LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.10156/2012 R.G. proposto da:
R.G.A. e R.M., nella qualità di eredi di R.G.A. (nato a ***** e deceduto il *****), rappresentati e difesi dagli avv.ti Camillo Padula e Nino R. Venece, presso cui domiciliano elettivamente in Villa d’Angri di Marsicovetere (PZ) alla piazza Tommaso Morlino n. 13;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata, ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza, dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza n.63/3/2011 della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, emessa in data 3/2/2011, depositata in data 3/3/2011 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2018 dal Consigliere dott.ssa Andreina Giudicepietro.
RILEVATO
CHE:
1. R.G.A. e R.M., nella qualità di eredi di R.G.A. (nato a ***** e deceduto il *****), ricorrono con tre motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 63/3/2011 della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, emessa in data 3/2/2011, depositata in data 3/3/2011 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento con cui l’Ufficio, dopo aver constatato l’omissione della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2000 (Mod. Unico 2001), ricostruiva il reddito di impresa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, in base ai costi per l’assunzione del personale, ha accolto l’appello dell’Ufficio, riformando la sentenza della C.T.P. di Potenza, che, a sua volta, aveva accolto il ricorso introduttivo del contribuente;
2. con la sentenza impugnata la C.T.R. della Basilicata, per quanto d’interesse, ha ritenuto che l’accertamento induttivo fosse pienamente giustificato dalla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e che fosse erroneo l’assunto della C.T.P., secondo cui il contribuente aveva proceduto alle assunzioni del personale come persona fisica e non come soggetto che svolgeva un’attività imprenditoriale;
3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo con controricorso;
4. il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio del 10 luglio 2018 ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1, il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;
5. i ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1.1. con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
1.2. il motivo è infondato;
1.3. “in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (e, dunque, anche alle sue disposizioni di attuazione) contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, è applicabile al nuovo rito tributario così come disciplinato dal citato decreto il principio desumibile dalle norme di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo” (Sez. 5, Sentenza n. 13990 del 22/09/2003);
la motivazione della sentenza impugnata ha una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicchè non se ne può affermare la nullità, come statuito dal richiamato principio di diritto;
in particolare, il giudice di appello, dopo un sintetico resoconto dello svolgimento del processo, argomenta in ordine alle ragioni della riforma della sentenza di primo grado, sostenendo che l’accertamento induttivo fosse pienamente giustificato dalla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e fosse correttamente quantificato nell’importo sulla base dei costi sostenuti dal contribuente per l’assunzione del personale;
ha, quindi, ritenuto erronea la motivazione della sentenza di primo grado, secondo cui l’Amministrazione non avrebbe potuto procedere all’accertamento induttivo del reddito, in quanto il contribuente aveva assunto il personale come persona fisica e non come soggetto che svolgeva un’attività imprenditoriale;
la C.T.R. ha, infatti, rilevato che il contribuente aveva presentato la dichiarazione dei redditi per gli anni precedenti il 2000 e per quelli successivi, sempre apponendo sul Mod. 770 il timbro “Ditta G.A.R.” e barrando la casella “titolare partita IVA”;
inoltre, ha riconosciuto ragionevole la presunzione dell’Ufficio che il reddito prodotto per l’anno 2000 non fosse inferiore agli emolumenti corrisposti al personale impiegato;
la sentenza impugnata, quindi, non è nulla, perchè palesa una motivazione sintetica, ma congrua e logicamente coerente, con una ratio decidendi chiaramente intellegibile;
2.1. con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione della normativa in materia di accertamento induttivo (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7per il mancato esercizio dei poteri istruttori, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (rectius n. 3);
secondo i ricorrenti, la C.T.R. non avrebbe tenuto conto del fatto che, come riportato nella sentenza della C.T.P., il contribuente nel giudizio di primo grado aveva chiarito che negli anni novanta aveva ottenuto i contributi della Regione Basilicata per il rimboschimento del terreno di sua proprietà e che tali contributi non erano assoggettabili a tassazione;
il giudice di appello, stante la contumacia del contribuente nel secondo grado di giudizio, avrebbe dovuto attivare i propri poteri d’ufficio per verificare la fondatezza delle deduzioni difensive del contribuente, richiedendo informazioni agli uffici regionali;
2.2. il motivo è infondato;
2.3. giova premettere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente, cui deve essere equiparata la presentazione fuori termine (vedi Cass. sent. n. 4785/17), “la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, per cui incombe sul contribuente l’onere della prova contraria” (Sez. 5 -, Sentenza n. 7258 del 22/03/2017);
l’Ufficio, quindi, può utilizzare qualsiasi elemento probatorio e può fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cd. “supersemplici”, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio;
con la sentenza impugnata il giudice di appello, adeguatamente motivando, ha correttamente applicato i principi sopra esposti;
ed invero, nella fattispecie in esame, l’Ufficio, in assenza di redditi dichiarati, ha fondato il proprio accertamento sui costi per l’assunzione del personale, calcolando i ricavi complessivi (in base al rapporto tra ricavi e costi del personale dichiarati da altre ditte simili operanti nello stesso settore merceologico) e riconoscendo in deduzione una percentuale forfettaria dei costi dell’80% circa;
il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente, contumace in appello, non avesse fornito adeguata dimostrazione delle circostanze, meramente dedotte in primo grado, che i costi di assunzione del personale si riferissero al rimboschimento dei terreni di sua proprietà, che non avessero alcuna attinenza con la sua attività imprenditoriale e che fossero stati sostenuti con contributi regionali;
a fronte dell’inerzia del contribuente, la C.T.R. non aveva l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi, poichè “il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi” (Sez. 5, Sentenza n. 955 del 20/01/2016);
3.1. con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè il vizio di motivazione su punti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (e n. 3);
3.2. il motivo è infondato;
3.3. in primo luogo, la censura riporta solo un brano, del tutto limitato e poco significativo, della motivazione della sentenza impugnata;
inoltre, la doglianza richiama elementi fattuali che, secondo il ricorrente, sono stati recepiti nella sentenza della C.T.P. ed ignorati dal giudice di appello, con particolare riferimento all’utilizzo del modello fornito dal Centro per l’impiego, che la C.T.P. aveva ritenuto costituisse idonea dimostrazione del fatto che il contribuente avesse assunto il personale per il rimboschimento come persona fisica e non come titolare di un’attività commerciale;
in realtà, la C.T.R. non ha ignorato tale circostanza, ma, diversamente dalla C.T.P., ha ritenuto che l’utilizzo del modello fornito dal Centro per l’impiego non fosse un elemento univoco da cui poter inferire la fondatezza delle deduzioni del contribuente;
la motivazione della C.T.R. appare chiara nel suo iter argomentativo, non presenta lacune o contraddizioni logiche, per cui sfugge al sindacato di legittimità;
4.1. atteso il rigetto del ricorso, i ricorrenti devono essere condannati in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018
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