridione, annoverando oltre 2800 dipendenti, ai fini di determinare la decorrenza dell'invocata prescrizione.
3. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Come è stato rilevato in dottrina, l'art. 36 Cost., comma 1, garantisce due diritti distinti, che, tuttavia, "nella concreta determinazione della retribuzione, si integrano a vicenda": quello ad una retribuzione "proporzionata" garantisce ai lavoratori "una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell'attività prestata"; mentre quello ad una retribuzione "sufficiente" dà diritto ad "una retribuzione non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d'uomo", ovvero ad "una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa". In altre parole, l'uno stabilisce "un criterio positivo di carattere generale", l'altro "un limite negativo, invalicabile in assoluto".
La Corte territoriale ha tenuto conto della duplice valenza del precetto costituzionale, ed ha ritenuto che il mancato adeguamento della retribuzione all'aumentato costo della vita nel corso del lungo periodo lavorativo fosse idoneo a rendere il percepito non più proporzionato al valore del lavoro, secondo la valutazione che le stesse parti inizialmente ne avevano fatto, con un'inevitabile ricaduta anche sul mantenimento dell'idoneità ad assolvere alle funzioni di soddisfacimento delle esigenze di vita.
Nè tale ragionamento, nella parte in cui ha ad oggetto non tanto l'importo inizialmente stabilito, quanto il suo permanere immutato per lungo tempo malgrado l'aumento del costo della vita, viene specificamente confutato.
4. Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha motivato il rigetto dell'eccezione di prescrizione, argomentando che la stessa doveva farsi decorrere dalla cessazione del rapporto, in difetto di allegazione e prova da parte della,società convenuta dell'assoggettabilità del rapporto,di lavoro al regime di stabilità reale che consente il decorso del termine di prescrizione in costanza di rapporto.
Ciò facendo, ha correttamente applicato il principio, già affermato da questa Corte, secondo il quale in tema di prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore, alla luce della tutela ex art. 36 Cost., la regola generale è quella della sospensione del termine di prescrizione in costanza di rapporto, e l'immediata decorrenza è l'eccezione (Cass. n. 7640 del 16/05/2012). L'immediata decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto, come riferito dalla Corte territoriale, non era stata tuttavia dedotta nè provata in fase di merito, ove la parte convenuta aveva piuttosto dato rilievo, secondo quanto la stessa riferisce nel ricorso a pg. 22, all'inesistenza di atti interruttivi anteriori al ricorso in giudizio. Con il motivo di ricorso di cassazione, laddove si lamenta che la Corte d'appello non abbia valorizzato il fatto notorio relativo alle dimensioni della banca appellante, si cerca quindi di introdurre in questa sede un nuovo tema di indagine fattuale, che non è stato oggetto del giudizio di merito, che risulta però inammissibile in queste sede secondo i principi generali, cui il fatto notorio non si sottrae, in base ai quali non sono ivi proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass. n. 23675 del 18/10/2013, Cass. n. 4787 del 26/03/2012, Cass. n. 3664 del 21/02/2006).
4. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016